Madou Sidiki Diabatè – Kora Èlectrique (Amarrass Records, 2020)

“Kora Èlectrique” è un one man show incentrato sulla kora. Questo strumento è, come sappiamo, ricco e generoso di suoni, di riverberi, di riflessi. In questo caso lo è ancora di più, perché il giovane maestro che lo suona – il maliano Madou Sidiki Diabatè, classe 1982 – lo immerge in un’atmosfera sonora più articolata, composta con elettronica programmata, percussioni e bassi. Il risultato è convincente ed esaltante. Convincente perché l’insieme dei suoni non toglie nulla alla “tradizionalità” della kora, alla sua efficacia timbrica e melodica. Esaltante perché, impastando uno scenario sonoro tanto rude quanto avvolgente nella sua estemporaneità timbrica, Diabatè spinge lo strumento (e con esso la sua immagine di fulcro storico e radicale della west-african traditional music) oltre i confini ben esplorati e studiati dal pubblico occidentale, pur restando saldamente ancorato ai modelli più fascinosi e interessanti di quell’area musicale. L’album, registrato dal vivo a New Dheli nel 2015 e recentemente pubblicato dall’indiana Amarrass Records, ha un carattere sostanzialmente estemporaneo. Questo lo rende ancora più interessante, perché si ha l’impressione che sia stato costruito proprio sulla performance. E che, nelle fasi di post-produzione, gli interventi siano stati effettuati senza interferire minimamente sull’immediatezza del suono e dello svolgimento dei brani. Ne è una riprova anche una struttura generale “da concerto”, composta da una scaletta di soli quattro brani (tutti tra gli undici e i tredici minuti), in cui si alternano momenti pienissimi – nei quali la kora assorbe ogni suono, attestandosi spesso su velocità molto elevate – e momenti più riflessivi, in cui i ritmi e suoni elettronici di sfondo (spesso volutamente sintetizzati in accompagnamenti piani, come nel primo brano “Djigui”) affiorano, stendendo l’esecuzione in un flusso rilassato e morbido. La rudezza degli arrangiamenti rimane in primo piano per l’intera durata dell’album, a confermare una sorta di intenzione contro-estetica, attraverso la quale Diabatè riesce però in due intenti imprescindibili per apprezzare la qualità complessiva dei brani. Da un lato rimarcare la voce sublime del suo strumento e, con essa, l’abilità esecutiva necessaria a farne risuonare i suoni che comprende. Questo aspetto contribuisce, più di ogni altro, a dare coerenza all’album attraverso gli sviluppi intrinseci dei brani. Una coerenza che, nello stesso modo in cui evidenzia le abilità musicali dell’esecutore, non lascia spazio al tecnicismo appariscente né al virtuosismo manierato. Al contrario, la coralità dello strumento emerge con equilibrio, ispessendo l’andamento dei brani sempre nei punti giusti. Dall’altro lato, la demarcazione netta tra la kora e gli arrangiamenti riflette una permeabilità compositiva ed esecutiva insieme, che rimarca l’apertura di questo musicista straordinario nei confronti degli scenari musicali contemporanei. Non è un caso che Madou – appartenente alla settantunesima generazione di suonatori di kora della sua famiglia (insieme al fratello Taumani) – collabori con artisti straordinari di diversa estrazione (dal jazz al pop) e sia riconosciuto come uno dei più importanti interpreti della tradizione musicale maliana. Una doppia prospettiva documentata in molte collaborazioni che Diabatè sta annoverando sia in Africa che nel resto del mondo: è tra i musicisti del “Live at the de de de der…” di Damon Albarn and The Every Seas, registrato alla Royall Albert Hall nel novembre del 2016; compare, con artisti come Tony Allen e Vin Gordon, nel recente album “Lindé” di Afel Bocoum, prodotto da Nick Gold per la World Cicuit; suona in “Red Earth” di Dee Dee Bridgewater; pubblica nel 2010 il fortunato e bellissimo “Mali Latino”, l’album-progetto, maturato in anni di collaborazione, con Alex Wilson e Ahmed Fofana. Tutto questo mentre lavora costantemente con i più affermati artisti africani, tra i quali possiamo ricordare Kandia Kouyaté, Ami Koita, Baaba Maal, Salif Keita, Sekouba “Bambino” Diabaté. 

 
Daniele Cestellini

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