Elias Nardi, Daniele di Bonaventura, Ares Tavolazzi – Ghimel (Visage, 2020)

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In “Ghimel” si sono messi insieme nomi di ampie vedute: Elias Nardi (oud), Daniele di Bonaventura (bandoneon) e Ares Tavolazzi (contrabbasso e fretless bass). Se un trio così concepito non è una rarità poco ci manca, però i trascorsi artistici dei tre sono molto noti, pertanto, non è necessario indugiare in questa sede. Un organico fortemente coeso di menti versatili e di classe, concepito all’incirca undici anni fa, sulla cui genesi raccogliamo la testimonianza di Elias Nardi: «Avevo la fortuna di suonare già con Ares Tavolazzi in altri contesti e ho conosciuto Daniele di Bonaventura attraverso l’allora popolarissimo Myspace. Lui desiderava collaborare con un suonatore di oud e una volta stabilito il contatto e condivisa l’intenzione, l’idea di coinvolgere Ares è arrivata in un nanosecondo. Fatta una prova, purtroppo le nostre strade si sono separate, per incrociarsi nuovamente soltanto pochi anni fa. Quando per le registrazioni del mio “Flowers of Fragility” ho invitato Daniele come ospite, le nostre chiacchierate riguardo il progetto, idealmente mai abbandonato, si sono intensificate. Appena ne abbiamo avuto l’opportunità, abbiamo finalmente fatto maturare l’idea del trio, cominciando prima con dei live nei quali prendevamo confidenza con i vari repertori e giungendo poi a fissare il risultato su disco, ironia della sorte, a dieci anni esatti dalla nostra prima prova. Tutti abbiamo avuto percorsi di studio che dalla classica ci hanno portato al jazz e in fine a conoscere le musiche del mondo. Io e Daniele suoniamo due strumenti generalmente utilizzati ad altre latitudini, ma vale anche per Ares che fin dai tempi degli Area aveva avuto l’opportunità di scoprire ritmi e modi tipici del vicino e Medioriente grazie all’impulso di Demetrio Stratos. Ci siamo scelti per suonare assieme, conoscendo già i nostri suoni. Col passare del tempo abbiamo affinato in maniera del tutto spontanea un vero e proprio sound di gruppo, indipendentemente dai “miti” che ognuno ha e porta con sé in modo più o meno conscio»
Anzitutto, “Ghimal” si fa notare per la copertina, riproduzione di un’opera di Giulia Napoleone, ispirata a una finestra di Aleppo, osservata nel corso di un suo soggiorno didattico in Siria. Va detto che Nardi ha una predilezione per le copertine d’arte come abbiamo avuto modo di apprezzare nel suo precedente disco solista di cui si è detto sopra. Il titolo, invece, riprende la terza lettera dell’alfabeto fenicio e di quello ebraico, ma anche di altre lingue semitiche, che rappresenta il numero tre e la sua funzione di rotazione, dinamismo e continua evoluzione, ma simboleggia anche la vita e l’universo. Dunque, una raffigurazione appropriata per tre personalità dal retroterra differente ma proiettati verso la sperimentazione e la ricerca di una condizione di equilibrio nei ruoli e nel gesto compositivo, che si sviluppa in maniera creativa e controllata. Dice ancora Nardi: «Questo trio è altamente democratico, nel senso che nessuno ha imposto scelte stilistiche o estetiche particolari come precostituite a tavolino. Per come lo potete sentire su disco, il progetto è il risultato di un lavoro sì concepito, ma svolto in grande naturalezza. I nostri suoni e i nostri percorsi, le nostre sensibilità sia artistiche che caratteriali e il rispetto reciproco, hanno preparato il terreno per la nostra ricerca timbrica e compositiva, senza mai perdere di vista l’”altro” e la sua dimensione sonora. È in questo senso che va riconosciuto un filo conduttore nel lavoro. La grande varietà di studi che abbiamo perseguito e di ispirazioni che si sono decisamente radicate in noi ha portato ad una sostanziosa eterogenia compositiva all’interno di “Ghimel”. 
Il tutto è però tenuto saldamente insieme dal forte amalgama timbrico che ritengo si sia venuto a creare tra i nostri strumenti. È il nostro suono a guidare il disco verso una direzione univoca». Con musicisti con tanta esperienza alle spalle e animati da tanta curiosità, è lecito chiedersi come si sono evoluti i brani e come sono collimati gli intenti in sala? «Non avendo avuto tempo di sederci a comporre brani assieme, ognuno ha portato il suo materiale ma questo è stato “vivisezionato” e arrangiato da tutti e tre con piacere, apertura e disponibilità. Abbiamo cominciato a conoscerci e a capire come impostare il lavoro durante i live, suonando inizialmente materiali già editi di ognuno di noi ma nel disco sono finiti principalmente brani che non avevamo mai suonato prima. Il lavoro di arrangiamento a sei mani di queste composizioni è stato rapido e senza particolari intoppi, avvenuto per la maggior parte in tempo reale in studio, ma da partiture preesistenti che abbiamo modificato a piacere». Estetiche etno-jazz a trazione mediorientale e stilemi classici, jazz, minimalismo, progr rock e improvvisazione sono le ampie coordinate sonore del disco. Tre tracce, “Fosforo”, “Bassideas” e “Bleu Gasel”, targate Nardi, danno il senso della capacità di interazione del trio, con solismi, raddoppi melodici, scambi di ruoli ed effetti timbrici: il primo numero ha un andamento fluido più prossimo ai modi arabi, il secondo è più rarefatto quasi sospeso nel suo incedere, il terzo è anch’esso un rincorrersi di idee con riusciti sviluppi improvvisativi. Se è scontato pensare a modelli di maestri come Rabih Abou-Khalil o Anouar Brahem nel mondo orientale dell’oudista toscano c’è molto altro, basti pensare alla grande varietà tecnica e stilistica delle scuole classiche del liuto arabo con cui relazionarsi. 
Tuttavia, Nardi, che ha studiato con il compianto Adel Salameh e conosce la grammatica del maqam (suona un oud costruito da Wissam Joubran, noto musicista palestinese e liutaio che gli ha costruito uno strumento da timbro molto ricco a cui «unisce una proiezione del suono più unica che rara», mi dice), ha deciso di portare il “legno” fuori dall’alveo stilistico “tradizionale”, incrociando le varie influenze di musicista occidentale che imbraccia uno strumento “levantino”. Il bandoneonista marchigiano è autore di “Danza N. 3 - uno dei brani di punta del lavoro -, di “Danza Mediterranea” e della conclusiva “Cum Nomine” (nella prima e nel terza composizione entrano anche le raffinatezze percussive di Alfredo Laviano), motivi in cui affiorano diverse consistenze del suono, espresse attraverso una capacità comunicativa che lascia il segno, passando da movenze volteggianti a sequenze più liriche, ora meditative ora sognanti. L’elemento d’insieme non viene meno nelle due composizioni firmate da Tavolazzi (“La luna e il Dito” e “Silence In The Heaven”), il cui strumento non solo sostiene l’ossatura della musica, ma apporta una consistente voce strumentale. Unico tema già edito, riletto per oud e contrabbasso, è la “Ninna Nanna Greca”, il tradizionale che Demetrio Stratos cantava nella parte introduttiva di “Gerontocrazia” degli Area: tributo di affetto e riconoscenza al cantante e ricercatore imprescindibile riferimento a quarant’anni dalla sua scomparsa. Dalla triangolazione di Nardi, di Bonaventura e Tavolazzi esce un album dall’elegante intesa, intensamente espressivo. 


Ciro De Rosa ​

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