La bella avventura sonora degli Evritiki Zygia è iniziata nel 2007 quando Alexis Partinoudis e altri quattro musicisti che erano soliti ritrovarsi a suonare nelle feste locali decisero di unire le forze, proponendosi non solo di valorizzare la musica di tradizione orale della Tracia, ma anche di favorirne la continuazione addentrandosi, al contempo, su sentieri inconsueti. Il loro nome fa riferimento alla città tracia di provenienza, Evros, mentre la parola “zygia” veicola l’idea di una coppia o di un gruppo di musicisti che suona insieme. Il loro investimento ha una risonanza non nuova: si tratta di un processo di riaffermazione dell’appartenenza locale attraverso la musica da parte di nuove generazioni, dopo la spinta modernizzante che ha attraversato il Paese nei decenni tra anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso.
Sul palco internazionale del WOMEX 2018 la band ha sorpreso gli addetti ai lavori per il tiro e la vena prog e psichedelica con cui “tratta” i materiali popolari. Il produttore Adamantios Kafetzis dell’etichetta francese Taranga Beat racconta di essersi imbattuto nel quintetto in occasione di una festa di matrimonio, proprio nel periodo in cui intendeva lavorare su un progetto legato al suo Paese, la Grecia, canalizzando l’esperienza di ricerca sulle musiche urbane dell’Africa. Nel villaggio di Nerofrakti, Kafetzis è impressionato dalla band che nel cortile di una scuola fa ballare il pubblico fino all’alba con un groove che genera a suo dire un salto temporale, portandolo in mezzo a un antico rituale pagano. Da ciò, scaturisce l’incontro con i musicisti e il loro tecnico Socrates Gougoulides, da cui prende le mosse “Ormenion”.
Gli Evritiki Zygia sono Spyros Stratos (askavlos e voce), Stratis Pasopoulos (voce e kaval), Alexios Partinoudis (lira tracia), Aggelos Stratos (davul e percussioni) e Yorgos Drikoudis (CRB-Diamond 800 e Moog).
Il disco è stato registrato in due sessioni live nel maggio del 2019 con un Otari MX 80 analogico a 24 tracce. “Ormenion” è il nome della regione storica di epoca bizantina, coincidente con i confini di quelli che oggi sono tre stati (Grecia, Bulgaria e Turchia); negli anni successivi al 1922 il territorio si riempie di profughi provenienti dalla Tracia settentrionale e orientale. Dunque, l’immigrazione è centrale nella storia di questa parte della regione, in cui molti canti sono riconducibili al mondo culturale dei profughi dell’epoca e agli spostamenti di popolazione indotti dalla geopolitica dell’epoca.
In copertina campeggia una maschera zoomorfa che rappresenta Pourpouris, personaggio incaricato di scacciare gli spiriti maligni dai villaggi per portare il buon auspicio agli abitanti; si riferisce a una tradizione natalizia diffusasi nella regione proprio con l’arrivo dei profughi greci dopo il Trattato di Losanna del 1922. “Fog”, che apre l’album, si ispira ai paesaggi idilliaci e nebbiosi della regione di Evros: le antiche percussioni darkhare imprimono il ritmo, mentre il flauto kaval imita il suono del vento che scuote i rami degli alberi, ma questo è solo l’inizio prima della digressione psichedelica. “Maritsa” è il nome locale del fiume Evros, che dalle montagne della Bulgaria attraversa la Grecia e la Turchia, gettandosi nell’Egeo e segnando in un certo senso il confine tra Grecia orientale e
Turchia occidentale, ma la cultura non conosce frontiere nei Balcani, segnati da reciproche influenze linguistiche e musicali, enfatizzate dal ritmo di 6/8, molto popolare in questa parte d’Europa, portato di significative e storiche confluenze. Su una base di synth la zampogna presenta la melodia, seguita dal soffio del kaval e dalle corde sfregate della lira; sotto i colpi dell’implacabile sezione ritmica il brano cresce di tensione con le iterazioni elettroniche a contrassegnarne la deriva psichedelica: che drive, gente! Si cambia registro con “5 Nights”, una canzone d’amore nota tra i profughi di Kavakli (Tracia settentrionale), e definibile come una parossistica serenata, perché tante sono le notti e i giorni che un giovane trascorre danzando e cantando sotto la casa dell’amata per scoprirne il nome. Qui la voce canta su un ritmo dispari, alternando i versi al dialogo tra fiati, la tastiere seguono la melodia, poi intorno ai 4 minuti entra la lira: pazzesca! Tutti gli strumenti si riuniscono portandoci al climax e alla fine che arriva dopo 6 minuti e 53 secondi: siamo stregati e stremati da un flusso inesorabile. “Karsilamas” è un set danzereccio che si muove su un andamento di 9/8 e in cui, come da tradizione, i musicisti dopo delle fasi di unisono, si producono in improvvisazioni, sul ritmo del tamburo davul, che prendono direzioni inaspettate. L’antico contemporaneo furoreggia nella title track, trattata con gusto funkeggiante. Il tradizionale “Anastenariko” rimanda alla festa dell’Anastenaria, in cui gli astanti camminavano scalzi sui carboni ardenti. Infine, i sette minuti di “The Sun Is Setting Down” invocano e celebrano assieme le tradizioni tracie, avvolgendo in una spirale ritmica con le improvvisazioni che si susseguono tra assoli e parti d’insieme. Fatevi acchiappare dalla celebrazione furente degli Evritiki Zygia!
Ciro De Rosa
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