Daniel van der Duim e Michiel Braam, ThiemeLoods, Nijmegen, 14 agosto 2020

Il 14 agosto sera a Nijmegen (NL) erano previsti tuoni e fulmini. Una serata ideale per la prima uscita di un inedito duo pianistico di aperte vedute. Daniel van der Duim è un giovane pianista che proprio nell’arte del duo e del trio sembra aver trovato la sua dimensione privilegiata, attivo insieme al sassofonista Loek van den Berg e con il trio Doppler. Ha studiato piano al conservatorio ArtEZ e nella sua tesi magistrale ha cercato di capire in che modo effetti ed elettronica possano interfacciarsi oggi con il pianoforte acustico ed “avvicinarlo” ad un pubblico giovane. Da quella ricerca è scaturito il progetto “Pintures”, sintesi di “Piano Textures” e una serie di concerti “Open Pintures” in collaborazione con Podium JIN, l’organizzazione che promuove jazz e musica improvvisata a Nijmegen. Il primo appuntamento il 14 agosto è stato ospitato da Thieme Loods, bel palco al primo piano dell’omonimo caffè in un quartiere popolare della città. Nel 2015, al Festival Music Meeting, Braam aveva già suonato dal vivo con van der Duim coinvolgendolo in Sixty Fingers, ingegnoso concerto per sei pianisti. Ora van der Duim ha rinnovato la collaborazione tenendo per sé elettronica e synth e lasciando a Michiel Braam il pianoforte a coda. Hanno pensato di dividere il programma in tre parti: ognuno si è esibito da solo per poi dialogare insieme nella parte conclusiva. Michiel Braam ha offerto uno splendido primo set, una lunga suite improvvisata in cui hanno trovato spazio e complementarietà le sue diverse passioni: la capacità di esplorare il piano dal punto di vista timbrico, facendo propria la lezione del free, di una dinamica fatta di contrasti e della ricerca di un registro materico nello sviluppo dell’improvvisazione; un personale approccio alle poliritmie e alle composizioni afrolatine protagoniste anche del suo ensemble Son Bent Braam (“El XYZ”) e del trio dedicato alle Antille Nos Otrobanda (“The Curaçao Experience”); 
l’approfondimento del repertorio e della lezione di Monk; la rivisitazione melodico-armonica di classici del jazz, in questo caso “Caged Bird”, a partire dalla versione di Abbey Lincoln. Sono almeno trentacinque anni che Braam si avventura per questi sentieri mostrando una personale poetica che sa trascendere il repertorio in questione, ma anche spremerne con rispetto l’essenza e legare senza soluzione di continuità mondi diversi. I tuoni e fulmini previsti dal meteo, in realtà, hanno risparmiato lo svolgimento del concerto, ma non sono mancati nella sua espressività pianistica, accanto a momenti di limpida poesia. Difficile dar seguito a un set così intenso. Daniel van der Duim ha intelligentemente badato a disegnare una propria paletta sonora ed ha proposto una suite molto diversa, con un utilizzo sobrio e molto competente delle tastiere e dei pedali a disposizione. I momenti migliori sono scaturiti dal misurato uso di loop, in particolare quando offrivano tempi dispari segnati da originali accenti ritmici. Dopo i primi due set, una pausa ha permesso ai musicisti di concordare come proseguire insieme il concerto. Il terzo set è stato definito da Braam la sua prima “techno gig”, nel senso che il suo lavoro sul piano acustico era chiamato ad intrecciarsi con l’elettronica azionata da van der Duim. Questo terzo tempo ha offerto una pluralità di spunti e occasioni di dialogo, senza però decollare davvero o raggiungere l’intensità del primo set offerto da Braam, anche se è stato quest’ultimo a prendere spesso l’iniziativa anche nel terzo set. Da un lato, i tempi di reazione e di gestione di synth e pedali non sembrano permettere l’immediatezza di risposta che appare più volte sollecitata dalle idee di Braam. Dall’altro, l’ampia e profonda pratica improvvisativa di Braam non trova una “complicità” che risponda nel merito della proposta, con l’apporto di van der Duim che esplora soprattutto registro e cornici timbriche a scapito della ricchezza di idee e cambi di passo che avevano caratterizzato la condizione di libertà del piano solo. Nondimeno, come prometteva il titolo, “Open Pintures”, il dialogo fra i due tastieristi ha offerto interessanti sollecitazioni per ri-pensare l’estetica pianistica nelle transizioni possibili fra dimensione acustica ed elettronica. 


Alessio Surian

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