Paese Mio Bello – L’Italia che cantava e canta (Soundfly, 2020)

Piacere del canto e incanto delle voci: in sette parole il senso di questo concerto a quattro voci: Lello Giulivo, Gianni Lamagna, Anna Spagnuolo e Patrizia Spinosi, accompagnate dalle linee delle chitarre (Michele Boné e Paolo Propoli). I quattro si sono incontrati molto giovani quarant’anni fa o forse poco più al magistero di Roberto De Simone, hanno percorso in parte strade comuni per poi seguire le singole aspirazioni artistiche tra musica, teatro e cinema. Ritrovatisi nel 2018 per questo progetto, eccoli cimentarsi in un recital ispirato da una raccolta di canzoni popolari registrate da immigrati italiani negli Stati Uniti d’America intorno ai primi tre decenni del Novecento e custodita alla “Library of Congress” di Washington. Però, il programma proposto presenta espressioni e motivi di ampio arco temporale – cinque secoli di musica che attraversa epoche, generi e luoghi – guidati dalla consapevolezza del canto, da una grande maturità espressiva di artisti che non hanno limiti nei loro orizzonti espressivi. L’album è accompagnato da un bel booklet contenente i testi dei brani e numerosi scatti delle performance dell’ensemble. Paese Mio Bello parte con i versi del sonetto 116 di Shakespeare, poi arrivati fino in fondo all’album eseguono anche il n. 111 del bardo inglese: si tratta di traduzioni in napoletano dello stesso Lamagna, che le ha musicate realizzando un lavoro culturale encomiabile pubblicato nel suo eccellente “Neapolitan Shakespeare”. Toccano poi il repertorio della villanella (“Tre Villanelle”), di Pergolesi (“Chi disse ca la femmena”) e Vinci (“Duetto di Meneca e Colagnolo”), motivi dell’imprescindibile Raffaele Viviani (“A rumba d’’e scugnizze”, “Si overo more ‘o cuorpo”, “Carmè m’alluntano pe’mmo”), composizioni originali di Lamagna (“E fammi capì”, “Se po sunà” e “D’ ‘o mare e dd’ ‘e rrose”), temi tradizionali da nord a sud della penisola (“La bella la va al fosso” e “Acciduzzu”), repertorio della canzone napoletana di fine anni Cinquanta (“Vieneme ‘nzuonno”), aperture d’oltreoceano al tango a alla canzone messicana (“El dìa que me quieras”, (“Cancion Mixteca/ Tango/ Cielito Lindo”), Francisco de la Torre che incontra la villanella (“Villancinelle/Villancico/Villanelle”), l’omaggio a Sacco e Vanzetti (“Lacreme ‘e cundannate”), una virtuosa, singolare e gustosa “Suite Napoletana” che attraversa di nuovo il canto di Napoli per finire con un frammento cantato a cappella della fossatiana “La musica che gira intorno”. Mirabile intreccio del canto, voci versatili che posseggono le diverse grammatiche, ma che sfuggono all’inquadramento e all’asfittica geometria dei confini del genere, che cantano col cuore; voci-strumento che all’occorrenza supportano senza sperperi le linee essenziali, puntali e raffinate delle corde nel segno della bellezza della melodia e della poesia. 


Ciro De Rosa

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