SARĀB – SARĀB (Matrisse Productions, 2019)

Ritmi arabi, armonia jazz e le graffianti sonorità del rock si incontrano nel chimerico ed omonimo debutto dei SARĀB. La band francese si muove sinuosamente tra tracce calme, evocative e contemplative e brani dal passo pesante ed incalzante, in un disco che sembra raccontare tante storie che confluiscono l’una nell’altra nel marasma del vociare urbano. Un canto sirenico che seduce con melodie ammalianti, costruite con grazia e naturalezza su ritmi misti e sfumature maggiori e minori. Nato da una voce ed una chitarra, il sestetto accorpa voci e stili diversi. Testi in arabo, la furia del jazz contemporaneo e del rock progressivo, armonie colorate e ritmi del mondo sono gli ingredienti essenziali della band. Alla voce a al trombone abbiamo Robinson Khoury, talentuosissimo e pluripremiato musicista formatosi presso i conservatori di Damasco e Lione. Scoperto da Ibrahim Maalouf, ha collaborato con artisti di calibro internazionale come Marcus Miller, Lew Soloff, Ari Hoenig e Natacha Atlas. Ma la voce principale è di Climene Zarkan, diplomata in piano classico, studiato pure lei a Damasco e Lione, mentre ora si concentra sul canto e sulle percussioni. Baptiste Ferrandis è alle sei corde col suo stile variegato, influenzato da jazz, metal, hip-hop, musiche orientali e balcaniche. Timothee Robert gestisce le frequenze basse con la maestria maturata sui palchi di grandi festival come il Jazz Sous Les Pommiers e il Jazz à Vienne. Dietro al Rhodes e a supportare le altre voci troviamo invece Thibault Gomez, che è anche compositore e arrangiatore. Infine, a far da motore abbiamo il giovanissimo batterista Paul Berne. Il fiore all’occhiello è l’alternanza di groove vigorosi su tempi dispari e momenti corali, dove le voci costruiscono intensità melodica e dinamica portando al climax dove la sezione ritmica si riunisce al coro. Il canto ipnotico è rafforzato dalla dalla lingua araba con la sua musicalissima fonetica. Ne abbiamo un esempio nell’apertura con “Al Bidaya”, un pezzo di sole voci che si stagliano dal chiacchiericcio di un mercato urbano. Un canto malinconico e nostalgico, che con rara espressività introduce l’anima araba del disco. Con grande nonchalance, il pezzo sfocia nel successivo, “Habibati – Medha Aqulu Lahu”, dove l’atmosfera rinvigorisce tra chitarre distorte, soli che giocano con la dissonanza e groove ora serrati, ora aperti per lasciar spazio all’improvvisazione. A completare il trittico, “Limb of Purity” mantiene l’ambivalenza emotiva del brano precedente, con un ritornello dalla splendida melodia che si rafforza in un climax dinamico che porta al trading di soli tra il trombone e la chitarra. Anche “Echoes From Aleppo” e “Subhana Man Sawar – Ton Éloge…” si presentano come capitoli della stessa storia. Una fortissima melodia presentata dal trombone solo caratterizza il primo, nel secondo vi si unisce invece la voce. Gli effetti dipingono un paesaggio desolato e funereo, dove le due melodie spiccano come canti elegiaci in ricordo della terra distrutta. Ed è nel duetto di trombone e voce, accompagnato da un delicato arpeggio di chitarra, che ci sorprende la più delicata e colorata delle melodie dell’album. In totale contrasto arriva “Silence in Aleppo”, traccia che è tutto fuorché silenziosa. Un brano che picchia duro senza chiedere, come la guerra che quel silenzio ad Aleppo l’ha causato. Rock progressivo e djent si fanno carico di descrivere la battaglia che si placa solo, ma non per molto, in “Qultu Lamma”, di cui è particolarmente notabile il solo di rhodes. Nelle due parti di “Tiri” la band gioca con l’elettronica, dedicandosi al già curatissimo paesaggio sonoro già inquadrato dal resto dell’album. A separare queste metà abbiamo “Hadha Mou Insaf Minnak” e “Ana al Mutayyam – Je suis l’Amoreux”. Il primo è l’unico pezzo ad essere marcatamente maggiore, mentre nel secondo spicca l’orchestrazione delle voci nel climax conclusivo. L’album è fortemente descrittivo, un meraviglioso “audiolibro” che racconta storie di nostalgia, rabbia e furia, con la poeticità espressiva tipica della musica nord-africana e medio orientale. Un viaggio tra diverse sonorità che garantiscono la giusta coerenza emotiva ad ogni gruppo di brani. Una musica di contrasti, di bellezza melodica e forza ritmica, di calma e tempesta. Il giovane sestetto si dimostra già maturissimo con un fantastico debutto che identifica uno stile idiosincratico. Il mix di jazz, rock progressivo e musica araba non è mai forzato, concentrandosi sui punti comuni dei tre stili, in particolare la complessità ritmica. Dalla qualità di questo debutto, non ci si può che aspettare un seguito coi fiocchi. Con le registrazioni del nuovo album previste per Novembre 2020, SARĀB è sicuramente una delle novità da tenere sott’occhio. 


Edoardo Marcarini

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