Nati cinque anni fa, i New Landscapes hanno inciso quasi subito il live “Rumors” che li ha fatti apprezzare ed ha aperto le porte a collaborazioni. Ben presto sono arrivati altri due dischi “nomadi”, “Walking Sounds – Tracks from Iraqi Kurdistan to Italy”, la colonna sonora composta da Sergio Marchesini per il film “L’ordine delle cose” di Andrea Segre. “Menhir” è la loro prima esperienza in studio centrata su brani scritti dai componenti del gruppo o da loro arrangiati avendo in mente un “concept album” che unisce alla ricerca di nuovi paesaggi e tessiture sonore una lettura musicale di “Walkscapes” di Francesco Careri. Silvia Rinaldi, violinista del gruppo, ha gentilmente accettato di identificare alcune tappe di questo cammino creativo.
Come nasce New Landscapes?
Nasce dall'unisono che chiamerei desiderio. Inizialmente un incontro di tre musicisti dai caratteri, provenienze musicali e di vita abbastanza diverse. Io mi considero una straniera tornata a Venezia dopo tantissimi anni passati soprattutto in aereo e nelle sale da concerto collaborando con ensemble di musica antica. Forse non stupisce che abbia fatto una scelta così drastica di rimettermi in gioco completamente una volta deciso di costruire un mondo musicale nuovo come è stato tramite la nascita di New Landscapes. Nel 2015 una amica carissima mi chiese di suonare per l'inaugurazione di una mostra fotografica di Beatrice Mancini. Luca Chiavinato lo conoscevo da anni e già suonavamo assieme intensamente. Francesco Ganassin lo avevo appena conosciuto e avevo captato quanto fosse sensibile e curioso. Presi la palla al balzo e confrontandomi con loro due decidemmo di dar vita, grazie a quell'evento, al trio New Landscapes.

Come sono cambiati il modo di suonare e le scelte musicali del gruppo da "Rumors" a "Menhir"?
Ci son stati dei passaggi fondamentali. Innanzitutto Luca iniziò a collaborare con l'associazione "Un ponte per" e, di conseguenza, cominciarono i suoi viaggi nel Kurdistan iracheno, per le residenze artistiche nei campi profughi, dove conobbe centinaia di giovani musicisti tra i quali alcuni davvero speciali, sia musicalmente che umanamente.


I membri del quartetto risiedono in luoghi diversi del Veneto: i "nuovi paesaggi" che narrate sono ancora legati ai territori veneti?
Di territoriale forse ci accompagna l'essenza delle nostre città. Io, senz'altro, mi trascino sempre appresso l'acqua, il camminare, ma anche il desiderio continuo di fuggire

"Menhir" colpisce anche per la qualità del suono: vuoi raccontarci del processo di registrazione e missaggio?
Nel caso di Menhir il lavoro fatto in studio da Francesco Fabiano è stato fondamentale. Oltre a noi quattro avevamo deciso di invitare un quinto musicista come ospite, Marco Ambrosini che suona la nickelharp con tanta bellezza che potrei compararlo ad un angelo di Giovanni Bellini. Suonarci assieme per me è stato come ritrovare una parte di me stessa che forse aspettava solo di esprimersi, un dialogo fatto anche di sguardi e sorrisi. Ma trovarci in cinque in studio non è stata una passeggiata, piuttosto una scalata all'Everest. Senza la pazienza di Franz saremmo ancora lì, suppongo. Oltre ad avere una quantità esorbitante di musica e pochissimi giorni a disposizione (essendo Marco sceso apposta dalla Germania per noi, ma certo non potevamo tenerlo in ostaggio in eterno), avevamo oggettivi volumi di suono molto diversi, chi delicato, chi imponente, c'era di tutto, improvvisazioni comprese. Quindi quei due giorni li abbiamo trascorsi a suonare e registrare. Molti altri ne sono seguiti per provare a trovare i livelli giusti. Siamo ormai esigentissimi e Franz pure. Menhir, di fatto, è un concept album e non poteva essere un "bello però...": piaccia o meno, è il massimo di ciò che potevamo desiderare fino ad ora. Ogni brano contiene un mondo, un paragrafo della nostra vita, una malinconia e una follia, ognuno ha portato il suo baule (non per nulla si ascolterà anche John Dowland tanto quanto Ornette Coleman!), ma soprattutto la nostra contemporaneità. Chi siamo oggi?

Otto brani sono composizioni originali di membri del gruppo: ci sono differenze nel vostro approccio a questi brani?
Provo a parlane per come le ho vissute io come violinista del quartetto. Riguardo alle composizioni originali, è stato come entrare nella sfera più intima musicale e caratteriale di ognuno di loro (io non compongo, sono la paroliera semmai!) ed è eclatante quanto differenti siano.
Sono entrata nei tragitti di Luca, balzando tra Iraq, Marocco e il suo bagaglio acquisito in questi ultimi anni, fatti di relazioni culturali molto diverse dalle nostre e, allo stesso tempo, il fatto di aver suonato assieme molti anni ha permesso al mio violino di trovare una linea melodica molto fluida, senza che questo voglia dire “semplice”. Nel brano “Menhir” ci sono intrecci tra tutti noi, compresa la nyckelharp, echi, onde: è pura magia. Con “Nimrud” si entra in profondità: è come scendere negli inferi o vedere Polifemo.
Francesco ha tirato fuori il suo lato frenetico, più folle del solito e quello che fa finta non essere: estroverso. Per esempio, durante le prove di “Leblebi”, a metà ci trovavamo piegati dal ridere, e sentirete perché! E’ stato delizioso sentirlo raccontare che ci girava attorno da un po’ ma non ne era convinto, fino al momento in cui sua figlia Agata è entrata nella stanza dove lavora esclamando “Papà, ma è bellissimo!”, ed io ringrazio Agata, come ringrazio sempre la sincerità dei bambini. Allo stesso tempo, ci ha messo in ginocchio per la scelta della tonalità. Non suonando uno strumento con tasti, mi ha richiesto molto studio, considerando anche che il diapason è salito con l’arrivo dello strumento di Sergio: ora siamo tirati come delle fionde! Con “Mudra” mi ha fatto un regalo, almeno così mi piace pensare: il fraseggio mi ha aperto il cuore. In “Mantra”, invece, ci ha trasformato in quattro “radong” tibetani (un lungo corno telescopico cerimoniale sorretto da più persone).

Avete anche un forte rapporto con l'Iraq: come proseguirà?
E' in programma una nostra visita in Iraq con Luca per proseguire con un secondo CD il lavoro di dialogo e relazione con i giovani musicisti iracheni iniziato con Walking Sounds!
Come vedi il ruolo del violino e tuo personale in questo gruppo?
In continua metamorfosi!!, e, allo stesso tempo, di fusione con loro, mantenendo la voce melodica e i fraseggi che amo cercare fino a sfinirmi.
Ci sono collegamenti fra la tua esperienza con New Landscapes e le tue attività educative?
I collegamenti li trovo nella fantasia che credo di avere e che viene ulteriormente sollecitata dalla nostra collaborazione: insegno con passione, sia ai bambini che agli adulti, e parto sempre dal presupposto che ogni studente dovrebbe avere la possibilità di esprimersi. Cerco di dar loro fiducia, la possibilità di trovare un loro modo di "essere musica" e nel fare questo non ho un solo metodo, ma vari.
New Landscapes – Menhir (Visage/Materiali Sonori, 2020)

Alessio Surian