Vasco Brondi – Talismani per tempi incerti (Live estate 2020) (Cara Catastrofe/Gibilterra, 2020)

Nonostante cominci ad avvicinarmi, come numero di articoli, alla doppia cifra anche su queste pagine, ancora mi chiedo cosa ci faccia esattamente qui su “Blogfoolk”. A rigore di logica sarei totalmente sbagliato, anche solo come provenienza artistica, incline come sono a chitarre distorte e muri di suono. Però la musica barriere non ne conosce, e questo andrebbe costantemente tenuto a mente, ed allora sono qua a parlare e raccontare di uno degli artisti più incisivi, degli ultimi dieci anni, per quanto riguarda la musica d’autore, vale a dire Vasco Brondi. In un contesto nel quale si parla sempre più spesso di indie, intendendolo come un genere musicale, la figura di Brondi è davvero una di quelle seminali, quantomeno per il tanto sbandierato indie degli anni ’10. Vasco Brondi e Le Luci della Centrale Elettrica sono riusciti a sdoganare, complice un genius loci abbastanza favorevole (e, purtroppo, al momento lontanissimo), un intero universo poetico, fatto di decadentismo di provincia, marciume e disillusione. Si sta parlando del più decisivo, non necessariamente del più bravo o del più geniale, a me personalmente alcuni suoi pezzi non mi entusiasmano più di tanto. Però, per approccio e resa di quell’approccio, rimane per distacco il più decisivo, quello che ha davvero contribuito a far uscire una scena dalla nicchia. Proprio per questo, parlare delle apparizioni artistiche di Brondi è sempre molto interessante. Ed, in tempi di profonde incertezze, lui, la scorsa estate, ha deciso di fornirci degli amuleti, dei talismani, qualcosa a cui poterci aggrappare. Lo ha fatto in un recital che mescolava poesie e canzoni, il tutto condito da quel clima incredibilmente rarefatto ed evocativo che riesce a mettere in ogni suo lavoro. Da questo spettacolo, che era per l’appunto, “Talismani per tempi incerti”, ha preso vita un disco live omonimo, una bella raccolta di canzoni (non solo sue) e poesie cui aggrapparsi in tempi brumosi. Andiamo a vedere meglio. Un muro di suono a fare da tappeto apre il disco. Su questo muro si staglia la voce di Brondi, che legge “Non”, poesia di Erri De Luca. La voce di Brondi è ferma, sicura, sembra davvero venire da un altro tempo, quasi ascetica. Il primo brano cantato viene da “Costellazioni”, ed è “Le ragazze stanno bene”. Il vestito sonoro è prettamente acustico, con una chitarra a guidare la ritmica ed un violoncello a contrappuntare. “Forse si trattava di dimenticare tutto come in un dopoguerra/ E di mettersi a ballare fuori dai bar/ Come ha visto in certi posti della Ex-Jugoslavia./ Forse si tratta di fabbricare quello che verrà Con materiali fragili e preziosi/ Senza sapere come si fa”. Terza traccia è una cover di “Magic Shop”, direttamente dal Battiato de “L’era del cinghiale bianco”. Discorso che accomuna quasi tutte le cover è che, onestamente, non mi hanno fatto strappare i capelli, diciamo che non mi fa impazzire quando viene cambiato il motivo originale. E, proprio nel caso specifico, non mi è piaciuta la scelta di togliere l’ultima strofa. Nota di merito, invece, è l’aver trasportato perfettamente la propria poetica nell’interpretazione dei brani non suoi, che difatti suonano dilatati e rarefatti, perfettamente alla Vasco Brondi. In questo caso, a sorreggere tutto c’è solo un pianoforte. Altra cover, questa sì, che mi è piaciuta molto, è “Cronaca montana”, pezzo dei Per Grazia Ricevuta. Un pianoforte fa da tappeto ad una tessitura vocale corale molto interessante. Sotto, chitarra elettrica e violino danno colore all’arrangiamento. Si torna a “Costellazioni” con “Punk sentimentale”, anche qui presentato con un vestito sonoro basato su tastiera per la parte ritmica e violino per la parte solista, che allarga l’atmosfera del pezzo, rendendolo quanto mai evocativo ed immaginifico. Una poesia di Mariangela Gualtieri, “Ma adesso io”, fa da sesta traccia dell’album, ed è montata sotto un tappeto musicale dal quale svetta un violino altissimo, in perfetta coordinazione con la potenza della poesia. Il recitato di Brondi è incessante e veloce, quasi tempestoso. “Benedetto schianto. benedetta ira/ Benedetto salto perpendicolare di qualcuno/ Benedetto ognuno. che non ce la fa.” “Waltz degli scafisti”, pezzo del nostro, ha una chitarra acustica a scandire la ritmica, mentre un delicato arpeggio di chitarra elettrica e dei contrappunti di archi danno note di colore ed imprevedibilità. Altra splendida lettura, stavolta con la nuda voce, è quella di “La strada”, poesia di Ko Un. “Se la strada non c'è, la costruisco mentre procedo. Da qui in poi, storia. Storia non come passato, ma come tutto ciò che è.” Altra rivisitazione è “In viaggio”, capolavoro del Consorzio Suonatori Indipendenti. Un pezzo che si presta perfettamente alla fisionomia acustica, tant’è che le sue altissime vette poetiche sono perfettamente rese dalla delicatezza degli arpeggi di chitarra di sottofondo, che si intreccia alla perfezione con il pianoforte che sorregge tutto. I contrappunti degli archi, soprattutto sul ritornello, contribuiscono a dare al pezzo l’atmosfera ieratica che lo contraddistingue. Sempre da “Costellazioni” è estratto “I destini generali”, piccolo capolavoro del repertorio di Brondi. Anche qui il violino si prende la parte solista, distendendo l’atmosfera di un pezzo sostenuto ritmicamente dalla chitarra: “Poverissima patria, evviva evviva la deriva economica.” Sulla versione brondiana di “Noi non ci saremo” è da segnalare la presenza di Margherita Vicario. Rispetto alla versione, discutibile, che la Vicario ne fece qualche tempo fa, questo arrangiamento è decisamente più vicino al senso stesso del pezzo, con una dinamica musicale più lontana e soffusa, resa perfettamente dal tappeto sonoro sul quale si stagliano, imperiosi, degli archi rarefatti. Su “Qui” sono assolutamente imparziale, è uno dei miei brani preferiti di Brondi, e la sua versione live è probabilmente la cosa che mi è piaciuta di più di questo lavoro. Le incursioni di piano elettrico e violino dissonante a sporcare la ritmica della chitarra hanno una resa clamorosa, polverosa ed umana come “quella prateria infinita/ piena di pericoli/ strapiena di vita” di cui parla il pezzo. Su “Smisurata preghiera” credo non ci sia molto da dire. Qui è sorretta da un pianoforte, contrappuntato dagli archi, e Vasco ne rende perfettamente lo spirito, anche se, come detto, non mi fa impazzire la variazione sulla linea melodica, ma sarà un problema mio. Altra poesia è “Un incontro inatteso”, di Wislawa Szymborska in cui il recitato è più contenuto, più riservato, meno burrascoso (“Ci fermiamo a metà della frase/ senza scampo, sorridenti/ la nostra gente/ non sa parlarsi”). Alla poesia della Szymborska segue “Chakra”, reso meravigliosamente in un arrangiamento più intimo, col piano in primo piano, un tappeto di archi sotto ed uno splendido recitato sull’ultima strofa. Altro momento poetico viene dal canzoniere di Mario Luzi, con la sua “A volte si tocca il punto fermo e impensabile”. Un leggero piano di sottofondo accompagna il recitato di Brondi, pieno e potente, in perfetta linea con la poesia. “A volte si tocca il punto fermo e impensabile dove nulla da nulla è più diviso, né morte da vita, né innocenza da colpa, e dove anche il dolore è gioia piena.” “Mistica” è l’ultimo pezzo di Brondi presente in questo lavoro. La chitarra acustica sorregge la ritmica, mentre piano e violino entrano nel ritornello, costituendo un piccolo crescendo sulla dinamica. Il solo di archi pizzicati e piano che apporta la variazione ritmica è una chicca stilistica molto, molto interessante, in un motivo puro e poetico (“Mondana e mistica/ Volevi solo musica elettronica/ Una cassa dritta, una cassa dritta Una cassa dritta nell’anima”). La cover di “Annarella”, fra i capolavori dei CCCP, è arricchita dalla chitarra di Massimo Zamboni, e si presenta come un delicato omaggio, sostenuto da un tappeto di elettronica sul quale piano e violino si rincorrono alla perfezione, con un intreccio vocale elegante e leggero. A chiudere il disco è “Bello mondo”, poesia di Mariangela Gualtieri, una commovente e personale prosecuzione di quel capolavoro che è la “Poesia dei Doni” di Borges. Anche in questo caso, a scandire questo splendido testo è la sola voce di Brondi, in una interpretazione potente e piena di pathos. “In quest’ora della sera, da questo punto del mondo/ ringraziare desidero il divino/ labirinto delle cause e degli effetti/ […]/ per la scrittura e la lettura/ che ci fanno esplorare noi stessi e il mondo”. In questa carrellata di immagini, canzoni e poesie non c’è una cosa che non sia fuori posto, è tutto esattamente centrato e ben collocato. E l’importanza di questo lavoro sta proprio nel trovare una perfetta misura nell’approccio artistico e civile alle tematiche trattate, nell’aver inteso l’importanza dell’arte del racconto in una maniera altissima e fondamentale. Vasco Brondi rimane una voce importante, un vero talismano da portarsi dietro in questi tempi incerti. 


Giuseppe Provenzano

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