Michel Banabila – Translations (Tapu Records, 2020)

“Translations” è un’antologia recentemente pubblicata dall’artista sonoro olandese Michel Banabila. Probabilmente i lettori più assidui di Foolk Magzine ne ricorderanno il nome, infatti, la sua musica è già stata protagonista della nostra rubrica di Contemporanea in altre occasioni. Attivo da oltre trent’anni come compositore sperimentale per teatro, danza, cinema e televisione, Banabila (1961) ha alle spalle un corposo catalogo discografico e vanta collaborazioni con personalità del calibro di Holger Czukay, Bill Laswell o Machinefabriek, solo per citare i più conosciuti. In anni recenti antologie come “Things Popping Up From The Past”, “Trespassing”, o “Tapu Sampler 2016”, hanno già cercato di tracciare un percorso lineare nella vasta e diversificata produzione di Michel partendo dai primissimi esperimenti tra ambient e fourth world (“Marilli”, “Des Traces Retrouvées”), per giungere agli ultimi lavori per ensemble, elettronica e suoni trovati (“In a Language I Can Understand” , “Where Old Meets New”). Ora arriva “Translations”, un’altra compilation, pubblicata dalla personale Tapu Records, che raccoglie composizioni originali, mix alternativi e nuovi arrangiamenti per pianoforte realizzati da Jeroen van Vliet, il fulcro dell’intero progetto. Abbiamo quindi in doppia versione originale/pianoforte: “Dragonfly” (da “Uprooted” 2019), “Secunde ” ( da "Secunde ” 2016), “Ears Tell Us Where We Are In The Space (da “Precious Images” 2008) e “Tirza Scene” (da “Fields Of Flowers” 2011). Si continua poi con un mix ambient di “Secunde”, ben due adattamenti di “Lapidarium”, uno per pianoforte ed elettronica eseguito da Banabila e Jasper Soffers (tratto sempre “Fields Of Flowers”) e un altro per tastiere, violino, oud, chitarra, tromba e bansuri che proviene invece dall’ottimo “Migrations” del 2010. Chiude la corposa raccolta un’ulteriore take di “Dragonfly”, questa volta per sintetizzatore. In totale abbiamo quindi ben dodici brani nei quali ambient, musica da camera, elettronica e neoclassica si fondono con gusto ed equilibrio. Nonostante la struttura dell’album, all’ascolto non c’è ripetizione, infatti ogni versione (seppur riconoscibile) presenta caratteristiche proprie e risulta indipendente dall’originale. L’idea di suggerire un confronto nell’ascoltatore è anzi voluta da Michel e il titolo “Translations” (“Traduzioni”), non fa altro che ribadire chiaramente questo concetto. Gli arrangiamenti per pianoforte dei pezzi appena citati, offrono quindi una differente prospettiva d’ascolto e forse permettono di apprezzare ancor meglio alcuni dettagli compositivi presenti nelle versioni originali. Il delicato fraseggio di van Vliet inoltre, non altera l’essenza dei brani che rimane immutata, anzi, ne accresce ancor più il mistero e la magia. Il piano infatti, nella sua estrema complessità meccanica e strutturale, è uno strumento davvero perfetto per ricreare le tipiche atmosfere eteree tanto care a Banabila che ha l’indubbia capacità di riuscire a creare mondi sonori estremamente suggestivi che invitano alla contemplazione. A volte, volendo contestualizzare, il sapiente utilizzo di spazi e dinamiche, mi fa ripensare tanto a John Cage o Harold Budd, quanto agli ultimi ultimi lavori del compianto Morton Feldman. Al di la delle riflessioni, se in questo particolare momento desiderate ascoltare qualcosa che vi faccia immaginare e vi trasporti altrove, “Translations” potrebbe essere proprio quello che da tempo stavate cercando. 


Marco Calloni

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