Luedji Luna – Bom Mesmo É Estar Debaixo D'água (Autoprodotto, 2020)

“Cosa vuol dire essere umana per te? Quando ti senti umanizzata? E in quali momenti ti sei sentita disumanizzata?” Sono le tre frasi con cui Luedji Luna ha accompagnato nei suoi canali social l’uscita del suo secondo album, a tre anni da “Um corpo no mundo”: “un disco sulla danza, l’allegria, l’acqua e l’amore. Non avrei potuto scegliere alcun altro posto, se non casa mia, per presentarlo”. Così, insieme alla regista Ani Haze, a fine settembre, ha proiettato video con brani musicali da “Bom Mesmo É Estar Debaixo D'água” sulle pareti degli edifici che campeggiano nei quartieri Barra e Campo Grande. Ed è tornata a collaborare con la regista Joyce Prado (la stessa del video di "Banho de Folhas"): insieme hanno prodotto un “video-album” con un lungo medley, di musica e poesia, tratto interamente dal nuovo disco. La maggior parte dei versi sono della stessa Luedji Luna, accanto a due poesie, di Dejanira Rainha e Cidinha da Silva, per le quali ha composto le musiche. La cantante ricorda che la sua relazione con la scrittura viene da lontano “è precedente al canto. Scrivo fin da bambina, è qualcosa di intrinseco al mio stare al mondo, è stato il mio modo di esprimermi allora e lo è anche oggi. Cantare è arrivato più tardi, passati i vent’anni. Allora ho deciso di cantare e ho preso lezioni, la considero una relazione ancora in costruzione. Per me è importante reclamare questo spazio di scrittura, dato che avviene ancora un reale silenziamento delle voci, viviamo in una società che non ascolta la donna, tantomeno la donna nera. Proprio per questo, con il mio lavoro come autrice e nella collaborazione con altre cantanti e poetesse, donne e nere, intendo legittimare le nostre voci in questo spazio”. I suoi versi sono stati condivisi con altri musicisti. Spesso sono nati mentre era in tour ed il processo di composizione musicale si è svolto nello scambio a distanza. Sono versi che colpiscono. Da un lato, fanno i conti con l’essere donna afrobrasiliana in un contesto misogino e razzista “Sono la nera che mangi e non accetti; e non si tratta di gelosie, tantomeno di fede; non sono forse una donna” (in “Ain’t I a Woman” scritta con Ravi Landim). Dall’altro, esplorano e descrivono la materialità dell’amore e di un’affettività che sceglie la propria matrice africana offrendo l’acqua quale metafora chiave del ciclo della vita: “L’utero pieno d’acqua, luogo del conforto, della sicurezza per un bebè”. Sono versi che ha incluso in un disco che è nato accompagnando la sua gravidanza, ma che, in realtà, sono nati molto prima del desiderio di maternità: “Tutte le composizioni incluse nel disco erano già pronte da molto tempo, ragione per cui l’album non ha come tema la maternità. A cucire insieme i brani è l’amore. “Um Corpo No Mundo” affrontava soprattutto una crisi di identità e la ricerca di un’Africa ancestrale: uno spazio per risignificare questa Africa diasporica che avevo voluto portare nel disco, da Cuba all’afrobahianità. In questo secondo disco sono andata davvero in Africa, l’ho registrato in Kenya con musicisti anche da Burundi e Madagascar. Lì ho cercato l’Africa di oggi, quella che c’è ancora, una Africa moderna, con le sue produzioni, ricca di ritmi e di musiche diverse. È stato anche un modo di uscire da un’idea diffusa, dallo stereotipo che identifica l’Africa solo con le percussioni”. La nuova produzione ci restituisce dodici brani ben cesellati che espandono il personale approccio afrobrasiliano alle tessiture intrise di R&B, jazz e blues, mettendo insieme registrazioni realizzate fra la sua città natale, Salvador, quella d’adozione, San Paolo, e Nairobi, in cui ritroviamo anche compagni del primo album: Cal Ribeiro, Tatiana Nascimento, François Muleka e Marissol Mwaba. A curare insieme a lei la produzione è stato uno dei musicisti già presenti nel primo album, il chitarrista keniano Kato Change. Non a caso Luedji Luna ha voluto co-firmare la produzione dell’album: “Anche per quel che riguarda la produzione, vediamo questo iato che relega frequentemente la donna al ruolo di interprete, musicalmente spesso poco rispettata. Ed è complessa la relazione fra cantante donna e musicisti, in genere uomini in un ambiente molto machista. Ma io già sapevo quel che volevo sia per quel che riguarda il messaggio, sia a proposito del suono e dell’estetica. Per questo ho voluto essere parte della produzione e collaborare con Kato, persona molto sensibile. E ho voluto musicisti liberi, se li sentite brillare nel disco, è perché sono liberi, sono musica. Abbiamo registrato tutto del vivo, tutti insieme, e questo offre un suono diverso, non è così?” 


Alessio Surian

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