Artisti Vari – Witch Camp (Ghana). “I've Forgotten How I Used To Be” (Six Degrees Records, 2021)

Ian Brennan e Marilena Umuhoza Delli e le voci delle comunità

“I've Forgotten How I Used To Be” (“Ho dimenticato com’ero prima”) è il sottotitolo di “Witch Camp (Ghana)”, selezione di canzoni di donne accusate di “stregoneria” nel Ghana settentrionale. Le hanno raccolte la fotografa e regista Marilena Umuhoza Delli e il produttore discografico Ian Brennan, conosciuto in tutto il mondo per aver vinto un Grammy con i Tinariwen e in Italia per il suo lavoro con il Canzoniere Grecanico Salentino. Lontani dalle logiche della musica di consumo, da anni girano il mondo documentando musiche con una spiccata funzione sociale: dalla comunità degli albini dell’isola tanzaniana di Ukerewe, ai carcerati Malawi Mouse Boys, al trio ruandese The Good Ones, agli album per la collana “Hidden Musics” della Glitterbeat. Il più recente, sulle tracce delle registrazioni di Samuel Charters negli anni ’70, ci aveva portati a Tamale, nel nord del Ghana, ad ascoltare i canti funebri dei frafra. In quella regione Ian Brennan e Marilena Umuhoza Delli hanno registrato oltre cento persone, raccogliendo sei ore di musica e (per ora) un breve documentario di sintesi delle registrazioni che portano la nostra attenzione su temi dolorosi e complessi: prima di presentare l’album abbiamo chiesto a Ian Brennan e Marilena Umuhoza Delli (autrice anche dei magnifici scatti) di raccontare in prima persona il loro viaggio attraverso un’intervista.

Com’è nato il vostro interesse per progetti di registrazione che coinvolgono musicisti non professionisti? Vorreste segnalare alcuni album chiave in questo ambito?
Ian Brennan - Mia sorella ha la sindrome di Down. La mamma di Marilena è una persona con disabilità fisica, emigrata dal Rwanda all’Italia. Entrambi siamo cresciuti osservando processi di marginalizzazione delle persone. 
L’intenzione con cui lavoriamo è quella di offrire delle basi ha chi parte con meno vantaggi – siano comunità o individui, a livello internazionale e negli Stati Uniti, per esempio con gli artisti senza fissa dimora del progetto Homeless Oakland Heart e con la popolazione cognitivamente disabile della California che ha dato vita all’album dei Sheltered Workshop Singers. Nell’estate del 2009 siamo stati in Ruanda con la mamma di Marilena. Dopo alcune settimane, abbiamo avuto la fortuna di incontrare uno splendido trio folk acustico, The Good Ones, e c on loro e le loro famiglie siamo in contatto ancor oggi. Dal 2009 abbiamo avuto la sorte di poter produrre oltre trenta album di artisti da quattro continenti (Africa, Europa, Asia, Nord America) e, fra gli altri, da Paesi quali Malawi, Sud Sudan, Romania, Comores e Vietnam.  Il nostro obiettivo è sostenere persone che in genere vengono censurate come che è albino nell’isola di Ukerewe, chi è sopravvissuto al genocidio in Ruanda e Cambogia, le persone incarcerate nella prigione di Zomba in Malawi. In particolare, sosteniamo le persone che hanno un’età avanzata, un modo per contrastare la tendenza al giovanilismo dominante nella maggior parte della musica di consumo. Crediamo che ci sia musica ovunque e con chiunque. In modo simile ai virtuosi, i musicisti “amatoriali” sono in grado di esprimersi in modo intuitivo e più libero e originale rispetto a musicisti allenati, ma spesso troppo formali.

Come viene considerate oggi in Ghana la “stregoneria” e qual è la relazione fra questi atteggiamenti e la recente crescita economica?
Marilena U. Delli - Come scrive un’acuta femminista italiana, Silvia Federici, in modo erroneo molti pensano che la persecuzione delle sia una pratica antica e “primitiva”. Ma è vero il contrario. Quasi tutte le caccie alle streghe in Africa sono state importate, a partire dal colonialismo. Queste persecuzioni moderne sono un riflesso delle caccie alle streghe medievali passate alla storia dell’Europa e in seguito delle colonie americane. Si trattava di caccie alle streghe nate quando le terre comuni hanno cominciato ad essere recintate ed assegnate. Chi in genere resisteva erano le donne anziane che si dimostrarono le più aperte oppositrici ai cambiamenti di matrice capitalista e alle pretese di proprietà su terre che fino a quel momento erano state condivise. Quindi, storicamente, è a loro che è stato imputato di essersi frapposte al “progresso”. 
La loro età avanzata le rendeva anche le più vulnerabili e in difficoltà a sopravvivere nelle economie competitive e individualiste. Come nella maggior parte del mondo e lungo tutta la storia, i comportamenti peggiori vengono spesso inflitti da un ristretto gruppo di estremisti e non rispecchiano necessariamente le convinzioni e le intenzioni della maggioranza.

Cosa vi ha portato in questi campi in Ghana, come avete scelto i tre campi che avete visitato e come avete organizzato le registrazioni?
Marilena U. Delli - Così come per altri progetti, siamo andati in Ghana senza che conoscessimo lì alcuna persona. Abbiamo semplicemente cominciato a cercare ed a seguire qualsiasi indizio ci venisse offerto. Abbiamo registrato in un campo riconosciuto formalmente come tale. Il secondo campo in cui abbiamo registrato viene negato che sia tale, ma che tutti conoscono come un campo di streghe. Il terzo è in un luogo remoto e segreto. Per riuscire ad arrivare ai villaggi non registrati come tali si è reso necessario percorrere strade polverose e piene di buche. Siamo anche stati indirizzati di proposito nel villaggio o nella direzione sbagliata. Una volta localizzati i villaggi, abbiamo dovuto interagire con un labirinto di intermediari elusivi: ognuno forniva indicazioni vaghe, alzate di spalle, rifiuti prima che fosse finalmente possibile essere ricevuti dal capo. Come per quasi tutti gli altri progetti, le registrazioni sono avvenute all’esterno, senza sovraincisioni.

Com’è la vita nei campi? Alcuni vedono i campi come “istituzioni totali”, altri come santuari e una strategia di contenimento locale. Qual è la tua prospettiva?
Ian Brennan - È una questione complessa. Il governo desidera chiudere i campi – e ha chiuso uno dei sei campi ufficiali poco prima della nostra visita, alla fine del 2018, mentre un altro campo è stato chiuso nel periodo successivo. Ma prima che i campi possano essere chiusi in modo responsabile, gli atteggiamenti all’interno della comunità devono cambiare e che le donne possano accedere ad altri posti dove sia loro possibile vivere in sicurezza. Non si tratta di cose facili. Molte di queste donne sono state assalite e/o minacciate di morte nel caso in cui dovessero tornare ai loro villaggi. Queste minacce sono reali: tragicamente, l’estate scorsa una novantenne è stata picchiata e data alle fiamme da una banda guidata da un “cacciatore di streghe”. 
In molti casi le donne vengono assistite e protette nei campi, ma purtroppo sono noti anche casi in cui sono state sfruttate nel lavoro dei campi e perfino costrette a prostituirsi.

Come sono state coinvolte nel progetto le donne che avete registrato? Vuoi presentarcele (affinità e diversità, fascia d’età, lingue, strumenti, temi delle canzoni...)?
Ian Brennan - Sono state coinvolte più di cento donne, abbiamo registrato più di sei ore di musica. La maggior parte erano anziane, con molte di loro sulla settantina. Molte sono ipovedenti o hanno disabilità fisiche e alcune lottano con problemi di salute mentale, tra cui la demenza e l’Alzheimer. Purtroppo, sono proprio queste condizioni che hanno portato o contribuito alla loro diffamazione.
Tutte, tranne una, non avevano mai suonato prima o scritto canzoni. I testi non sono tradotti e sono indecifrabili anche per molti locali, poiché non sono nelle lingue dominanti come l’inglese o l’akan, ma cantati nel dialetto regionale o nelle lingue meno parlate del nord. Le canzoni dell’album sono per lo più mantra, quasi preghiere, che ripetono le stesse parole o frasi più volte. I titoli stessi raccontano intere storie come “Hatred Drove Me From My Home” (“L’odio mi ha scacciato da casa mia”) e “Left To Live Like an Animal” (“Lasciata vivere come un animale”).

Si tratta di “canzoni comunitarie”? O un’espressione del sé individuale?
Ian Brennan - La maggior parte delle canzoni sono interamente “composizioni istantanee”, improvvisate sul posto, spesso utilizzando oggetti dell’ambiente immediato per la strumentazione – una teiera, bucce di mais, lattine, bottiglie di soda, rami d’albero, per citarne alcuni. Alcune delle canzoni sono corali. 
Ma anche in questi casi, come nella canzone “Love, Please”, un’anziana donna non vedente si è improvvisamente alzata e ha preso il comando. E che bellezza che si è rivelata!

Cosa vi attendete dalla pubblicazione di questo album?
Ian Brennan - Il nostro interesse è rivolto al processo piuttosto che al prodotto. Registriamo molta più musica di quella che pubblichiamo. Per quanto avvincente possa essere qualsiasi storia di fondo, la musica deve stare in piedi da sola. I dischi sono decisamente non commerciali, quindi non ci si aspetta che soddisfino i gusti di tutti. Nel corso degli anni, ho scoperto che la maggior parte della musica che mi piace non è necessariamente abbracciata da tutte le persone. Non lo porto come un distintivo d’onore. È solo una realtà che ho dovuto affrontare nel corso dei decenni, quando ho scoperto che il mio entusiasmo estetico non era condiviso dalla famiglia, dagli amici, e via dicendo. Non tutti vogliono ascoltare Ornette Coleman o Vic Chesnutt o canzoni in lingue diverse dalla loro oppure guardare un film classico come “I Vitelloni”. E non esiste un’opinione “giusta”. Ma io e Marilena dobbiamo credere nelle canzoni prima di condividerle. Altrimenti, è quasi un disservizio per gli artisti e gli ascoltatori. È stato incoraggiante che grazie alle voci delle donne il problema dei campi delle “streghe” abbia ricevuto una rinnovata attenzione, sia in Ghana che all’estero con l’interessa di media come la BBC e “The Guardian”. Speriamo che questa attenzione aiuti in qualche modo il governo e le comunità a forgiare un impegno più forte per continuare a lavorare per proteggere queste donne e trovare alternative di vita migliori per loro, in modo che possano essere reintegrate in modo sano nella comunità e non affrontare questa stigmatizzazione.

Che ruolo hanno le registrazioni filmate nel tuo lavoro e come pensi di diffonderle?
Ian Brennan - Marilena è specializzata in cinema del reale. Le clip sono atmosferiche e spesso permettono alle persone di accedere a musica che altrimenti non potrebbero neppure concepire. Nei suoi film, non ci sono quasi mai interviste, voci fuori campo o testi. L’empatia e l’amore di Marilena traspare nelle sue foto e nei suoi film. L’interesse non è quello di trovare l’”esotico”, ma di de-esoticizzare e presentare l’umanità comune, indipendentemente dalla regione.

Altro che desiderate aggiungere?
Ian Brennan e Marilena U. Delli - Grazie a “Blogfoolk” per aver aiutato a sostenere le voci e le storie di queste donne. È importante sottolineare che sono i poveri, gli anziani e i disabili a essere presi di mira come streghe. Questo destino non tocca quasi mai alle persone di elevata statura sociale. Ed è fondamentale ricordare che i malati mentali e i pazienti fisicamente disabili degli ospedali sono stati i primi ad essere sterminati dai nazisti, che li consideravano in possesso di una “vita indegna di essere vissuta”. Che si tratti dei campi delle streghe del Ghana o dell'incarceramento eccessivo delle minoranze maschili (e femminili) in tutto il mondo, i casi di de-umanizzazione in tutto il mondo sono tutt’altro che banali.

Alessio Surian e Ciro De Rosa


Artisti Vari – Witch Camp (Ghana) (Six Degrees Records, 2021)
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“Sono stata accusata”, “Mi fidavo dei miei famigliari, mi hanno tradito”, “L’odio mi ha strappata dalla mia casa”, “Quando il fiume è in secca, la canoa non può navigare”, “Abbandonata a vivere come un animale”, “Ero ammalata e non siete venuti a trovarmi”, “Un mondo senza promesse”: i titoli e i testi dei brani raccolti in “Witch Camp” raccontano la sofferenza di chi si è vista aggredita, ferita, esclusa, esiliata. Siamo nel Ghana settentrionale, regione rurale e più povera rispetto al resto del Paese, dove maggiormente è penetrato l’Islam. Le registrazioni sono avvenute all’aperto, nei campi dove le persone accusate di occultismo sono confinate: la visita inaspettata è stata l’occasione per esprimere e condividere i propri sentimenti, per trasformare in strumenti musicali il ramo di un albero o oggetti d’uso quotidiano: una teiera, una lattina, un palloncino. Ed un tamburo a doppia pelle, suonato da “Wizard”, uno dei pochissimi uomini nei campi. La raccolta comprende venti brani che vanno dal mezzo minuto ai quattro minuti. Ascoltando queste registrazioni colpiscono, soprattutto, due temi: da una parte, l’infelice condizione dell’essere state additate quali capri espiatori; dall’altra la pratica del canto come cura e narrazione di sé. Un bordone di campane offre il terreno per il primo canto, brevissimo quanto incisivo e indicativo della sfida che accomuna le donne che hanno voluto raccontarsi attraverso le loro canzoni in questa raccolta: “Devo costruire una nuova casa”. Altre volte il canto è quello del tamburo (“Wizard Drum”, “Only God Can Judge Me”), la prosodia della bacchetta che percuote la pelle ricavandone parole altrettanto amare, ma che in questo caso ricevono risposta: il sostegno di un coro, lo stesso conforto che ritroviamo nelle voci che si esprimono collettivamente in brani come “Protection”. Le tracce 11 e 12 trasmettono pienamente il senso dell’album: in “We are no different than you” una corda pizzicata fa da bordone ad un canto doloroso, appena sussurrato che trasmette l’assurdità della condizione in cui ci si trova a vivere; un attimo dopo “Love” (come farà poi anche “Love, Please”) dà fuoco alle polveri e scatena l’energia e la richiesta collettiva sollecitata dall’invito a cantare ed esprimersi in pubblico. È emozionante sentire l’energia e la sintonia fra la voce solista che sa salire alta e provocare la risposta collettiva delle mani e dei canti di chi la circonda che chiedono a gran voce amore. Si tratta di un contrasto commovente con gli altri brani che mettono a nudo dolore e fragilità e invitano a cogliere ogni minimo dettaglio di questa narrazione a più voci, comprese quelle degli uccelli nella già citata “We are no different than you” in cui sbucano dietro il bordone proprio nel finale, quando la voce tace e sembra ricevere un gesto di conforto più da loro che dagli esseri umani.


Alessio Surian
Foto di Marilena Umuhoza Delli

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