Le composizioni immortali di Leonard Bernstein ricevono una nuova forma attraverso questo album straordinario che Gabriele Coen tributa al grande compositore americano. Coen - qui al sassofono e clarinetto - guida un quintetto a dir poco energico, composto da violoncello (Benny Penazzi), pianoforte (Alessandro Gwis), contrabbasso (Danilo Gallo) e batteria (Zeno De Rossi). Un ensemble che - in ragione anche della varietà degli strumenti di cui è composto - sorvola lo spazio denso e sovrapposto creato da suggestioni jazz, classiche e etno-jezzistiche, in una rilettura che non è solo un omaggio ad alcune delle varianti compositive abbracciate da Bernstein, ma anche un impegno ad approfondirne la ricercatezza, la raffinatezza, l’amore per il suono e la ricerca di una melodia forte e imprescindibile. Gabriele Coen si riallaccia a Bernstein dopo aver analizzato e riproposto le musiche di altri grandi compositori - come Kurt Weill e John Zorn (autore quest’ultimo fondamentale nell’incontro tra jazz contemporaneo e musica ebraica) - elaborando un linguaggio forte e convincente. Ciò che colpisce dell’album - composto da una sequela incantevole di undici brani, mutuati in parte da “West Side Story” e in parte dalle composizioni che Bernstein ha dedicato alla cultura musicale ebraica - è sicuramente la forza espressiva del quintetto. Si ha, infatti, l’impressione (che emerge nettamente anche a un primo ascolto) che vi sia un filo direttissimo tra l’ispirazione del compositore americano, che ha elaborato un linguaggio sempre coerente con le tradizioni e la sua contemporaneità, e la narrativa musicale di questi musicisti, che procedono nella direzione della comprensione piena, dell’analisi profonda. Questa direzione risulta essere dirimente, inevitabilmente nucleare, nella misura in cui da un lato lascia aperte infinite possibilità di sviluppo e, dall’altro, si lascia integrare con armonia, dentro un quadro interpretativo che non è mai approssimativo (“Something’s Coming”). L’approssimazione viene meno proprio perché tutti gli aspetti che compongono i brani sono studiati attentamente attraverso un’indagine inclusiva. E attraverso un’idea di elaborazione che, pur prevedendo spazi per l’improvvisazione, rimane saldamente impressa nella matrice, nell’aura bernsteiniana del racconto (“Somewhere”). D’altronde i punti di partenza sono talmente importanti che sembrano avere una loro oggettività intrinseca (“Dance at the Gym - theme from Maria”). Al punto che sarebbe addirittura inutile tralasciarne alcune parti o, peggio, ridurne la riproduzione a un’eco o a un ricordo. Lo stimolo che sembra aver individuato Coen è quello (analitico) del suono e delle ispirazioni. Due elementi che, nello stesso tempo in cui vengono pienamente ricondotti a Bernstein e riconosciuti nella loro organicità strutturale, diffondono tutti i riflessi necessari a illuminare al meglio la selezione proposta in questo tributo. C’è amore, compassione, fremito continuo, tensione piena e profonda (“Ilana, the Dreamer - Four Sabras”). C’è una vulnerabilità che sostiene con forza le componenti più prorompenti e indomabili (come, ad esempio, in “Prologue from West Side Story”). In questo dualismo, nel quale si esprime un sincretismo che non lascia spazio alla retorica né alla rievocazione vuota, si esprime la bellezza vera dell’album. Dal quale - seppur in una forma rimodulata dalla dinamica di un quintetto che coscientemente sospende le sue voci in spazi multi-musicali - emergono le connessioni migliori, attraverso le quali si può ri-comprendere anche la vivacità della scrittura di Bernstein: la tensione del dramma, il lirismo denso dell’opera, il pragmatismo sublime del teatro musicale. Insomma un nuovo romanticismo filtrato da progressismo e partecipazione, ma anche dal realismo (magico?) dell’estemporaneità, che trasporta quel linguaggio scritto e impresso in un suono “storico” nelle mani degli esecutori (“Some other time”).
Daniele Cestellini
Tags:
Suoni Jazz