Album compatto, sentito, presente, “Mali music has no borders” si compone di quattordici brani scritti da Sissoko e suonati insieme al Mediterranean Blues, ensemble quasi tutto italiano che riesce a tradurre in modo esemplare la visione di una musica senza restrizioni. Il titolo stesso ci suggerisce di accogliere una visione oltre i confini. Non fisici: quelli si riescono a rintracciare in modo più immediato. Ma di approccio: una visione, cioè, fuori retorica e, se vogliamo, fuori squadro. Che non voglia a tutti i costi (ne otterrebbe l’effetto opposto) travalicare e (quindi) forzare (anche qui retoricamente) le differenze tra generi – che sono anche differenze di impianto, di interpretazione, di comprensione, di esecuzione e svolgimento dei modelli a cui si fa riferimento – ma attraversarle nella prospettiva di una loro comprensione e (laddove è possibile) rielaborazione. In questo modo l’album di Baba Sissoko, nello stesso tempo in cui si inserisce nella traiettoria di una musica contemporanea di matrice maliana (i cui elementi significativi sono molto ben riconoscibili: nei ritmi, nella presenza di alcuni strumenti, nei canti), ci riconduce alla sublime linea della creatività. La compresenza di questi due elementi rende tutto più “artistico” e comprime ogni singolo elemento in una sorta di totalità appagante. Da un lato permettendo a ogni strumento di esprimere la propria vocazione attraverso un ampio spettro di possibilità e, dall’altro, definendo uno spazio musicale più confortevole. Quest’ultimo punto non è secondario, perché interessa (forse) in egual misura i due agenti principali del processo sintetizzato nell’album, vale a dire musicisti e ascoltatori. Per semplificare: non è forse auspicabile che un album sia recepito nella sua interezza, profondità, nelle sue articolazioni più nucleari? Quanto è forte, avvolgente, rinvigorente l’effetto stabilito dalla confluenza, dall’armonia, dalla proporzione (naturale?) tra un suono, anzi tra un insieme ordinato di suoni (la canzone), chi ne realizza la forma che si imprime nell’album e chi la riceve? Ovviamente, questo non stabilisce che tutti comprendano tutto allo stesso modo. Significa piuttosto che in virtù delle possibilità che l’insieme dei brani lascia aperte (compiendone con cura il procedimento che ne determina la forma o, al contrario, accennando idee il cui sviluppo porterebbe a direzioni e astrazioni diverse), accoglie tutti in uno spazio più permeabile. Uno spazio all’interno del quale ognuno può continuare – partendo dal suono, dallo strumento, dall’incastro di più di questi, dalla canzone o dall’album nella sua organicità – a immaginare una plausibile evoluzione. Il profilo netto, l’insieme così diretto dei suoni, le direzioni precise della voce, dei ritmi e, in generale, della strumentazione, fanno pensare proprio a questo: a qualcosa che è allo stesso tempo impulsivamente compiuto e illimitatamente estendibile. Forse è anche per questo che Sissoko pone al centro della sua visione musicale il Mali. Il quale – considerato qui come grammatica, come nucleo narrativo, sia sonoro che testuale – ci ha insegnato tanto in termini di “radici” quanto di “desinenze”, tanto in termini di memoria quanto di rievocazione, tanto in termini di tradizione quanto di innovazione. È oggettivamente il simbolo di un rinnovamento musicale incessante, di un processo artistico rivolto indietro e proteso in avanti. Così come è uno dei simboli del blues (nella sua accezione tradizionale ed etnica): insomma un organismo estremamente complesso e multiforme, in cui storia, oralità, musica, racconto e sguardo lungo operano contro la rimozione e l’omologazione. Tutti i brani di “Mali music has no borders” confluiscono in questa (possibile) lettura, includendo tutto e propendendo verso l’unitarietà della musica sentita e vissuta. Ci si soffermi sul timbro (vecchio, nuovo, acustico ed elettrico/elettronico, pieno: clarinetto, armonica, violino), il ritmo (serrato, sicuro e felicemente melodico: si legga ngoni e tama, basso elettrico, chitarra elettrica, tastiere), armonia e melodia, il risultato non cambia: grande ispirazione e grandi esecuzioni.
Daniele Cestellini
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