Sa essere dolce, sa cullare come un’onda la musica di Tao Ravao, soprattutto quando dai suoi strumenti a corde, valiha e kabosy, sa trarre delicati armonici come nell’apertura di “Agriolykos”, primo brano di “Piment Bleu”. Ma la sua, per antonomasia, è una musica nomade, incline al viaggio e ad offrire morbidi arpeggi all’armonica di Vincent Bucher, da anni compagno di viaggi e di dialoghi musicali, pronto ad imprimere ad «Agriolykos» sinuosi cambi di passo prima di tornare alle atmosfere rarefatte iniziali, compiendo la prima delle numerose iterazioni che attraversano questo fluido lavoro musicale in undici, affascinanti, tappe. Il loro primo territorio d’incontro è il blues, quello che esplode gioiosamente, attraverso il ritmo scandito principalmente dall’armonica, nella strumentale “Piment Blue” o in “Tell Me” con l’introduzione del canto, questa volta in un inglese che evoca il Mississippi, a riannodare il filo che per molti anni ha legato Tao Ravao a Homesick James.
Aveva dodici anni Tao Ravao quando ha lasciato il suo Madagascar per la Francia, accompagnato dalla passione per gli strumenti a corde: mandolino, banjo e poi chitarra, strumenti ideali per un musicista di strada, il suo mestiere principale per sette anni. L’incontro con Homesick James gli ha permesso di crescere accanto ad un bluesman esperto e di suonare in festival europei e nordamericani. Sorte analoga a Bucher, altro musicista precoce, innamorato dell’armonica, che ha avuto nel veterano Sugar Blue il suo mentore.
Fondamentali per questo duo sono stati i soggiorni in Africa: per Tao Ravao si è trattato di un ritorno in patria nel 1988, sulle tracce delle musiche che aveva respirato da bambino. Nasce così il trio dedicato a musiche di matrice tradizionale con Justin Vali, l’adozione del kabosy, le collaborazioni con D’Gary, Jean Émilien, Sengue e Rajery; mentre Vincent Bucher collaborava in Africa Occidentale con artisti di primo piano: Lobi Traoré, Adama Namakoro Foumba, Faytinga, Janet n’Dyaye e Boubacar Traoré.
In duo questi artisti offrono il meglio di sé e dei dieci album incisi a proprio nome da Tao Ravao questo è il settimo che condivide con Vincent Bucher. Si tratta di un disco che scorre intenso e felicemente abbondante di idee e di valori. A cominciare dai brani dedicati a Nelson Mandela, Thomas Sankara e Adama Traoré. “Adama” è dolente, piange in inglese la morte di una giovane uccisa dalla violenza della polizia nel 2016 nella Val-d’Oise. Chiede verità e giustizia in merito alla sua morte ed ammonisce: non c’è pace senza giustizia.
A “Madiba” i due musicisti dedicano il brano centrale dell’album, quello più esteso dell’album, quasi sei minuti, energico e evocativo a celebrare il potere di chi mette la propria anima in quel che fa. Entrambi ce la mettono tutta alternando ruoli di accompagnamento e di solisti, stacchi ritmici, chiamate vocali e risposte strumentali, ampliando negli acuti e nei gravi, più che negli altri brani, la gamma sonora dei propri strumenti. “Sankara” arriva appena prima della chiusura e dopo un’introduzione che scorre come un fiume nella stagione giusta ti prende per mano con una delle melodie più riuscite, un brano strumentale che sta lì a ricordarci l’enorme potenziale della musica in chiave panafricanista e l’imprescindibile opera di Thomas Sankara in Burkina Faso e in Africa Occidentale in questa prospettiva.
La maggior parte dei brani sono cantati in inglese, ma fanno capolino anche il francese e il malagasy. La lingua del Madagascar è protagonista di brani come “Alahelo” - un saluto affettuoso a coloro che amiamo e che ci devono lasciare - e “Akoriabe”: l’armonia rarefatta lascia eguale spazio all’armonica di Vincent Vucher e alla voce di Tao Ravao che qui, attraverso brevi strutture circolari, sanno fermare il tempo e dedicare spazio ed anima al cordoglio per chi è morto. “Semelles de vent” è un bel blues andante, l’unico composto a quattro mani, che ricorre al francese per cantare in coro la bellezza di un approccio lento e vagabondo alla vita.
L’album è anche un’occasione per ascoltare insieme al canto in malagasy i bei toni della valiha, lo strumento a corde del Madagascar con una grossa canna di bambù a fare da cassa armonica. È in evidenza, per esempio, in “Ranovelo” accanto agli accenti di piccole percussioni che trasmettono il flusso di un viaggio alle fonti dell’unità, sospinto dal ritornello “rock my soul”.
Alessio Surian
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