Esma’s Band-Next Generation – Gipsy Dance (ARC Music, 2020)

Il nome di Esma Redžepova (1943-2016) è nei libri di storia macedoni, perché la cantante e danzatrice rom, cresciuta a Shutka - nome con cui è conosciuto Šuto Orizari, il distretto di Skopje dove risiede numerosa la popolazione Rom -, è un pezzo importante della storia culturale della Jugoslavia prima e della Macedonia del nord poi. Fu la prima artista jugoslava a esibirsi all’Olympia di Parigi nei primi anni Sessanta, un’artista di stato in epoca titina, con migliaia di concerti alle spalle in coppia con la band guidata da suo marito, il fisarmonicista, compositore e arrangiatore Stevo Teodosievski (scomparso nel 1997). Ritornata nella sua città natale con l’implosione dello stato degli slavi del sud in condizioni economiche precarie, Esma si riprese con la sua popolarità di magnifica artista e di impegno umanitario con l’Unicef, diventando una portavoce dei diritti del popolo Rom. Ben due volte il governo macedone l’aveva candidata al Premio Nobel per la pace. Lei e Stevo avevano fondato una scuola di musica per bambini senza fissa dimora, accogliendo quarantasette orfani e bambini di strada e adottandone cinque. Tra di loro c’era Eleonora, che dalla madre adottiva ha appreso l’arte del canto: “È davvero incredibile avere una figlia accanto a te. Eleonora fa parte del team e sarà fantastico continuare il mio lavoro”, ha detto di lei l’immensa Esma. Eleonora Mustafovska è la cantante del progetto Esma’s Band-Next Generation, formato da membri dell’orchestra della “regina degli zingari”, che intende non disperdere l’enorme eredità artistica della Redžepova. Oltre che alla lead singer, l’organico è costituto da quello che era l’Ansambl Teodosievski: Simeon Atanasov (un altro dei figli di Esma, alla fisarmonica e alla composizione e direzione artistica), Zahir Ramadanov (tromba), Bihan Macev (clarinetto), Alaksandar Stamenkovski (chitarra), Tasko Gruevski (basso) e Antonio Zekiroski (percussioni). I trentasei minuti del disco, licenziato da ARC Music, presentano dieci tracce che comprendono episodi palpitanti (“Gipsy Dance”), numeri di umore Balkan-disco (“Ljubovta e Raj”, su liriche di Borce Necovski), hit folk macedoni (“Rodena za Pesna”), temi più romantici (“Kaj Sijan”, dove svetta il clarinetto di Macev, e “Ma Hovav Man”) e motivi pieni di pathos (“Samo Tute”). Il gioco è sempre gustoso negli incroci di fisarmonica e clarinetto; corde e percussioni non fanno mai mancare il necessario impegno ritmico all’orchestra, la tromba piazza con dovizia i suoi assoli (“Rodena za Pesna” e “Zaedno”) e la vocalist si destreggia con i suoi melismi tra i tempi dispari. Il combo tocca pure il mondo gitano (“Romano Ilo”) e non può che concludere alla grande con le ance che sospingono il ballo (“Chochek”). Nel nome della madre. 


Ciro De Rosa

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