Fabbrica Europa 2020, XXVII Edizione, PARC Performing Arts Research Centre, Parco delle Cascine, Teatro Cantiere Florida, Teatro Puccini, Firenze e Teatro Studio Mila Pieralli, Scandicci dal 3 settembre all’8 ottobre 2020

Fabbrica Europa 2020, festival di teatro, musica, danza e arti performative con sede a Firenze ma di respiro decisamente internazionale, ha presentato per la sua XXVII edizione una programmazione ricca e capace di integrare sperimentazioni artistiche e riflessioni su temi di attualità. Gli spettacoli si svolgono tra il PARC Performing Art Research Centre, sede del festival, e alcuni teatri, ma anche nei parchi, nelle piazze e nei luoghi inusuali della città. Fabbrica Europa in questa edizione propone di indagare la relazione tra gli spazi urbani - aperti e chiusi - e i linguaggi delle arti performative, proponendo la costruzione di un nuovo territorio del contemporaneo da ripensare attraverso un respiro collettivo, comunitario, politico e vivo. Ed è in uno di questi luoghi deputati, sede del festival, che mi sono recata per assistere a uno degli eventi di apertura: lo spettacolo “Terminalia Amazzonia” di ZU e Lillevan. ZU (Jacopo Battaglia, Luca T Mai, Massimo Pupillo) è un gruppo di musicisti originari di Roma attivi da quasi trent’anni sulle scene internazionali. Nel corso degli anni hanno sviluppato uno stile proprio, “rock” in senso ampio, originale, sperimentale e perfettamente riconoscibile. 
A Firenze hanno presentato il loro ultimo lavoro, uscito nel 2019, “Terminalia Amazonia”, in cui la formazione originale degli ZU lascia per la prima volta da parte i propri strumenti per dedicarsi alla composizione mediante sintetizzatori analogici e field recordings. “Terminalia Amazonia” è dunque un lavoro nato sul campo, frutto di numerosi viaggi in un remoto villaggio dell’Amazzonia, presso la comunità indigena degli Shipibo-Conibo. Il concerto si compone di lunghe visioni distese atte a ricreare una cerimonia di purificazione sciamanica. Un’indagine etno-psych durante la quale, partendo dai campionamenti delle melodie tradizionali di guarigione, si ripercorrono le fasi del rito creando una sorta di flusso ipnotico e onirico. Un connubio di elettronica, canti sciamanici, suoni e rumori della natura che si mescolano alle immagini ancestrali del visual artist berlinese Lillevan ricreando un’atmosfera densa e a volte spettrale, sospesa tra presente e passato, intimista e cosmica allo stesso tempo. Uno spettacolo definito “elettronica magmatica” tangibile e capace di trasportare lo spettatore in un luogo lontano, da ascoltare, da immaginare e, nel caso della ritualità dei canti tradizionali, da preservare. Le due performance successive si sono tenute nell’ambito del Festival au Desert Firenze. 
Questa rassegna, a me particolarmente cara, ha ospitato fin dalla sua prima edizione nel 2010 valenti musicisti e gruppi provenienti da Mali, Nord Africa, Mediterraneo e Medio Oriente, attivi nella scena world music internazionale. Lo scorso 5 settembre nel piazzale del PARC, Performing Art Research Centre, è andato in scena il trio composto da Aly Keita, Hamid Drake e Paquale Mirra. Aly Keita, nato in Costa d’Avorio ma originario del Mali, è uno dei più conosciuti suonatori di balafon, strumento tipico della tradizione griot dell’Africa Occidentale, antenato dello xilofono. Keita, cresciuto in una famiglia di musicisti, ha personalizzato il suo strumento aggiungendo corde e zucche di diverse dimensioni che fanno da cassa di risonanza, in modo da produrre le sonorità da lui ricercate e di prolungarle al massimo. Sul palco troviamo anche Hamid Drake, brillante batterista di Chicago. Le sue influenze musicali derivano principalmente dall’incontro con i componenti dell’AACM (Chicago’s Association for the Advancement of Creative Musicians) e dalla fortunata e collaborazione con Don Cherry. Drake ha molti legami musicali con l’Europa e si esibisce con frequenza anche in Italia. Ricordiamo a tal proposito la partecipazione alla prima edizione del Festival au Desert di Firenze e alcune preziose collaborazioni con musicisti attivi nel
panorama italiano (Antonello Salis, Paolo Angeli). Il terzo componente di questo trio eclettico è Pasquale Mirra, vibrafonista tra i più attivi del jazz italiano e internazionale (ben note sono le sue collaborazioni con Gianluca Petrella e con il gruppo C’mon Tigre). Mirra sperimenta sul vibrafono costruendo bacchette di tipo diverso o guanti per percuotere lo strumento, per inventare e ricercare colori nuovi e interessanti. Mirra è stato già al fianco di Drake in numerosi live che hanno riscosso successo di pubblico a livello internazionale. Durante il live si percepisce una sinergia particolare tra i componenti, quella sinergia capace di favorire lo scambio e il dialogo, nella costante ricerca sonora nella quale le melodie si costruiscono da sole. Drake è un vero maestro nel creare basi poliritmiche torrenziali sulle quali si innestano le sonorità poetiche di Mirra e Keita. Una miscela di suoni estemporanei che prende vita attraverso l’uso evocativo degli strumenti e della voce regalando ai suoi fruitori anche alcuni momenti intimi e spirituali. Citiamo a riguardo un brano di Keita per solo voce e M’bira, strumento tipico dell’Africa sud-orientale, e un canto religioso intonato da Drake con l’accompagnamento di un tamburo a cornice. La performance si compie dunque nell’incontro di tre diverse culture così apparentemente lontane che si ritrovano, si amalgamano e si fondono, creando un ponte tra le melodie sospese, quasi ipnotiche,
dove le pulsazioni africane del balafon e quelle orientali dei tamburi si uniscono all’eclettismo del vibrafono, in un caleidoscopico viaggio sonoro. Presentato al Teatro Puccini di Firenze, il secondo concerto dell’XI rassegna del Festival au desert Firenze vede in scena Trilok Gurtu, celebre percussionista e compositore indiano. Nato a Mumbai da una famiglia di musicisti ma residente in Germania da più di quarant’anni, Gurtu è oggi uno dei più importanti percussionisti di quella scena che spazia tra jazz e world music, funk e Africa, India e musica colta europea. Negli anni ha collaborato con artisti di livello mondiale come Joe Zawinul, John MacLaughlin e Pat Metheny. Nei primi anni Settanta entra nel mondo della nascente scena world e lo fa proprio in Italia, prendendo parte al progetto degli Aktuala, band che miscelava sapientemente rock progressivo e una ricerca ritmica basata sulle sonorità africane e orientali. Sempre in Italia, paese a cui Gurtu è molto legato, collabora con Pino Daniele, Ivano Fossati e il dj Robert Miles in progetti che spaziano dal pop all’elettronica. Lo scorso 10 Settembre Trilok Gurtu si è esibito a Firenze in un “solo”, con il proprio drum set a dominare la scena. 
Sul palco, Gurtu ha innestato uno sfaccettato e travolgente percussionismo alternando la “classica” batteria alle “tradizionali” tabla, all’uso della voce e di vari sonagli e, in alcuni momenti, di oggetti inusuali compresi un secchio e bottiglie d’acqua. Il concerto è un one-man-show poliritmico, un viaggio fra più linguaggi che omaggia i suoi riferimenti musicali, nei quali si riconosce il jazz con qualche assonanza latina, ma c’è anche l’India, le ritmiche orientali e molta sperimentazione. Gurtu tiene magistralmente la scena, comunica con gli spettatori, parla in italiano, racconta la sua carriera passata, spiega i brani, fa battute. Il pubblico gradisce, interviene e partecipa quando richiesto. Un omaggio al fare musica, con impegno, disciplina e professionalità ma anche con altrettanto divertimento. 


Layla Dari
Foto di Monia Pavoni

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