Nel 2019 Pete Seeger - ricercatore, banjoista della prima ora, cantante, attivista - avrebbe compiuto cento anni. E Kronos Quartet arriva puntuale con una raccolta straordinaria di brani che ne celebrano la produzione e, in generale, la visione di tutta una vita, spesa a caccia di suoni e parole. È inutile dire che l’album è un capolavoro, bello da ascoltare e da studiare, bello da analizzare alla luce della carriera lunghissima di Seeger - la cui stabile presenza nella ricerca musicale statunitense lo ha portato inevitabilmente a incrociare la strada di Woody Gouthrie prima, di Bob Dylan dopo e, più recentemente, di Bruce Springsteen, che gli ha dedicato l’immenso “We shall overcame. The Seeger Sessions” nel 2006 - e bello da comprendere, in relazione al contesto socio-musicale statunitense attuale. Al Kronos l’album è stato “commissionato” dalla Fresh Grass Foundation, uno dei capisaldi della cultura musicale roots americana. A partire da qui - e precisamente dalla base della Fresh Grass in North Adams, Massachusetts, da cui irradia ogni anno il progetto delle “commissions” (come quello di cui parliamo), il Fresh Grass Festival (una cui versione si svolge anche a Bentonville, Arkansas), diversi Awards, tra i quali lo Steve Martin Banjo Prize, la rivista No Depression (edita dal 1995), Folk Alley, la radio roots per eccellenza, il più recente programma di supporto contro la crisi economica post-Covid “Artist at Work” e il fantastico Studio 9, un “hub for creativity” di recentissima costruzione — ci si immerge in un orizzonte tutto contemporaneo, nonostante i soggetti che gravitano intorno alla fondazione tengano un occhio (quello della ricerca) costantemente rivolto all’indietro, alla storia, alla tradizione. E si comprende perché sulla linea di quell’orizzonte si staglino i nuovi interpreti della bluegrass contemporanea, a molti dei quali è stato già riconosciuto un successo internazionale: Rhiannon Giddens, Sarah Jarosz, Noam Pikelny, Jens Kruger, Jake Blount (solo per citarne alcuni). E si capisce anche perché - spingendoci un pò avanti nella deduzione - venga affidato al Kronos questo necessario omaggio a Seeger: la prospettiva è quella della contemporaneità, intesa come spazio in cui operano soggetti differenti, che incrociano le proprie abilità per mantenere vivi gli aspetti irrinunciabili della tradizione, spingendone allo stesso tempo i confini (i limiti storici e tradizionali) dentro l’ambito della sperimentazione. Di questo si tratta. E questo, probabilmente, può contribuire a spiegare il successo degli artisti contemporanei legati alle musiche tradizionali americane, la dinamicità di cui queste godono ancora oggi (reinterpretate nei modi più svariati) e l’interesse che anche un ensemble come il Kronos Quartet - fondato nel 1973 dal violinista David Harrington e dedito in larga misura, nonostante possa vantare esplorazioni in un universo sonoro molto ampio, alla musica contemporanea - può riporre in esse. Ascoltando l’album, che raccoglie una selezione di quindici tracce perfettamente calate nella multi-dimensione dell’ensemble, si riconosce innanzitutto la forza della musica di Seeger. La quale, nonostante la nuova veste sonora, rimane irriducibilmente radicata nella voce del grande cantore, continuando a richiamare i riflessi più profondi del canzoniere americano. Dico questo a conferma di ciò che credo (come ho scritto poco sopra) siano le intenzioni del progetto, legato a doppio filo alla sensibilità musicale degli esecutori e alla responsabilità di diffondere, nei modi più congrui, la conoscenza di un patrimonio culturale (responsabilità che ovviamente il quartetto condivide con gli altri soggetti coinvolti). Scorrendo la scaletta ci si imbatte nei classici seegeriani (scritti da lui o da lui resi famosi), come “Mbube” e “We Shall Overcome”, “Turn, turn, turn” e “Waist deep in the Big Muddy”, tutti riproposti con un’attenzione disarmante. Per quanto riguarda sia la scrittura musicale - sempre sicura e presente - sia l’esecuzione. Nel loro insieme, questi due piani interpretativi si intersecano con le voci stupende di artisti quali Brian Carpenter, Lee Knight (il quale riporta una versione straordinaria di “Garbage”), Sam Amidon, Maria Arnal (la cui interpretazione rende “Jarama Valley” uno tra i brani più belli dell’album), Aoife O’Donovan. Il contributo di quest’ultima (cantautrice, polistrumentista, membro delle band Crooked Still e I’m With Her) è da considerare probabilmente il più importante: ascoltare per credere “Kisses Sweeter Than Wine”.
Daniele Cestellini
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