Nell’ambito delle celebrazioni per gli ottanta anni dalla nascita di Ivan Della Mea, l’Istituto Ernesto de Martino ha dato alle stampe due numeri monografici della storica rivista Il de Martino, dedicati al cantautore milanese e contenenti il primo gli scritti di carattere politico, pubblicati tra il 1993 e il 2009 sui quotidiani della sinistra (L’Unità, Il manifesto e Liberazione), mentre il secondo quelli dedicati alla musica relativi alle collaborazioni con riviste molto diffuse (Amica, Epoca, Linus) e quotidiani. Un’operazione, dunque, di straordinario rilievo culturale in quanto, entrambe le emissioni offrono uno sguardo di insieme sull’attività giornalistica di un “intellettuale autodidatta” che si definiva “creativo” e “militante comunista”, ma al pubblico era molto più noto come autore di canzoni di lotta. Le sue collaborazioni con la carta stampata, infatti, rappresentano un aspetto centrale nella sua attività di agitatore culturale e politico e, come scrive Antonio Fanelli nel saggio introduttivo al n.29, “valorizzando la faccia meno nota, ma in realtà più ricca di esperienze capiremo meglio l’intera figura umana e intellettuale di Ivan Della Mea, che è stato cronista, poeta e polemista sia nei brani musicali, sia - soprattutto – nella prosa giornalistica”. Curato da Antonio Fanelli e Mariamargherita Scotti, “Ivan Della Mea. Il penultimo comunista- Scritti sulla politica (1993-2000)”, distribuito con allegato l’emblematico album “Ho male all’orologio”, offre uno spaccato sulle trasformazioni del nostro paese in un momento cruciale della sua storia, quello che intercorre tra la caduta della Prima Repubblica dopo la Tangentopoli milanese e l’emersione del centro-destre berlusconiano, attraverso lo sguardo di Della Mea che, con passione e creatività, cercava di coniugare la salvaguardia del patrimonio storico delle “altre Italie” con nuove sfide etiche, ambientali, civili. Quello del cantautore milanese è un comunismo militante ma anche etico, poetico ed esistenziale e permeava la sua passione per la vita e il desiderio, forse utopico, di una società solidale in cui non esistevano diversità. I curatori nel compilare questa antologia di scritti hanno seguito come punto di riferimento la cultura dei ceti popolari, da sempre centrale nella poetica del cantautore milanese e sulla quale era necessario indagare per individuare le successive traiettorie politiche per i movimenti di sinistra nel confronto con la crisi dei grandi partiti e la globalizzazione economica. A fronte dell’incalzare del neo-liberismo, Della Mea si mostra sempre attento verso le fasce più deboli della società e con questo spirito aveva approcciato il lavoro di giornalista, dividendosi con quello di scrittore di gialli e dirigente ARCI, ma soprattutto impegnandosi nel costruire un dialogo tra istituzioni, territori e società civile. Aperto dalle lettere di Armando Cossutta alla Segreteria della Federazione Comunista di Milano e dalla corrispondenza con Loris Barbieri, il volume antologico presenta numerosi interventi di grande interesse nei quali sosteneva con forza la necessità di una svolta per i partiti di sinistra anche all’insegna dell’ambientalismo ed appoggiava le lotte sociali contro la de-industrializzazione, il degrado delle periferie e lo smantellamento del welfare. Allo stesso modo, emerge l’attenzione verso i movimenti pacifisti e quelli anti-globalizzazione, per giungere alle riflessioni amare sulle speranze infrante di una rinascita della sinistra di fronte al successo politico di Silvio Berlusconi e al crescente consenso che intercettava la Lega di Umberto Bossi. Colpiscono i necrologi densi di ricordi e memorie (Franco Fortini e Roberto Leydi), le lettere aperte (splendida quella a Marco Paolini e Giovanna Marini) e le sue riflessioni da comunista (si definiva ideatore della corrente dei “cani sciolti” del PCI) tanto di fronte alla deriva neo-liberale dei progressisti, quanto sullo smantellamento della rete politica sul territorio che rappresentava la linfa vitale del rapporto tra cittadini e partiti. In questo contesto, non mancano scritti dedicati alla sua attività all’Arci di Milano e all’Istituto Ernesto de Martino di cui aveva assunto la presidenza dopo al morte di Franco Coggiola e che amava definire “officina della memoria e della storia”. Completano il volume gli illuminanti interventi di Francesca Chiavacci (Arcicorvettocheincormistà) e Alessandro Portelli (Chi fa domande non morirà) che forniscono una interessante chiave interpretativa per il lettore.
Dalle ricerche sulla produzione giornalistica di Ivan Della Mea sono emersi anche numerosi articoli sulla musica popolare e di protesta degli anni Sessanta e Settante e quelli sulla popular music a cui si dedicò a metà degli anni Ottanta collaborando con il mensile femminile “Amica”, misurandosi spesso con le voci della musica pop italiana ed internazionale. E’ nato così, il n.30 “Ivan Della Mea. E chi può affermare che un sampietrino non fa arte? Scritti sulla musica (1965-2009”, con la curatela di Jacopo Tomatis, che ci offre un sorprendente spaccato sulla capacità del cantatore milanese di offrire una lettura non convenzionale della musica che gli girava intorno, ponendosi da una prospettiva diversa ed assolutamente originale rispetto a quella dei giornalisti di settore. Introdotto dall’interessante contributo del curatore dal titolo “La chitarra e il potere, il blues e il rock’n’roll: Ivan Della Mea e la popular music”, il n.30 de Il de Martino propone in apertura l’appendice contenente il carteggio tra il Nuovo Canzoniere Italiano e Gianni Morandi, risalente al 1966, nel quale Michele Straniero invitava il cantante emiliano ad interpretare i brani della tradizione popolare e i canti di lotta, seguiti dalla garbata replica di quest’ultimo in cui rappresentava le difficoltà di lanciare questo repertorio come 45 giri e l’eventuale possibilità di inserirli in un Lp o proporli in concerto. Del 1972 è, invece, la lettera di Giovanni Pirelli, sempre a Gianni Morandi in cui rinnovava l’invito fatto a suo tempo da Straniero. Il cuore del volume è rappresentato dal florilegio degli articoli a firma di Ivan Della Mea, proposti in rigoroso ordine cronologico dal 1965 al 2009, e della cui lettura non dovrebbe privarsi tanto lo studioso di popular music, quanto il semplice appassionato. Pagina dopo pagina si segue il percorso compiuto dal cantautore milanese con i contributi degli anni Sessanta e Settanta focalizzati nel racconto del suo lavoro e in riflessioni sulla canzone di protesta (si veda “Perché nascono le nuove canzoni di protesta” del 1965), sul rapporto tra musica e politica (“La chitarra, il potere e altre cose” del 1975), l’attività di operatore culturale, le risposte a polemiche e critiche e gli interventi nei dibattiti sulla stampa. Gli articoli relativi agli anni Ottanta scritti per “Amica”, “Epoca” e “Linus” ma anche per giornali come “L’Unità” e “Il Manifesto” accanto ai temi del passato (da leggere, in particolare, è la lettera a Giovanna Marini del 1977) vedono affiancarsi le splendide interviste con Fabrizio De Andrè, i Pooh, Raoul Casadei, Francesco De Gregori, Domenico Modugno, Gianna Nannini, le recensioni di dischi, di concerti (imperdibili sono quelli relativi alle esibizioni di Bob Dylan a Verona nel 1984 e a Milano nel 1987 con Tom Petty & The Heartbreakers) e le riflessioni sui nuovi fenomeni musicali come il rap, le posse e la world music a cui riserva critiche aspre e, per certi versi, anche condivisibili. Della Mea mostra spesso entusiasmo verso la musica leggera, ritorna e rivede i giudizi del passato ma non mostra mai rimpianto verso la stagione politica di cui fu protagonista. Negli anni duemila, lo scopriamo innamorato de “Il Fischio del Vapore” di Giovanna Marini e Francesco De Gregori e commosso per la scomparsa di Giorgio Gaber , ma anche fermo nel sostenere le ragioni degli E Zezi di fronte alla scissione del gruppo e profondamente critico verso il Dizionario dei Cantautori. Che dire poi dei bei ritratti che fa di Piero Brega e Giuseppe “Spedino” Moffa o del dialogo con Sergio Blasi ne “Il sindaco e la Notte della Taranta” se non il fatto che leggendoli si avverte ancora fortissima tutta la sua passione e l’amore per la musica e la militanza politica.
Salvatore Esposito
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