Jacarànda – Jacarànda Vol. 1. Piccola orchestra giovanile dell'Etna (Viceversa Records/Associazione Musicale Etnea/Audioglobe, 2020)

Dopo un temporaneo allontanamento, previo ottenimento del riavvicinamento territoriale, torno a scrivere della Sicilia e dei suoi frutti musicali. Lo faccio con un progetto musicale che rientra pienamente fra quelli che definirei indispensabili. Il dato musicale lo lascio momentaneamente in secondo piano (sai che novità?, direte), per fermarmi un momento su un aspetto fondamentale della musica, una delle sfaccettature che noi, dall’interno, diamo per scontata, ma che merita sempre di essere ricordata: la potenza aggregativa della musica. Chiaramente è un dato che sottolineo da musicista prima ancora che da chi di musica scrive. Per mia esperienza artistica, si licet, personale sono particolarmente sensibile all’utilizzo della musica come collante sociale e come strumento di social catena, in qualche modo. Quella del collettivo Jacarànda lo è. E non esito nel dire che mi ha commosso. Non tanto con le canzoni, quanto con lo spirito, con la potenza catartica che dentro quelle canzoni c’è. La Jacarànda Piccola Orchestra Giovanile nasce nel 2017, dal contributo fondamentale di Puccio Castrogiovanni, anima dei Lautari, uno nei cui confronti la Sicilia musicale ha un debito quasi incalcolabile. Dalla collaborazione fra Castrogiovanni e l’Associazione Musicale Etnea nasce, appunto, il progetto Jacarànda. In seguito, da un concerto tenuto all’Istituto penale per minorenni di Acireale, nasce un vero e proprio laboratorio di scrittura creativa con i ragazzi detenuti, rimasti colpiti da quel concerto. Da questo laboratorio nasce l’esordio discografico di Jacarànda. Disco che si apre con l’intenso arpeggio di chitarra classica di “Cca manca”, sorretto dalla voce di Alessandra Pirrone. Brano che racconta della mancanza e dell’alienazione del carcere: “manca a quieti rintra je fora”. “Quattru” ha una chitarra acustica a trainare la ritmica, poggiata alla perfezione su un pattern di percussioni. Nella strofa un clarinetto apre il pezzo dando colore, mentre il ritornello è una esplosione di potenza musicale ed interpretativa, con un mandolino a contrappuntare ed una zampogna ad allargare definitivamente la composizione. “Porta nsirrata” parla di reclusione. Infatti presenta una strofa quasi angosciante, con i colori arabi di oud e bouzouki a sorregerla. L’apertura musicale del ritornello è un’apertura alla speranza: “si cu tia mi porti, nna sti strati pi’ sempri sarò. M’aggiuva ‘pocu i forza, a’ libertà nun c’è ‘nta sta cagghia.” Quarta traccia è “A ddi tempi”, a mio gusto il pezzo più bello di tutto l’album. Un pattern di percussioni ossessivo e polveroso scandisce la strofa, con la linea di basso ed i contrappunti di bouzouki a dare dinamismo e colore. Il ritornello è una esplosione di colori mediterranei: preceduto da un crescendo di percussioni, ha un clarinetto a fare da linea melodica ed una fisarmonica come tappeto. “A moriri semu tutti spetti, picchì sulu ‘a vita nun c’è riparu.” Il minimalismo di “Cca manca” ritorna su “Vuautri”, meravigliosa preghiera laica sorretta da un arpeggio di chitarra, cui gli interventi delicati di kalimba, arpa e basso danno colore ed eleganza. Questo brano mette in chiaro una cosa: per certa musica, al centro c’è la voce. Poi viene tutto il resto. Ma la voce deve avere il potere di trascinare, far entrare dentro il pezzo, anche emotivamente. Quella di Sara Castrogiovanni, in questo caso, ci riesce alla perfezione. “Canciari”, sesta traccia dell’album, ha un ritmo vorticoso, accentuato da una linea di basso avvolgente e da un riff di bouzouki. Le svisate impazzite di un clarinetto ed una fisarmonica a fare da tappeto completano l’opera. A movimentare ulteriormente il tutto ci pensano le barre di Kaled Zaguez, rette dal bouzouki di cui sopra. “I misi di l’amuri” è un delicato valzer che vede la chitarra a sorreggere la ritmica, il mandolino protagonista delle parti soliste, un glockenspiel a contrappuntare e, sul ritornello, un tappeto di fisarmonica e clarinetto. Splendida la linea vocale, a metà fra recitato e cantato. Il testo è una specie di “Canzone dei dodici mesi” gucciniana, declinata alla perfezione in chiave amorosa. Su “Peri tunni”, storia di pregiudizio e redenzione, ritornano le atmosfere secche e riarse della Sicilia in modo minore. Un pattern di percussioni terrose ed una linea di bouzouki ossessiva scandiscono le strofe. Il solo di clarinetto è denso di odori antichi e sapori di storia, e catapulta il brano verso atmosfere lontane e misteriose. “Taliu fora” è, per testo, tensione interpretativa ed eleganza, il motivo più commovente dell’album con chitarra, glockenspiel e voci. E basta. Tre strumenti, usati in modo magistrale, definiscono un pezzo che, in linea col testo, diventa una di quelle piccole epifanie di felicità immotivata, di quella che ti fa piangere e ti fa sentire vivo. A sorreggere “Munnu pessu” è una fisarmonica, ritmata ulteriormente dal perfetto incontro fra percussioni e linea di basso. Il clarinetto scandisce il ritornello, che esplode con un coro scatenato. Il solo impazzito di friscalettu colora ulteriormente il pezzo. “Paremu angili quannu abballamu!” “Mi movu” prosegue il solco degli interventi minimal dell’album: due chitarre sorreggono il recitato intenso di Alessandra Pirrone, che diventa parte cantata doppiata egregiamente dai cori di Benedetta Carasi. Il violino struggente sul finale è la splendida conclusione di un brano dal pathos incredibile. A chiudere l’album è “Giuglianese rotante”, un caleidoscopico trip di sei minuti basato su una danza tradizionale nel quale trovano ampio sfogo le voci dei ragazzi dell’Istituto penitenziario per minorenni di Acireale e tutti gli strumenti dell’ensemble cha ha suonato. In conclusione, questo album è un enorme racconto di libertà, in barba al luogo nel quale è nato. C’è dentro il Mediterraneo, ci sono tutte le contaminazioni della Sicilia, con le sue mille contraddizioni ed i suoi mille colori. Un lavoro prezioso, pieno di vicinanza umana. Ed, in tempi di distanziamento, scusate se è poco. 


Giuseppe Provenzano

Posta un commento

Nuova Vecchia