La Banda Morisca – Gitana Mora (Algazara, 2020)

Concepiscono la loro musica come interazione tra passato e presente, a partire dal nome: La Banda Morisca, con cui fanno riferimento a quella terra di frontiera “clandestina” di convivenze che separava il dominio nasride di Granada e l’Andalusia “riconquistata” dei sovrani cattolici, popolata da fuggitivi cristiani e musulmani, commercianti, nomadi e dai primi gitani insediatisi in quel lembo meridionale della penisola iberica. In quel mondo di variegata umanità sociale iniziarono a cristallizzarsi le espressioni musicali che daranno vita a ciò che in seguito è stato chiamato “cante jondo”. Con il terzo album (dopo “La Banda Morisca” e “Algarabya”), pubblicato in occasione del decennale, la formazione di Jerez de la Frontera - in un certo senso erede del ruolo che negli anni addietro hanno avuto i Radio Tarifa - fa le cose in grande, dando alle stampe “Gitana Mora”, in cui si consolida il mosaico di linguaggi che animano il suo sound (modi arabo-andalusi, vocalità del cante jondo, stili maghrebini urbani, jazz e rock su liriche antiche, popolari e contemporanee). Si tratta di un CD in forma di libro (35 pagine in lingua spagnola) che accoglie scritti di letterati, giornalisti, operatori culturali, musicisti e accademici i quali, ciascuno dalla propria prospettiva estetica e di studio, intervengono sul tema del disco, che mette al centro il ruolo delle donne al tempo di al-Ándalus, una centralità della femminilità che assurge a simbolo di nutrimento, forza, saggezza e trasmissione di saperi. È il lascito di quel periodo di convivenza di diversità confessionali e culturali che La Banda Morisca esplora per riscattarlo, riportandolo alla luce. «Se la nostra storia, la storia di al-Ándalus, è sconosciuta e siamo stati costretti a dimenticarla, la storia delle donne molto di più. Ci sono migliaia di casi di donne ad al-Ándalus dimenticate dagli stessi storici», dicono i musicisti de La Banda Morisca, che è composta da JoseMari Cala (canto), José Cabral (oud, chitarra moresca, banjo), Antonio Torres (fiati), Jerónimo Gómez Melgar (basso elettrico), Belén Lucena (violíno) e David Ruiz (percussioni); partecipano al nuovo lavoro Raúl Rodríguez (tres flamenco), Sofia Torres (violoncello), Laura B (voce), Paqui Benitez (voce) e la Escolanía Los Trovadores (cori).
Gli interventi del libro tratteggiano figure storiche femminili, profili musicali e poetici di al-Ándalus, ma propongono anche una biografia della band in occasione del decennale. Sono, inoltre, commentate le dieci tracce dell’album, aperto emblematicamente dalle stratificate commistioni di “Rumba Morisca”, motivo di composizione del gruppo, che rimanda all’interpretazione dell’intellettuale andaluso Antonio Manuel, per il quale «il flamenco nasce quando muore al-Ándalus» (a tal proposito, si veda il suo “Flamenco. Arqueología de lo jondo”). Nel brano il senso della perdita che segue l’espulsione dei moriscos è compiutamente espresso dai versi: «Mi voz se ha perdido se la ha llevado el mar y nadie se acuerda» (La mia voce si è persa, è stata portata dal mare e nessuno se lo ricorda). Di derivazione tradizionale è “Oh Joven Gacela”, un motivo che ti avvolge con i suoi timbri (ascoltate soprattutto il violino e i diversi fiati), ispirato al gharnati arabo-andaluso in modo zidan su un testo tradizionale, dove la Banda imprime la propria propulsione ritmica, sempre molto incisiva e piena di cambi di tempo. Nel celebre villancico “Tre Morillas” l’emissione melismatica di JoseMari Cala trova sponda nel coro, sul piano strumentale il fraseggio del sax alto di Torres si apre all’improvvisazione, mentre basso elettrico e percussioni rafforzano l’afflato contemporaneo. Il testo contenuto nel “Cancionero de Palacio” (XV-XVI secolo) illustra, in un certo senso, la dimensione esotico-sensuale-erotica della convivenza tra ebrei, mori e cristiani. Seguono “La niña de la alhucema”, musica della Banda su testo di Antonio Manuel, in cui i fiati innestano profumi ethio-jazz, e la bella soleà tradizionale “La choza de Juaniquín” (riproposta anche in una dilatata versione dub “mundo-beat” in chiusura del CD), dove primeggia ancora l’ugola del cantaor JoseMari Cala. «Gitana, gitana, tù ers mora, mora de la morerìa» cantano nella title track, riprendendo un passo dal repertorio della famosa cantaora Fernanda de Utrera: “Gitana Mora” inizia con l’iterazione ritmica delle nacchere metalliche gnawa e del basso, poi entra il violino e la voce attacca il canto, che omaggia la sapienza sufi di Fatimah de Cordoba e Shams de Marchena. Qui l’ordito si muove tra chaabi maghrebino e stilemi andalusi. Riluce ancora il lirismo di Antonio Manuel nella canzone “Romance de la amada”, che è un altro degli esiti più riusciti del disco. La successiva “Wahirya” è una guajira in cui in un trionfo di corde e fiati si richiamano le connessioni tra Afro-Caribe e Andalusia, Diversamente, il “meno è più” prevale nella minimale “Milonga de Wallada”, in cui Cala duetta con la cantante Laura B sui versi della poetessa Wallada bint al-Mustakfi (994<1010 -="" a="" accompagnati="" album="" banda="" califfo="" canora="" che="" cordova="" costante="" culturale="" da="" dal="" dalla="" dalle="" de="" del="" dell="" delle="" densa="" di="" difficile="" e="" figlia="" href="http://www.labandamorisca.com" iii="" il="" in="" influenze="" instradarsi="" la="" manca="" morisca="" muhammad="" nella="" non="" nuove="" ospite="" partendo="" percussioni.="" progetto="" proprie="" pur="" quale="" realizza="" risolve="" risonanza="" sestetto="" si="" sinuoso="" sofia="" sonore.="" strumentale="" summa="" tensione="" terzo="" torres="" trame="" un="" una="" verso="" violino="" violoncello="">www.labandamorisca.com




Ciro De Rosa

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