Cantautore e voce storica del Nuovo Canzoniere Italiano, Paolo Pietrangeli ha firmato “Valle Giulia”, “Il Vestito di Rossini” e Contessa”, brani che hanno segnato un’epoca, raccontando i sogni e le speranze in un futuro migliore di una generazione e una ricca discografia di sedici tra Lp e Cd. Seguendo le orme padre Antonio, famoso sceneggiatore e regista di film come “Lo Scapolo” con Alberto Sordi, si è ritrovato a lavorare come aiuto regista al fianco di Federico Fellini e Luchino Visconti. Passione, dedizione al lavoro e il bisogno di raccontare, lo hanno condotto negli anni a realizzare diversi film e documentari da “Bianco e Nero” a “Genova per noi” sui fatti di Genova del 2001, nonché a firmare la regia di numerosi programmi televisivi di successo. L’eclettismo e la curiosità lo hanno condotto, negli anni, ad esplorare nuove forme comunicative come con l’articolato progetto “Ignazio”, una lettera filmata dedicata al figlio, concretizzatosi nella pubblicazione di un disco e un DVD e, a dedicarsi anche alla scrittura di romanzi, come il più recente “La pistola di Garibaldi”. Non fa eccezione il suo ultimo progetto discografico “Amore amore amore, amore un c…”, un’antologia tematica dedicata all’amore in tutte le sue possibili declinazioni nel quale le canzoni sono, in alcuni casi, intercalate dagli interventi della viva voce dell’autore con aneddoti e racconti. Abbiamo intervistato Paolo Pietrangeli per farci raccontare questo suo nuovo album pubblicato solo in vinile con aggiunta di una sorpresa.
Com’è nata l’idea di pubblicare “Amore amore amore, amore un c…”, un’antologia atipica, un concept album unico nel suo genere…
“Amore amore amore, amore un c…” è nato con l’idea che non volevo più pubblicare Cd o file mp3 e soprattutto desideravo tornare al vinile. Stavo scegliendo i brani da inserire, quando mi è venuto in mente che sarebbe stato interessante inserire anche dei frammenti di alcune interviste fatte a destra e a manca, in cui dicevo cazzate. Cazzate come quelle che dico io di solito… Mi sembrava opportuno alternare le canzoni con le parole per raccontare di più e meglio quello che mi passava per la testa. Non volevo che fare però qualcosa in cui ci fosse prima la spiegazione e poi la canzone perché sarebbe stato insopportabile. Questo modo di fare si usa adesso anche nei concerti, ma è una cosa inutile perché non c’è bisogno di spiegare le canzoni. Le canzoni devono parlare da sé.
Durante l'ascolto, si ha la sensazione di assistere ad una sorta di recital che ruota intorno al filo conduttore del disco: l'amore declinato attraverso le sue diverse sfaccettature…
Quelle canzoni sembravano i figli scemi di un cantautore che ha fatto un sacco di roba e nessuno si ricordava mai di queste canzoni e quasi non c’era più traccia. Io sono affezionato a tutte le canzoni che ho scritto e, così, ho pensato che era giusto che avessero un riconoscimento, una sorta di medaglia al valore postuma. Andando più a fondo va detto anche che queste canzoni hanno tutte un sostrato politico.
Come ha scelto i brani da inserire nel disco?
Beh direi tutti e due. A parte qualche caposaldo come “Lo stracchino” e come “La Lettera”. In effetti sono due le lettere: quella con cui concludo e quella con cui apro una facciata. Mi è sembrata una cosa bella questa. Una delle due non l’ho più sentita e non l’ho più suonata. Mi è piaciuto riproporla. Poi ho scritto tre canzoni apposta per questo disco che non sono immediatamente canzoni d’amore: il brano che da il titolo al disco e “Mamma vorei sapè” in cui racconto di questa bambina che scopre che la mamma è stata ammazzata dal padre.
Mio padre era un regista e sceneggiatore e da casa mia è passato tutto il cinema italiano. Lui lavorava al piano di sopra e io cercavo sempre di origliare quello che diceva con Scola, Pasolini e chi più ne ha più ne metta…
Nel racconto che fa da preludio a “Lo Stracchino” ricorda come la sua infanzia fu segnata dagli incontri con i grandi del cinema italiano che passavano da casa sua per incontrare suo padre…
“Lo stracchino” è una canzone sulla storia di uno che andava in un negozio di alimentari per vedere la commessa che prendeva lo stracchino dall'ultimo gradino di una scala. L’aggancio è assolutamente particolare in questo caso e sono andato per libere associazioni alcune volte, in altre no. Qualche volta c'è un frammento di intervista che commenta una canzone in altri casi no perché ne passano due o tre prima che si senta il bisogno di un'altra stupidaggine mia. E' nato così quello che lei ha nobilitato chiamandolo "concept album" ma io non so cosa sia... è venuto fuori quel papocchio che ha sentito.
In questo senso sarebbe suggestivo che ci raccontasse la genesi della title-track, uno dei tre inediti raccolti nel disco…
Ognuno di noi ha dei parenti, vediamo gente… ora un po’ meno con i vari lockdown o come si chiamano. A casa mia ci sono delle frequentazioni ed in particolare una persona che chiama tutti "amò". Al cane lo chiama “amò”, al figlio “amò”, al marito “amò”. Dico io: ma tutto è uguale?? Questa cosa mi ha dato fastidio nonostante l'affetto che provi per questa persona. Così, “Amore, amore, amore un c…” nasce come una reazione all’uso insopportabile della parola amore e, peggio ancora della sua abbreviazione dialettale “Amò”. E’ insomma una reazione ad ogni vezzeggiativo o appellativo sdolcinato che fa sembrare gli adulti dei cretini, eppure siamo capaci delle peggiori nefandezze. Penso che sia l’età a farmi essere intollerante ma sempre questa persona, per un lungo periodo diceva sempre “praticamente” ogni due parole. Io non gli ho mai chiesto come fosse teoricamente e questo è rimasto un dubbio che mi macera l'esistenza (ride)….
Ma comunque... questi due vezzi che mi hanno dato fastidio alla fine è valsa la pena farci una canzone sopra.
Nel brano c’è anche una citazione di Giuseppe Gioacchino Belli…
Amo molto i sonetti del Belli, anche per la sua vita che era divisa tra anticlericalismo ed era spesso costretto a lavorare per i preti a Roma, dove non potevi fare null’altro. Mi piace molto la qualità intrinseca dei sonetti e in “Amore amore amore, amore un c…” ho ripreso forse non quello più famoso ma quelle più scurrile "Er padre de li Santi" nel quale cita tutti i sinonimi di “cazzo” e li ho messi tutti nel ritornello della canzone.
Nel disco sono presenti anche canzoni di non amore e di stringente attualità. Tra i brani più intensi del disco c’è “Amore Coniugale”. Come nasce questo brano?
Nasce da un racconto di una persona che conosco e che poverina ha sopportato questo marito che era come Dr. Jekyll e Mr. Hyde, nel senso che quando era sobrio era il migliore dei mariti, ma quando beveva diventava il peggiore, finché poi per sua fortuna è morto per cause naturali. Pur ricordando il marito santificandolo, i racconti della moglie erano molto pesanti nei momenti brutti. Come questa storia ce ne saranno migliaia di racconti orrendi di persone che hanno solo la forza in più rispetto all’altro genere però la forza in più porta un sacco di danni.
“Ti voglio bene” negli ultimi tempi ha vissuto una seconda giovinezza essendo stata usata spesso per “Propaganda Live” di Diego Bianchi…
L’avrò incisa dieci volte. E’ brano di taglio politico che mi è stato ispirato da un concerto o meglio da una cantata perché i concerti sono quelli di musica seria quelli che faccio io sono cantate. Ricordo che andò molto bene anche se ero solo sul palco. Ho visto che, nonostante ci fosse la pioggia, c’era un folto pubblico. Erano in tanti nonostante la situazione. Mi sono detto: questi sono tanti anni che mi vengono appresso e bisogna ringraziarli. Li ho ringraziati facendo questa canzone pensando a questi pubblici che si alternavano e che per tanti anni mi hanno seguito mi hanno portato come un materasso mi hanno aiutato ad andare avanti a scrivere altre canzoni e fare altre cantate.
Tant’è che ci fu anche un episodio comico dopo aver fatto questa canzone la mia fidanzata di allora mi disse ma con chi ce l’hai? Mi tradisci? In qualche modo la tradivo ma non con una donna con tante persone che mi seguivano.
Lei ha avuto sempre una cura particolare per la ricerca sulla parola e a riguardo nel disco ricorda l'aneddoto che vede protagonista Federico Zevi. Tutto questo si è riverberato nella sua scrittura...
Certo! E' il suono della parola a dettarmi le note che ha intrinseche. E' il vezzo che condanno o esalto a seconda dei casi. La parola è fondamentale ed è figlia di queste frequentazioni con Zevi ma anche da mia madre. Per tanti anni mi piaceva questa: “chi è più forte del vigile urbano ferma il tram con una mano”. E’ una filastrocca di Gianni Rodari. Nemmeno sapevo chi fosse ma mi è sempre piaciuta perché dà l’impressione di una potenza sovrumana. Altro che supereroi! Amo giocare con le parole, romperle, sezionarle, capire perché esistono le parole, tant’è che l’ultima parte della mia vita la sto dedicando alla scrittura di romanzi, di racconti che hanno la parola senza la musica. La speranza è che la musica uno la senta senza il bisogno che io la scriva.
Quanto il cinema ha caratterizzato il suo approccio alla canzone?
Quello è diverso. Il cinema e la canzone hanno in comune il piacere e la voglia di raccontare. Non ci ho mai pensato a quanto il cinema abbia caratterizzato il mio rapporto le canzoni, quantomeno al cinema fatto da me, ma anche quello degli altri. Ci sarà sempre un rapporto, ma se fosse completo non ci sarebbe bisogno della musica allora… o forse chi lo sa?
Lei nasce artisticamente all’interno del Nuovo Canzoniere Italiano. Quanto è stato importante il contatto con la musica tradizionale italiana e la ricerca in ambito etnomusicologico?
Tantissimo! Grazie a quella esperienza non riesco a fare musiche che non si richiamino in qualche modo alla tradizione come all’operetta, all’opera lirica e alla ballata. L’aver scoperto la tradizione musicale italiana è stato importante quanto la parola nelle canzoni che faccio.
Mi ha colpito molto il fatto che lei non sembra mai prendersi sul serio quando parla di fare canzoni…
Ma anche quando parlo della vita… (ride). Io sono il nemico del tuttologo in tutti i sensi. Quello che dico io non ha più importanza rispetto a quello che dice chiunque, dando a chiunque una interpretazione nobile. Come faccio a prendermi sul serio? Ho smesso di fare il cinema perché ci vuole un atteggiamento da pompiere che non ho. Vedendo maestri del cinema per tanti anni e cercando di misurarmi con il racconto attraverso il film mi viene in mente spesso che per fare il cinema è necessario essere pieni di sé. Ho detto pompiere per dire uno pieno di sé uno che è sicuro della non riproducibilità che l’opera è al di sopra di tutto. Bisogna essere consci che valga la pena far schiattare dalla fatica tre o quattro macchinisti in un periodo in cui per raccontare uno spostamento si usavano i carrelli invece che la steadycam, usando i carrelli vedevi questi che sudavano, stramazzavano nello spingere questa carretta. Mi sono chiesto se valeva la pena tutto questo? La risposta è certamente si ma non mi andava il fatto di dover determinare questa fatica negli altri. E allora mi dicevo: ma non si può far meno fatica? Ma allora fatichiamo meno tutti… Così non si fanno dei grandi film ma si fanno dei racconti, tant’è che ho privilegiato, nel corso degli anni, la dimensione del documentario non perché fosse meno faticoso, ma almeno faticavo solo io e pochi altri con la macchina da presa. Non c’era questa schiera di persone che sudavano perché io facessi la mia opera. Io però ho torto e gli altri hanno ragione. E’ così fino ad un certo punto. Io sono convinto che fare critiche negative delle persone che si esibiscono già il fatto di esibirsi è qualcosa fuori dal comune. Allora dico: “ma che te frega…”. Non stiamo lì a sindacare se uno è bravo o se è una pippa? Il concetto di bravo è molto relativo. Anche per quanto mi riguarda. Io non so niente rispetto a quello che si potrebbe sapere.
Dalle sue parole si trae un insegnamento importante…
Macché interesante. Questo lo dice lei… (ride)
Non potevo fare un disco che si intitolava “Amore amore amore, amore un c…” e metterla suonata e cantata. “Contessa” è un amore grande per me e mi dispiaceva non metterla anche perché a questa canzone è legato un episodio importante della mia vita. Ricordo che ero al funerale di Paolo Rossi, uno studente socialista ammazzato dai fascisti nel 1966 all’Università di Roma. A Roma ci fu un sussulto antifascista con un gran corteo che arrivava fino a dentro l’università. Improvvisamente mi trovai a fianco mio padre con cui avevo litigato furiosamente e questo mi commosse molto. Idealmente “Contessa” nasce in quelle circostanze, dopo l’occupazione che seguì questo assassinio. Ho proposto, così, a Guido Baldoni che suona magnificamente la fisarmonica di farne una versione strumentale. Guido è il figlio di Enzo Baldoni, giornalista ucciso in Iraq nel 2004 e del quale solo recentemente sono stati riportati i resti in Italia. E’ un doppio atto d’amore verso la canzone e verso mio padre, ma anche un atto d’affetto verso questo bravo musicista che la suonava in modo eccellente. “Contessa” c’è, ma senza esserci con la sua pesantezza.
Ad accompagnare Lp è un QR Code contenuto nella terza di copertina dell’album che rimanda al download delle registrazioni di un concerto registrato al Teatro Parioli nel 1995…
E’ una sorta di vendetta del digitale e degli mp3 per la scelta di pubblicare questo disco solo in vinile. Basta fotografare il QR Code con il telefonino e si viene indirizzati ad una cantata che tenni oltre quasi trent’anni fa. Ad accompagnarmi è un gruppo di musicisti eccezionali e basta ascoltare come mi vengono dietro per capirlo. Consiglio di ascoltarlo con le cuffie per cogliere il tiro del gruppo, la forza e le emozioni di quel concerto.
Concludendo. Questo disco non è, però, un congedo dalle sue cantate?
Vedremo. Con il fiato che ho adesso riesco a fare qualche canzone ma un concerto intero non credo. E’ un po’ che non ne faccio. L’ultimo è stato il Primo Maggio dello scorso anno. Mai dire mai. E’ comico quando scrissi che questo era l’ultimo disco, intendevo che l’ultimo in senso temporale ma, invece, il mio editore - che è persona garbata ed intelligente - ha pensato che fosse l’addio alle scena. Questo può anche andar bene e certamente sarà così, quindi anche la scelta del vinile diventa significativa. Però io non lo so che succede domani.
Paolo Pietrangeli – Amore amore amore, amore un c… (AlaBianca, 2020)
“C’era una battuta, un tempo spiritosa, poi diventata un po’ avvizzita per il troppo uso. Diceva: “sono marxista – tendenza Groucho, non Karl”. Ora, Paolo Pietrangeli è una delle pochissime persone che conosco che sono capaci non solo di giocare in tutte e due le tendenze, ma di farle interagire fra loro, di mettersi la maschera di Groucho per agitare sullo sfondo il fantasma di Karl. E parlo di maschera anche perché il gioco di parole, l’umorismo, l’autoironia, l’irriverenza gli servono, come una forma di pudore, a proteggere la profondità delle sue passioni concrete. Per capirsi: per poter parlare d’amore, come in tante sue canzoni, bisogna cominciare dicendo “amore un cazzo”. Amore, amore, amore – che imbarazzo!”. Sono queste le parole di Alessandro Portelli con cui si aprono le note di accompagnamento a “Amore amore amore, amore un c…”, nuovo album di Paolo Pietrangeli. Si tratta di un’antologia particolare, unica nel suo genere, avendo il pregio non solo di ruotare dal punto di vista concettuale intorno al tema dell’amore nelle sue diverse sfaccettature, ma anche di riuscire a cogliere l’essenza profonda del cantautore romano, compendiandone la tagliente ironia e l’immaginario poetico, il pensiero e le riflessioni più profonde. Certo chi immagina di trovare tra i suoi solchi i brani di protesta del suo repertorio, rimarrà un po’ deluso e gli consigliamo di fare riferimento al doppio album “Antologia”, ma in questo caso siamo su un territorio differente. Aperto dal brillante brano che dà il titolo all’album, il disco presenta tredici brani, in alcuni casi intercalati tra frammenti di interviste dello stesso Pietrangeli in cui il cantautore romano si racconta non senza ironia mescolando ricordi e riflessioni. Durante l’ascolto si spazia dai ricordi velati di nostalgia di “Cinema 2”, “Le sirene”, “Io ti voglio bene” ai giochi di parole (“La merendera”), dalle filastrocche divertenti (“Lo stracchino”) alle storie come nel caso delle toccanti “Amore Coniugale” e “Mamma vorrei sapè”. Chiude il disco, come ghost track, la versione strumentale di “Contessa”, brano a cui è legato un immaginario di ricordi e che suona come un omaggio ad una generazione, un congedo sentito per un disco molto personale. Non è tutto però perché nella terza di copertina dell’album c’è un QR Code che, scansionato con fotocamera dello smartphone, ci schiude le porte allo streaming e al download di un concerto tenuto da Paolo Pietrangeli al Teatro Parioli di Roma nel 1995.
Salvatore Esposito