“Sono nato nel 1972, dunque, appartengo a una generazione che ha potuto conoscere Fabrizio De André quando era vivo e, persino, vederlo in qualche concerto. Non solo, chi come me nell’adolescenza si impadroniva dei primi quattro accordi di chitarra aveva nel repertorio di De André un repertorio impagabile: quelle canzoni, che nei dischi erano arricchite di preziosismi, raffinatezze e ovviamente del timbro vocale incredibile dell’autore, erano riducibili quasi sempre a pochi essenziali accordi e non serviva alcuna preparazione professionale per essere cantate con risultati dignitosi. Quella loro fruibilità ha permesso a quel repertorio di essere trasmesso di bocca in bocca come un bacio, come un patrimonio folclorico. Quelle canzoni ci sono servite per fare le prime dichiarazioni d’amore e i primi discorsi politici ed esistenziali. Oggi forse quella funzione è quella maggiormente perduta... eppure io credo sia stata essenziale”. Così Alessio Lega ci racconta di “Le canzoni di Fabrizio De André per voce e fisarmonica”, nuovo album completamente autoprodotto e autodistribuito nel quale ha raccolto diciotto brani del songbook del cantautore genovese, reinterpretate in versione acustica. Si tratta di un vero e proprio unicum nell’ormai copiosa produzione di dischi tributo a Fabrizio De André che nasce dall’esigenza di riscoprire l’essenza intrinseca del suo songwriting: “Esistono e continuano a sorgere ensemble che rieseguono in modo magnifico le canzoni di De André: alcuni si sono specializzati nel replicare gli arrangiamenti della PFM, altri ricalcano i suoni mediterranei di Pagani, altri ancora hanno reinciso le partiture di Piovani, quasi si trattasse di un’opera lirica.
Aggiungiamo che vi è una pletora di cantanti che replicano le inflessioni di De André, non solo le sue note tenebrose, ma talvolta i suoi tic di pronuncia. Operazioni qualche volta superflue, ma pregevoli... certamente al di sopra delle mie possibilità come esecutore. Ho però l’impressione che in questi vent’anni si sia perduto proprio quel valore originario che fondeva etica ed estetica, che faceva di quelle canzoni un manuale di educazione sentimentale, proprio nel senso più largo che gli dava Flaubert.
Il senso che noi vorremmo dare al nostro lavoro di re-interpretazione, è proprio quello di restituzione di questa caratteristica. Non siamo in grado di fare un ricalco - oltre a non interessarci - però spero di non peccare d’immodestia nel sostenere che le nostre esecuzioni, di certo non impeccabili, rendono a queste canzoni il loro valore etico”. Soffermandoci sulla genesi di questo nuovo lavoro Lega sottolinea: “Un po' provocatoriamente dico che, per la prima volta, un mio disco nasce con un intento "commerciale". Sto scherzando ma non troppo: il nostro Fabrizio De André per voce e fisarmonica è senz'altro uno spettacolo dal vivo. Dirò di più, l'intento era proprio quello di portarlo sui piccoli palchi, nei club, forse anche nelle strade o negli "house concert", per vivere nel modo più immediato e quotidiano queste canzoni ormai "patrimonio orale", al pari di tanti canti popolari. In questo senso è indicativa a scelta di uno strumento popolarissimo come la fisarmonica.
Un modo di auto-finanziare il progetto era quello di avere qualcosa da vendere. Abbiamo registrato in un giorno solo, in diretta, senza troppe preoccupazioni tecniche e senza sovraincisioni, io ero persino raffreddato ma non potevamo rimandare per ragioni di budget. Quello che sentite è la nostra piccola verità”. A caratterizzare l’approccio agli arrangiamenti è stato un lavoro per sottrazione che ha riportato alla luce la struttura scarnificata delle canzoni: “L'esigenza che io è Guido sentivamo era quella di tornare alle storie. Le canzoni di de André sono essenzialmente delle narrazioni. Abbiamo cercato di ritrovare quell'immediatezza di quando si prendeva la chitarra, magari dopo cena con gli amici, e ci si cantava semplicemente le canzoni, le si metteva a disposizione con uno che le sapeva meglio, un altro che suggeriva una strofa. Ecco, noi siamo ripartiti da qui, riportando gli interpreti al ruolo del cantastorie. Togliere la chitarra come lo strumento più scontato, e avere nella fisarmonica - suonata da Guido che è un virtuoso - una piccola orchestra a disposizione”. La riscoperta della dimensione narrativa delle canzoni di De Andrè ha consentito di scoprire e far riemergere elementi che spesso si tende a dimenticare: “Ripartire dall'essenza del racconto, non dai vezzi espressivi che pure aveva, e che nei suoi imitatori diventano insopportabili. Tornare alla "partitura" delle note e delle parole per trovare l'anima delle cose.
De André aveva un modo estremamente compassato di cantare, questo modo era molto adatto a lui, era figlio dei salotti che aveva frequentato, dove potevi dire la parolaccia ma non dovevi mai urlare, mai perdere il controllo. Ecco, io penso che le sue canzoni siano più grandi anche di questo. Resta invece essenziale il suo senso del racconto, poetico perché sintetico, le sue canzoni sovente raccontano una vita che viene condensata in pochi minuti, come quella di “Bocca di rosa” o di “Prinçesa”. È il senso del racconto che fa uscire dall'autoreferenzialità del musicista che parla per il suo "giro", piccolo o grande che sia. La narrazione invece è per tutti, anche quando c'è solo uno spettatore”. Altro elemento caratterizzante del disco è la sua particolare struttura che vede le canzoni raggruppate per temi: “Siamo partiti dalla formula dell’album concept, che de André ha molto privilegiato, volevamo rendere omaggio all'idea di "cicli" di canzoni sui vari temi politici, sociali, esistenziali. Ovviamente questo attraverso il repertorio che ritenevamo di interpretare meglio: qualche canzone celeberrima, qualche altra più nascosta”. Durante l’ascolto emerge tutta la capacità affabulativa che caratterizza l’approccio interpretativo di Alessio Lega il quale a riguardo afferma: “Non è per schernirsi ma a me pare che cantare con onestà sia già tanto, cercando di rispettare le melodie semplici ma non scontate, facendo percepire le variazioni armoniche, permettendo di cogliere le sprezzature di tempo necessarie alla fluidità dei brani e curare sempre la comprensibilità delle parole.
Il mio vuol essere proprio il grado zero dell'interpretazione! Vorrei che ascoltandomi si ci dimenticasse che c'è un cantante per immergersi nella storia, quasi fosse un amico che te la racconta al bancone del bar sotto casa”. Il lavoro a questo disco è stata anche un’occasione di arricchimento per il cantautore salentino: “I dischi di De André sono stati essenziali... non credo che avrei fatto questo lavoro se non li avessi ascoltati. A un certo punto è però stato necessario prenderne le distanze, valutarne le fonti, ripercorrerne le origini: nel mio caso studiare e riproporre la canzone d'autore francofona in particolare, a cui ho dedicato due dischi e centinaia di spettacoli. De André restava sullo sfondo, ma sapevo che prima o poi sarebbe tornato, con una nuova consapevolezza che mi ha permesso di goderne ancora. Alla fin fine si fa sempre il disco che si vorrebbe ascoltare”. Guardando la produzione discografica del cantautore genovese dalla prospettiva dell’artista, Lega evidenzia:
“Amiamo pensare i poeti come personaggi isolati, forse anche un po' autistici, incomunicabili... invece il lavoro di Fabrizio De André è senz'altro più assimilabile a quello di un regista teatrale o cinematografico, che mette assieme testi, suoni, interpreti, cucendo poi tutto con la sua voce. Dopo la sua morte abbiamo assistito a una celebrazione acritica e per contrapposizione a una critica fin troppo virulenta sull'uso disinibito di fonti e collaboratori: io stesso ho scritto qualcosa in merito.
La certezza è però che quei suoi dischi restano i migliori dischi di canzoni prodotti in Italia, e nel loro insieme formano un'opera multiforme e coerente. Dunque, forse non potremo mai con certezza attribuire a ogni collaboratore il valore del suo apporto... ma in fin dei conti, questo cosa conta se il risultato è superiore alla somma dei fattori?”. Insomma, “Le canzoni di Fabrizio De André” è un lavoro di rara intensità interpretativa, un lavoro vibrante dell’urgenza di mantenere viva e vitale la visione della musica, dell'arte e della vita del cantautore genovese in uno con il suo essere anarchico: “Queste sono caratteristiche che riverberano dall'uomo all'opera. Spettacoli mainstream e fiction televisive ci dimostrano che chiunque - anche l'artista più anarchico e rivoluzionario - può essere "recuperato", man mano che ci si allontana dal suo tempo e dal suo contesto. Se però si vuole continuare a trovare ragioni non solo di bellezza ma anche di utilità nell'opera, bisogna continuare a ricontestualizzare quest'opera mettendola in relazione ai ribelli e ai luoghi del conflitto presente. Questo, molto modestamente, è lo scopo che ci proponiamo: le canzoni possono essere delle armi che tornano utile per ogni nuova battaglia culturale”. Alessio, continuons le combat!
Salvatore Esposito
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