Tony Allen & Hugh Masekela – Rejoice (World Circuit, 2020)

Tony Allen e Hugh Masekela si conoscono fin dagli anni Sessanta, ma hanno trovato modo di registrare insieme solo nel 2010, nella pausa londinese dei rispettivi tour, con la collaborazione di Nick Gold e della World Circuit e coinvolgendo i bassisti Tom Herbert (Acoustic Ladyland / The Invisible) e Mutale Chashi (Kokoroko). Da allora, la produzione finale dell’album era stata sempre rimandata. Dopo la morte di Hugh Masekela nel 2018, Tony Allen e Nick Gold, d’accordo con gli eredi di Hugh Masekela, nell’estate del 2019 hanno completato le registrazioni negli stessi Livingston Studios londinesi del 2018. A metà marzo, Tony Allen aveva così rievocato le due sessioni di registrazioni in un’intervista a Elodie Maillot per Pan African Music: «Avevamo registrato solo due giorni, scrivendo e componendo istantaneamente. Nulla era stato scritto prima. E’ stato un incontro fra il mio universo ed il suo jazz, quindi senza partiture, giusto delle griglie. Quando senti Hugh suonare ti rendi conto che ha un suono davvero particolare: nessuno suona come lui! Parla una lingua tutta sua. Nel registrare, la batteria è stata la base. In questo disco non ho suonato ritmi propriamente afrobeat. Ci ho messo intensità, non tecnica, giusto il mio modo di vivere e di parlare. E’ così che faccio musica. Ed era questo che volevo offrire a Hugh. Siamo stati molto efficaci, ma due giorni non potevano bastare per finire il lavoro. Per fare in modo che funzionasse, nel 2020 ho voluto cambiare tutte le linee di basso ed aggiungere altri strumenti. Nick Gold ha trovato dei giovani musicsti inglesi molto bravi». I “giovani” sono il tastierista Joe Armon-Jones (Ezra Collective), e Steve Williamson al sax tenore. Anche il design della copertina racconta a modo suo le connessioni musicali che danno vita a questo lavoro, coniugando echi di “Ole” (John Coltrane) e di  “African High Life” (Solomon Ilori And His Afro-Drum Ensemble).
Apre l’album il dialogo fra voci e batteria di “Robbers, Thugs and Muggers (O'Galajani)” ed è subito la tromba di Masekela a prendere il volo, in piena sintonia con il pulsare della batteria, una simbiosi che prende pienamente corpo con i primi tre minuti del secondo brano “Agbada Bougou”, prima di lasciare spazio anche alle geometrie spigolose di Williamson, ottimo controcanto rispetto alla tromba. L’introduzione batteria-basso di “Coconut Jam” promette di diventare un “classico” fra i sample che tengono in tensione swing e afrobeat, fertile terreno per la vena narrativa e la scelta di dinamiche a trecentosessanta gradi di Masekela. Non poteva mancare un omaggio a Fela e a Lagos. “Never” apre con le sole tromba e batteria per poi trasmettere il suo messaggio con parole pronunciate da Hugh Masekela: «Lagos never gonna be the same/Without Fela/Never!». L’ingranaggio muove dal percussivo piano Rhodes di Armon-Jones su cui si innestano le linee di basso, i riff di tromba, le percussioni e la batteria sempre in ebollizione. Sempre Armon-Jones sa offrire un cambio di passo con il vibrafono che apre nuovi orizzonti a “Jabulani (Rejoice, Here Comes Tony)” con la tromba di Masekela in modalità call-and-response, la batteria di Allen mai a corto di idee e variazioni. Anche se a dieci anni di distanza, "Slow Bones" fa dialogare il sassofono di Williamson con la tromba di Masekela, quasi preannunciando i toni della consegna finale: “We've Landed” cita il Miles Davis di “Black Satin” e vede Masekela rievocare lo Yoruba imparato durante le sue visite a Lagos negli anni Sessanta e Settanta “Ise lori lo fii nsere” (ora comincia il vostro lavoro), un messaggio per le giovani generazioni che ne riconosce la maturità ed esplicitamente consegna il testimone di una musica in continuo rinnovamento, sempre a sostegno dei valori che possano incoraggiare le necessarie trasformazioni del continente africano.



Alessio Surian

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