Considerato uno dei padri del free-jazz, Cecil Taylor è soprattutto una delle figure più luminose e singolari della musica contemporanea del Novecento, avendo spostato più avanti il confine della ricerca espressiva sul pianoforte intrapresa da Thelonious Monk, fino a condurla verso la sperimentazione più ardita ed estrema. Sin dagli anni Cinquanta il pianista newyorkese si segnalò non solo per il suo approccio stilistico molto energico, ma anche per la peculiare tecnica paragonata spesso alle percussioni e descritta come “88 tamburi accordati” ("eighty-eight tuned drums", in riferimento al numero di tasti nel pianoforte). In questo senso, la sua unicità è rappresentata dalla capacità di coniugare la musica contemporanea con la black music e la sua urgenza di espressiva. Nell’arco di cinquant’anni di carriera, Cecil Taylor ha dato vita ad un viaggio straordinario attraverso esperienze musicali differenti, sia in solo che al fianco di straordinari strumentisti, nel corso del quale non si è mai abbandonato al facile successo o alle mode, ma piuttosto ha mirato esclusivamente ad esprimere sé stesso e la propria creatività come dimostrano album eccezionali come “The World Of Cecil Taylor” inciso nel 1960 con Archie Shepp, Buell Neidlinger e Denis Charles, “Nefertiti, The Beautiful One Has Come” di due anni dopo in trio con Jimmy Lyons e Sunny Murray, il live “The Great Concert Of Cecil Taylor” del 1969 e il solo “Indent” del 1973. Non è tutto, però, perché la sua discografia è un magico labirinto in cui perdersi per ritrovarsi dinanzi a monumenti come “It Is In The Brewing Luminous”, registrato dal vivo nel 1980 con una formazione pazzesca in cui spiccavano Ramsey Ameen e Jerome Cooper e “Looking” del 1990 e “The Owner of the River Bank” della leggendaria Italian Instabile Orchestra. Prezioso documento dell’attività sul palco di Cecil Taylor è il recente doppio album dal vivo “At AngelicA 2000 Bologna”. Il primo disco “Dance of all seasons” raccoglie le registrazioni del concerto in solo, di oltre un’ora di durata, tenuto il 10 maggio 2000 nel capoluogo emiliano, proprio quell’anno eletta Capitale Europea della Cultura. Aperta dalla spettacolare esecuzione di “Coptic Light” di Morton Feldman dell'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta da Jurjen Hempel, la serata fu un evento unico ed irripetibile nel suo genere e questo lavoro ci restituisce intatto tutto il fascino di quella performance. In piena libertà, il pianista newyorkese ci accompagna alla scoperta architetture sonore dadaiste, volteggiando tra danze immaginifiche, sospese tra politonalità estreme ed echi di Scriabin, tra musica e parola, note e poesia, suono e onde di forma. La vera perla di questo doppio album è, però, il secondo disco “Rap (Pubblic Meeting)” nel quale è racchiusa la registrazione integrale dell’intervista-incontro con il pubblico bolognese, moderato dal musicologo Franco Fabbri, che vide protagonista Cecil Taylor. Ad aprire le danze è una lunga dichiarazione di Taylor, uno statement complesso sul suo concetto di musica pieno zeppo di citazioni e riferimenti, tutti puntualmente riportati nel glossario che accompagna la trascrizione integrale nel corposo booklet con la curatela dello storico del jazz Francesco Martinelli e che accompagna il disco. Scopriamo che la musica non è “separata dal suono che esiste” quasi a citare Cage senza nominarlo. Si prosegue con la sua formazione e l’influenza l’architettura nella sua musica, ma la vera sorpresa è scoprire Taylor avventurarsi in una scorribanda funambolica tra ricordi personali (mia madre “mi ha dato da leggere Schopenhauer quando avevo undici anni, magari era matta”) musica (“amo Eric Dolphy, Albert Ayler, Jimmy Lyons, Andrew Cirille”), politica, studio, voodoo, kachina (parola hopi che indica chi «porta la vita»), danze, poemi, rituali e diete. Chiude il disco “No Matter What - Montage of Meanings”, l’omaggio realizzato dal direttore del festival Massimo Simonini che ha editato assieme estratti del concerto e dell'incontro pubblico. Imperdibile!
Salvatore Esposito
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