Sväng – In Trad We Trust (Galileo Music, 2020)

#CONSIGLIATOBLOGFOOLK 

Tervetuloa, signori finlandesi delle armoniche a bocca! Dopo tanto girovagare (circa diciassette anni e otto album) tra le musiche alte e basse, folk e popular con il loro acrobatismo acustico generato dal mirabolante incrocio f(i)atato di armoniche cromatiche, diatoniche e basso, gli Sväng decidono di rendere omaggio alla “casa spirituale”, rivolgendosi interamente ai repertori etnofonici finnici. Dunque, Eero Turkka (armoniche cromatiche e diatoniche), Eero Grundström (armoniche cromatiche e diatoniche), Jouko Kyhälä (harmonetta, armoniche diatoniche e cromatiche) e Pasi Leino (armonica basso) scelgono composizioni tradizionali per la cetra a tavola kantele e per la lira ad arco jouhikko, melodie violinistiche dei pelimanni e gli antichi canti runi. Attingendo, insomma, a quelli che considerano i “gioielli della folk music finnica”, con rispetto verso le fonti e le prassi esecutive, eppure non mettendo da parte il calore e l’imprevedibilità interpretativa che li contraddistinguono dagli esordi né smarrendo la vena ironica, a cominciare dal titolo “In Trad we trust” e dalle immagini del booklet che accompagna l’album. Aprono con “Vanha jatsi” (Vecchio Jazz), in cui riprendono una combinazione strumentale di violino e harmonium (Sulo Masalin e Eero Hautsalo). Ancora riflettori sulla prassi violinistica in “Korsbäck schottis”, dove l’armonica basso cerca di riprodurre la prontezza ritmica della coppia di rispettati violinisti tradizionali della Finlandia occidentale Valter Enlund e Torsten Pärus. 
Dopo lo zibaldone di canti e danze intitolato “Pajod”, i quattro armonicisti piazzano due canzoni (“Lapsuuden kodin ovella” e “Tumman orren alla”) che ben si adattano all’armonica a due lati (in maggiore e minore). Con la compassata “Minä yksin kuljen” gli Sväng ci portano nella tradizione Rom finlandese, per poi riprendere il passo baldanzoso nelle due successive danze, “Euran polkka” e “Mollipolkka”. “Kirkonkellot ja maanitus”, invece, è un tema per kantele che era stato concepito ricalcando il suono delle campane di una chiesa ortodossa, modalità non rara tra i suonatori della cetra: il superbo arrangiamento del quartetto che ricalca lo stile esecutivo del kantele in Carelia (entrambe la mani partecipano nel produrre melodia e accompagnamento creando tessiture dal ritmico pronunciato con variazioni improvvisative minimali) ci consegna uno degli episodi più alti del disco per la capacità tecnica ed espressiva di combinare i diversi strumenti. I quattro cavalieri dell’armonica a bocca si prendono, poi, la briga di portare nel programma prima la tradizione svedese dell’Ostrobothnia costiera, suonando “Björndansin efter Peter Ragvals”, poi lo stile violinistico della Finlandia occidentale in “Polskasikermä”. Si cambia registro con il celebre “Peltoniemen Hintriikin surumarssi” (Marcia Funebre di Hintriiki Peltoniemi), un motivo che in Finlandia è conosciuto anche al di fuori dei circuiti della folk music: qui l’incedere malinconico della marcia lascia spazio nella seconda parte ad un movimentato guizzo di speranza. Non poteva mancare, a concludere questo viaggio nelle musiche folk locali, un omaggio al Festival Folk di Kaustinen e alla quadriglia (“Katrillia, Pilkkua ja Wappua”), tra le nuove pratiche coreutiche invalse a partire dagli anni ’80 del Novecento in uno degli appuntamenti più significativi dell’Europa folk. Chi ha apprezzato le funamboliche incisioni del passato non rimarrà deluso dallo strabiliante furoreggiare del quartetto nel corpus della tradizione finnica. 


Ciro De Rosa

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