Mohammad Reza Shajarian: una retrospettiva

“Uccello dell’alba, comincia il tuo lamento, ravviva la mia angoscia Rompi questa gabbia e rovesciala con i tuoi sospiri scintillanti Usignolo dalle ali legate, esci dall’angolo della gabbia Componi la canzone della libertà per l’umanità”
Morgh-e sahar” (Uccello dell’alba, di Mortezā Ney Dāvoud e Mohammad-Taqi Bahar) è stato per decenni l’ultimo bis, i versi in cui riconoscersi, il brano che tutti attendevano al termine dei concerti di Mohammad Reza Shajarian e che, probabilmente, tutti coloro che amano la sua voce hanno rievocato quando hanno appreso della sua morte, l’8 ottobre scorso. Erano passati pochi giorni dal suo ottantesimo compleanno. Da vent’anni lottava con un tumore al rene. In “Musiche d’Iran”, Jean During considera Shajarian uno dei pochi che abbia suscitato e consolidato intorno a sé quasi l’unanimità dei consensi, sia tra i sostenitori del vecchio stile, sia tra i moderni: “risponde all’attesa del pubblico, non fa concessioni di sorta alla sua arte e non ha avuto rivali da quarant’anni […]. Se Shajarian è quello che è, lo si deve in parte al fatto che ha iniziato dalla cantillazione coranica, come cantore religioso. Nel passato, era attraverso la cantillazione coranica che si imparava la forza del verbo e la sottigliezza delle inflessioni modali”. Il maggiore di cinque fratelli, Shajarian era nato nel 1940 nella città religiosa di Mashhad, nel nord-ovest dell’Iran e fin da piccolo era stato incoraggiato dal padre ad esercitarsi nella cantillazione coranica, arrivando presto ad esibirsi insieme a lui ed alla radio regionale. Aveva avuto la possibilità di formarsi con maestri riconosciuti come Abdollah Davami (1891-1980) e Faramarz Payvar (1933-2009). Appena adulto, nei tre anni in cui, lontano dalla famiglia, aveva esercitato il mestiere di insegnante a Radkan, aveva poi studiato e approfondito il canto Āvāz cui si era accostato dai dodici anni. 
L’āvāz è la forma musicale non metrica che caratterizza gran parte del repertorio tradizionale iraniano, derivata proprio dalla cantillazione coranica durante il regno sciita dei Safavidi (1501-1736). La troviamo ampiamente nei Radif, repertori classici pensati per ogni strumento dove brevi melodie, gushe, vengono ordinate seguendo le regole dei 12 dastgāh, i sistemi modali tipici della musica persiana. Sebbene sia centrale per la performance, il radif nasce come modello pedagogico volto a familiarizzare gli allievi con le tecniche espressive ed il repertorio classico: “E’ stata un’opportunità per me di esercitarmi e dedicarmi a ciò che amavo. A volte cantavo così a lungo da non essere quasi più in grado di parlare”. Alla fine degli anni Cinquanta Shajarian cominciò ad essere conosciuto a livello locale attraverso Radio Khorasan, mentre faticò inizialmente a ricevere l’attenzione della radio di stato dove il suo stile veniva considerato come troppo legato al passato rispetto ai motivi più popolari e più ritmati, tasnif e tarāneh, che andavano di moda negli anni Sessanta. In questi anni la cultura e la società iraniane stavano subendo un forte processo di occidentalizzazione, che risultò nell’introduzione di forme musicali ibride, nel dominio di una musica popolare vicina all’occidente e nell’abbandono di stilemi tradizionali considerati vecchi. Oltre a lavorare sia come insegnante, sia come ricercatore e cantante per la radio, fra il 1968 e il 1978 partecipò al festival internazionale “Jashn-e Honar-e” di Shiraz. A lanciarlo a livello nazionale furono i programmi radio “Barg-e Sabz” (foglia verde) e “Golha” curati da Pirnia che gli dettero la possibilità di esprimere attraverso il canto il meglio della poesia iraniana. 
Uno dei grandi pregi di Shajarian era proprio la sua capacità di scegliere le migliori poesie classiche da accompagnare ai suoi concerti. È tradizione, nella performance del radif, accostare versi di grandi poeti del passato (come Hafez, Rumi e Ferdowsi) alla melodia principale di ogni gushe. Questi versi sono centrali nell’organizzazione di una suite, in quanto il ritmo poetico, condiviso da tutti i versi, collega ogni singola melodia nonostante le differenze modali e le esplorazioni aritmiche. Le scelte di Shajarian, tuttavia, non si limitavano all’organizzazione ritmica del concerto ma risuonavano simbolicamente con i sentimenti popolari del tempo. Il 17 Shahrivar 1357 del calendario iraniano, l’8 settembre 1978 del calendario occidentale, segna uno spartiacque nella vita di Mohammad Reza Shajarian. Almeno cento persone vennero uccise ed oltre duecento ferite dall’esercito di Mohammad Reza Pahlavi che sparò sulla folla di manifestanti, soprattutto nella Piazza Jaleh a Tehran. Quel “venerdì nero” è immortalato nel brano “Jāleh Khun Shod” (Il sangue in (piazza) Jaleh) composto da Hossein Alizadeh sui versi di Siavash Kasraie e consegnato alla storia dalla voce di Mohammad Reza Shajarian che, insieme ad altri musicisti, scrisse di suo pugno una lettera di critica al governo e di dimissioni dalla radio di stato. In breve, il gruppo di artisti riuniti con il nome di Chavosh intorno al poeta Houshang Ebtehaj (Lofti, Alizadeh, Meshkatian, Nazeri e Shajarian) produssero alcuni dei brani più memorabili di quel periodo con l’intenzione di riportare in auge l’estetica tradizionale. Il primo disco dell’ensemble “Chavosh 1”, diretto da Lotfi, propone una performance classica del dastgāh Bayāt-e Tork, in un certo senso simile al modo dorico e spesso identificato come satellite del più grande dastgāh Shur. 
La formazione include ney, santur, rabab, violino e tombak dal Sheyda Ensemble che accompagnano il tar di Lotfi e la voce di Shahjarian. Qui si può assaporare l’incredibile espressività del cantante mentre il gruppo alterna momenti ritmici strumentali (chahārmezrab) e vocali (āvāz). La ricchezza della musica vocale persiana risiede nell’ornamentazione melodica con la tecnica chiamata tahrir, dove movimenti gutturali sostituiscono il vibrato nell’esplorazione melodica. Shajarian è considerato l’assoluto maestro della tecnica sia per la brillante esecuzione che per la creatività con cui la utilizza. Il regime degli ayatollah che governa la Repubblica Islamica dall’ascesa di Khomeini nel 1979 si rivelò ostile alla musica in genere e al gruppo Chavosh in particolare. La musica venne bandita dalle radio fino al 1988. Nazeri e Shajarian, dopo alcuni anni di silenzio, furono in grado di riprendere alcune attività, con qualche concerto dal 1982 nell’ambasciata italiana o in abitazioni private. Nel 1985 Shajarian riuscì a pubblicare l’album “Bidād”, che fu un successo, soprattutto fra chi criticava il regime. Conteneva riferimenti sia al radif, sia alle “ingiustizie”, in particolare nell’interpretazione dei versi del XIV secolo di Hafez. Sulla dimensione politica del suo lavoro Shajarian ha detto a Nahid Siamdoust Shajarian: “Non mi faccio coinvolgere dalla politica. Quando il mio lavoro assume connotati politici è perché cerco di difendere gli ideali di umanità e la patria”. Nel 1987 Shajarian poté realizzare una serie di concerti in Europa e nel 1988 in Iran. È scritta nella memoria collettiva la serie di otto concerti gratuiti del 1991 nel centro culturale Bahman nella parte meridionale di Teheran rivolti ai meno abbienti. Sono rimaste memorabili altre due lettere e prese di posizione. La prima è del 1995, scritta questa volta da Shajarian ai vertici dell’ente radiotelevisivo iraniano per protestare contro le discriminazioni subite nel paese da artisti e musicisti. Nel 2009 proibì allo stesso ente di utilizzare i suoi brani considerati patriottici in risposta alla controversa elezione di Ahmadinejad e al discorso con cui aveva voluto inaugurare la sua presidenza insultando gli oppositori. La risposta del regime fu una veemente campagna diffamatoria nei suoi confronti. Una situazione paradossale, tendo conto che dal 1979 (e fino al 2010) la radio statale, ogni anno, prima dell’Iftar, aveva trasmesso proprio la cantillazione di Shajarian della preghiera “Rabbanā” in occasione del Ramadan, prima del tramonto. 
È grazie a questa preghiera che la memoria di Shajarian è così fortemente ancorata nella collettività. Negli anni della devastante guerra fra Iran e Iraq (1980-1988) i cui gran parte della musica era bandita, la voce di Shajarian riecheggiava i toni malinconici di lutto e disperazione degli anni più scuri della storia iraniana contemporanea. L’attività di Shajarian non si è mai fermata. Il cantante ha partecipato attivamente alla ricostruzione dell’estetica musicale iraniana coi grandi maestri di questa generazione. Tra gli album pubblicati consigliamo “Dar Khiyal”, composto da Majid Derakhshani in Bayāt-e Tork con poemi di Rumi e Saadi Shirazi; “Ahange Vafa”, dove duetta col figlio accompagnato dall’Ava Ensemble, in dastgāh Māhur; e “Jan Oshagh Va Gonbade Mina”, composto da Meshkatian per una formazione ibrida con tanto di orchestra. Ha sempre continuato a risiedere in Iran e ad esibirsi, quando possibile, all’estero. Nel 2000 si è unito a Hossein Alizâdeh e Kayhan Kalhor dando vita al gruppo Masters of Persian Music, che ha collaborato con musicisti di diverse generazioni e cui ha partecipato anche il figlio e allievo Homayoun Shajarian. Il gruppo ha svolto quattro tour internazionali nel 2000, 2001, 2005, 2010. Sono disponibili due dischi in questa formazione, “Without You” e “Faryad” dati alle stampe rispettivamente nel 2002 e nel 2003, entrambi consigliati. Shajarian ha dato vita a diversi gruppi fra cui l’Ava Ensemble e lo Shahnaz Ensemble. Nel 2008, i concerti internazionali dell’Ava Ensemble lo vedevano insieme a Homayoun Shajarian (al tombak e alla voce), Hossein Behroozinia (barbat), Majid Derakhshani (tar), Hossain Rezaeenia (daf), e Saeed Farajpouri (kamanche). 
Nel 2012, lo Shahnaz Ensemble comprendeva la figlia Mojgan. Nel 2013 è stato invitato a partecipare alla serie di concerti di NPR music, probabilmente nota ai nostri lettori, dove propone una breve ma eccellente performance nonostante i suoi 73 anni. Nel marzo 2016, Shajarian ha rivelato ai fan di aver ricevuto cure per il cancro al rene da 15 anni, sia in Iran che all’estero. E’ morto nel reparto di terapie intensive dell’ospedale Jam di Tehran. Il giorno dopo si è tenuta una cerimonia religiosa privata a Behesht-e Zahra a Tehran. Poi la sua salma è stata trasportata a Mashhad dove è stato seppellito il 10 Ottobre vicino al mausoleo del poeta classico Firdūsi. In tantissimi si sono radunati per commemorazioni pubbliche nonostante le norme sanitarie vigenti. Ancor più numerosi sono stati i musicisti che, sui social, hanno espresso il loro cordoglio condividendo foto nere o raccontando in poche parole il debito artistico di una nazione nei confronti di Mohammad Reza Shajarian. 


Alessio Surian e Edoardo Marcarini

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