Ana Carla Maza – La Flor (Autoprodotto, 2020)

Cile, la terra del padre, Cuba, dov’è cresciuta in una famiglia di musicisti, Parigi, dove ha studiato, Barcellona, dove risiede e dove ha registrato con Josué Pascual: la violoncellista, cantante e compositrice Ana Carla Maza ha saputo selezionare narrazioni coinvolgenti da ognuno di questi ambienti sonori, costruendo ponti acustici fra generi diversi. Ad aprire “La Flor” sono le corde del violoncello, pizzicate, sincopate, quasi in punta di piedi in attesa della voce di Ana Carla Maza “I giorni di solito passano contrattempo / Su e giù come le onde del mare / Fra loro trova posto la felicità / Libera da te: tempo reale”. I versi – di questa e di altre tre canzoni - sono scritti dal padre Carlos Maza e ben incorniciano la poetica di Ana Carla Maza, sapiente intreccio di essenzialità, uso delle pause, variazioni ritmiche e stilistiche, ricorso a voci diverse espresse dallo stesso strumento: tutti ingredienti utili ad essere mescolati in soluzioni diverse per provare a fermarlo, il tempo. E, se l’impresa non riesce, poco male: si può sempre ingannarlo, il tempo, passando con destrezza da un registro ad un altro, da una spiaggia caraibica ad una nebbiolina parigina. “Con uno strumento occidentale, ho avuto una formazione classica, ma, parallelamente, quel che dominava in casa erano le note blues di mio padre jazzofilo e le armonie corali care a mia madre. Si è trattato di un primo ‘mélange’ che è divenuto onnipresente nella mia vita e cui si sono aggiunte influenze europee e sudamericane”. Più recentemente, Ana Carla ha cominciato ad esplorare anche l’area africana, i ritmi maloya del Madagascar. Per il primo album ha pensato di lanciare una sua etichetta, specchio di un lavoro personalissimo: cinque composizioni sue, quattro di Carlos Maza, tutte interpretate da sola attraverso il dialogo, ogni volta diverso, fra voce e violoncello. “ ‘La Flor’ raccoglie tutte le canzoni che fanno parte della mia vita, quelle che canto fin da bambina, così come quelle nate dalle esperienze di viaggio col mio violoncello, interludi nel corso di un viaggio immaginario in America Latina, più volte presentato dal vivo con un menu musicale che può essere modificato secondo l’alchimia che si crea con ciascun pubblico. Sul palco, riservo sempre una parte all’improvvisazione. Quando suono da sola, lascio spazio alla mia spontaneità ed aspetto di sentire l’eco di quella del pubblico, in modo da poterci riunire, far in modo che i cuori vibrino all’unisono. Cerco sempre di ascoltare molto il pubblico”. Con ogni evidenza questo ascolto ha arricchito l’ampio ventaglio delle sue scelte espressive, sempre all’insegna di precisione e chiarezza estreme, senza nulla sacrificare della carica espressiva dei testi e della voce, delle corde, dell’archetto: “Il violoncello è il mio compagno di vita! Per me è una voce umana, certo non un semplice strumento d’accompagnamento, come ritengono alcuni. Lui ed io siamo due entità complementari, è proprio così!”. La facilità e la perizia con cui sa farlo suonare in qualsiasi registro e con qualsiasi scelta di volume sanno tenere alta l’attenzione lungo l’intero album, pur mantenendo sempre la cornice di coerenza che infonde il numero ristretto di fonti sonore a servizio dei testi, distillandone l’anima poetica grazie ad un cuore ritmico che brilla come un diamante, si tratti dell’andamento giamaicano di “Quiero” o del tumbao di “Dudas”. Ascoltando questo brano, proprio a metà album, non si può non pensare al lavoro altrettanto essenziale ed emozionante che Pablo Milanes riuscì ad esprimere a proposito della messa in musica delle poesie di Nicolas Guillen. “La Flor” fa atterrare i poliritmi cubani sulle consonanti di uno spagnolo iberico e, all’occorrenza (“Te me fuiste”), su versi in francese (“Le soleil est caché dans mon sac / Reviens je t’attends”. https://anacarlamaza.bandcamp.com 


Alessio Surian

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