Per il suo esordio discografico Lina Bellard è andata a raccogliere gli elementi
della sua favola, i ricordi di famiglia, le storie del villaggio, gli archivi
sonori. Ha imbarcato nella sua geografia musicale l’uccello blu della sua
infanzia in India e le misteriose lepri, un navigatore a lunga distanza ed è
partita con la sua arpa modale a quarti di tono come polèna. All’origine di ogni
brano c’è sempre una melodia tradizionale: che siano bretoni o uzbeche le danze
rituali fanno sempre emergere realtà leggendarie. Con il progredire del cammino
sonoro emergono lentamente ricordi, eventi, comportamenti, personaggi da cui si
dipana una tensione drammatica di fondo. Un mistero, un tema mitico, qualcosa di
sfuggente che sono poi le caratteristiche principali di tutti i gwerz bretoni.
Collaboratrice tra gli altri di Denez Prigent, Rozenn Talec, Roland Becker,
Krenijenn e del gruppo irlandese Altan, Lina Bellard ha sviluppato una tecnica
con le unghie al fine di ottenere effetti sonori continui e i cambiamenti di
intonazione del suono solitamente prerogativa della musica modale. Nel 2011 è
entrata a far parte del 4 ° collettivo Kreiz Breizh Akademi, programma di
formazione musicale professionale (sotto la direzione artistica del cantante
Erik Marchand). Quella edizione le permette di ritornare in India (a Chennai,
l’antica Madras) per un viaggio di studio intorno alla canzone carnatica.
All’interno della Kreiz Breizh Akademi aveva avuto modo di ascoltare i canti di
centro Bretagna "An Heñchoú Treuz" incisi da Erik Marchand con Thierry Robin
all’oud, all’inizio degli anni 90, rimanendo profondamente impressionata
dall’avveniristico duo. Stabilitasi a Rennes, Lina ha pensato a “Titi” Robin
come la persona ideale per eseguire una consulenza musicale al suo disco
d’esordio. Le sue scoperte e le sue intuizioni sono alla base di molte
composizioni incorporate nel CD, dove Marthe Vassallo ha fornito l’altrettanto
preziosa consulenza vocale. Alla penna di Robin è affidato anche il duetto
strumentale bouzouq/oud posto in chiusura “Mast Pavan Gaae Lort”, nel quale “il
vento ubriaco canta una ninnananna”. Un disco pieno di sorprese e creatività
diviso in due capitoli: “Cercare Jeanne” e “Trovare le lepri”. All’interno del
primo ascoltiamo anche un paio di lunghi gwerz. “Manolo” (brano originale) è un
viaggio iniziatico e liberatorio: “...quelli a cui tenevi, lungo quaranta anni,
mi hanno indirizzato verso la montagna, ti troverò Manolo, guaritore di mali,
guaritore di segreti. L’uomo mi ha ferito: una mancanza da colmare, ti troverò
Manolo. Quattro tappe, un bivacco...sul mio cammino si sono versati un lago
vegetale, la folle avena, l’erba dorata...quattro travi per aria, una quinta per
terra, una sesta di traverso, restano le ombre e le correnti d’aria, in questa
dimora la carne se n’è andata. La tua rovina è troppo lontana, bisogna tornare
dove ci sono gli uomini, tornare sulle traccie di un cane, scegliere delle buone
pietre per marcare il cammino. L’uomo mi ha ferito: come amare?...” Quindi il
“Gwerz Sant Sulian” (la cui fonte deriva dalle ricerche etnomusicologiche di
Yann-Fañch Kemener) mescola il tempo e la volontà e racconta la storia
dell’immutabilità del destino che è già scritto e segnato. Proprio come succede
nella canzone “Samarcanda” di Roberto Vecchioni, dove l’ispirazione per la
composizione del testo proviene da una storia archetipica, presente in molte
culture, in particolar modo da una favola orientale. Il destino è già segnato e
qualsiasi azione umana altro non fa che che assecondarlo (Saint Julien quand’era
giovane era un uomo importante e potente, un giorno si alzò di buon mattino per
andare a caccia nel bosco, incontrò una lepre rossa e la inseguì. Perché mi
segui Julien? Speri di avere la mia vita? Se tu mi uccidi, ucciderai tuo padre e
tua madre, coricati nello stesso letto. Piuttosto di fare ciò me ne andrò
lontano dal mio paese. Julien ha lasciato la regione, è sceso in Bassa Bretagna,
a casa di un principe a fare il domestico. Serviva così bene che il principe lo
amava come un figlio e gli diede in sposa la sua figliola. Il padre e la madre
di Julien erano disperati, il loro figlio non rientrava a casa, vendettero tutti
i loro beni per andare, di giorno e di notte, a cercarlo per il mondo.
Arrivarono fin davanti alla sua porta dove una bella dama chiese loro cosa
stessero cercando due persone di quella età. Abbiamo perduto il nostro figlio
Julien, non sappiamo in che paese si trovi, Signora non l’avete visto? E’ il mio
sposo, non so da che paese venga. Entrate per riposarvi e mangiare qualche cosa.
Ebbe così pietà di loro che li mise nel suo letto. Julien era a caccia, incontrò
una lepre rossa che gli fece vedere un brutto uomo coricato con sua moglie.
Allora Julien rientrò a casa disperato, aprì la porta della camera e tirò due
colpi nel letto uccidendo suo padre e sua madre…..) Ad aprire il secondo
capitolo del disco troviamo la poesia “Jeanne songeait” (estratto dall’Art
d'être grand-père, del 1877 di Victor Hugo) su una musica originale di Lina e
poco oltre “Gapihan Vana”, il cui testo tradizionale descrive un’ unione
profonda che va oltre l’amore, platonica e mistica, su una musica del maestro
persiano di Tar e Setar, Dariush Talai, che ricordiamo anche collaboratore di
alcuni balletti di Maurice Bejart e Carolyn Carlson. Nel CD sono inseriti anche
brevi monologhi narrativi di persone molto anziane, voci parlate raccolte da
Lina stessa nell’intimità familiare tra il 2009 e il 2011. Oltre a queste, altre
voci di bambini della scuola primaria di Vitrac degli anni 80, provenienti da
cassette registrate conservate negli archivi Dastum. Il titolo invece, viene
dalla leggenda Lébérou (parola derivante da “lepre”: lièvre – lebre – lébérou),
che generalmente descrive le disavventure di un uomo (o di una donna) che, a
seguito di una maledizione, la notte si trasforma in una bestia selvaggia simile
a una grande lepre. Se vuole abbandonare durante il giorno, la sua pelle
animale, deve passare ogni notte sotto sette campanili prima dell'alba e per
salvarsi venir trasportato saltando in groppa ai pochi passanti spaventati. Le
versioni sono parecchie e in questa favola, la nonna racconta di tale Jeanne
Rougier che era sparita da molto tempo dal proprio villaggio, per trasformarsi
in lébérou. L’animale in questione aveva piede di gallo, coda di lupo, zanne di
cane, corna di caprone, occhi di capra, pelle di lepre. La morale del racconto è
che c’è una lepre in ogni cassetto, che al freddo si trova immersa nel suo
passato senza ricordare nulla delle lepri. Dai cassetti non vengono risposte per
le lepri...le lepri se ne vanno ma i cassetti restano: è la vita!
Flavio
Poltronieri
Per un approfondimento su Lina Bellard rimando al mio articolo
pubblicato su
Terre Celtiche
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Europa