Martin Simpson – Home Recording (Topic, 2020)

Un mucchio di cover di canzoni famose, qualche strumentale, un paio di recuperi da dischi precedenti, ma soprattutto uno showcase delle impressionanti abilità del nostro alla chitarra (e anche al banjo e all’ukulele) e come cantante: questo è il bellissimo regalo di Martin Simpson per la fine dell’anno in tempi di Covid e di reclusione forzata. Il programma era registrare un album dal vivo, ma i reiterati annullamenti di concerti, tournèe e festival hanno portato l’ottimo Simpson ad optare per una soluzione…interna, utilizzando presumibilmente il repertorio che del disco live avrebbe fatto parte: quattordici tracce, per un totale di 45 minuti tondi di musica, con tanto di sottofondo di uccellini e starnazzanti oche in un paio di brani, quasi a sottolineare la quotidianità dell’ambientazione. Fra i brani incisi, quattro brani importanti e famosi, la bella “Family Reserve” di Lyle Lovett, una “Angel from Montgomery”, pezzo-firma del grande John Prine, incisa pochi giorni dopo la morte dell’autore, l’ennesima versione di “October Song” della Incredible String Band e una “The Times They Are A-changing” simpsoniana fino al midollo che fa pensare che Martin potrebbe incidere un bel disco delle cover dylaniane da lui affrontate nel corso della carriera, da “Masters of War” a “Boots of Spanish Leather” a “North Contry Blues”. Poi i richiami della tradizione inglese in “Wren Variations” (ovvero la ballata “Cutty Wren”, in una bella e inaspettata versione strumentale) e in “Admiral Benbow”, già incisa nel lontano 1980 nel sublime “A Cut Above” insieme a June Tabor. Così come già ascoltate in precedenza sono “Plains of Waterloo”, qui in una versione estesa che conferma la perizia di Martin alla chitarra slide, il classico di Blind Willie McTell “Delia”, l’autografa “An Englishman Abroad”, spogliata di tutti gli orpelli della versione presente in “True Stories” e una “House Carpenter” che dimostra anche l’abilità di Simpson al banjo, così come nella canzone di Mike Waterson “Three day Milionaire”, seguita da uno splendido fiddletune. L’album numero ventidue della produzione del grande chitarrista di Sheffield contrasta con suo precedente “Rooted” che contava sulla presenza di un congruo numero di ospiti, ma è tutt’altro che un disco dimesso o semplicemente situazionista; è un lavoro di grande spessore che testimonia, se mai ci fosse ancora ancora bisogno della classe, della tecnica e dell’unicità di uno degli ultimi grandi artisti del revival britannico.


Gianluca Dessì

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