Per Flavia: un ricordo preciso

E’ volata via, è volata via come una farfalla trasportata dal vento. Guardandola lontano mi viene da bestemmiare. Quest’è l’immagine che ho oggi di Flavia Gervasi: etnomusicologa, esperta di musica tradizionale salentina, di festival di world music, che tutto sapeva e mi ha insegnato sui cantori, su come si fa terreno antropologico nelle “indie di quaggiù”, su come s’intervistano i relitti e i protagonisti delle tradizioni popolari e contadine, su come si osserva e si giudica pacatamente, ma severamente, il lavoro musicale, su come non aggredire anche se infuriati, le istituzioni che stuprano il patrimonio immateriale salentino. E’ volata via l’11 febbraio 2020, a San Cesario di Lecce e, forse, in volo s’è incontrata con San Giuseppe da Copertino e con altri amici. Precisamente cinque anni fa (febbraio 2015) ero ospite da lei e suo marito, il chitarrista Attilio Turrisi, nella casetta che avevano da poco acquistato a Montreal: primo piano, tutta di legno, una delizia, calore, libri, chitarra battente, un senso di Casa; dalla porta dei vicini un gradevolissimo profumo di erba (marijuana, per la precisione). Ero miracolosamente arrivato da Halifax, perché c’erano tempeste di neve e temperature polari, anzi assurde: ho visto scritto sul tabellone dell’aeroporto -37,7°. Un record, mi rassicurano Flavia e Attilio, non è sempre così. Da loro si stava caldi. 
Uscivamo il minimo indispensabile. Tre giorni in casa, si parlava molto, moltissimo. Si cucinava italiano (Attilio cucinava!). Unico impegno esterno, per me inevitabile, uscire a fumare (anche di notte) e andare all’università con Flavia per parlare di Indigenous Medicine and Music Therapy : Giorgio Baglivi on Tarantism (1696) al suo seminario. Già, dormo poco. Il jetlag, poi, non lo recupero mai. Di giorno si parlava moltissimo, di musica popolare, di cantori, appunto; di Taranta, di maestri concertatori buoni e cattivi, del ruolo dell’orchestra, delle deprecabili condizioni di sfruttamento dei musicisti. E facevamo progetti, li sognavamo ad occhi aperti, li scrivevamo quasi in trance: la residenza su Pizzica et tradition musicale de la Méditerranée alla Fondation Royaumont (ho ancora il file nel computer, scritto da Flavia, tutto precisamente dettagliato); facciamo suonare i Sud Sound System con gli Imam Baildi (sono amico di Lysandros Falireas e poi a me piace parecchio la cantante, Rena Morfi, confessai!); ho scoperto Alfio, Alfio Antico, e mi sono innamorato – stava preparando quel lavoro meraviglioso che ha poi fatto in duo con Attilio, un’idea geniale di quei giorni: di Flavia!; e poi la danza, che disastro e che noia la pizzica pizzica, quattro passi in croce, inventati da Giorgio di Lecce & Co., l’invenzione meravigliosa di una tradizione coreutica,
vecchia solo di una quarantina d’anni, e le minchiate su menadi e menadismo; e allora facciamo qualcosa di diverso davvero – altro che la fondazione meretrice!, - con la techno e con le percussioni soltanto, tamburieddhi, techno e danza contemporanea, parliamone con Cavallo (sempre Flavia!). Sognavamo e scrivevamo, in tre. Fuori il gelo. Poi loro dormivano. Io no, uscivo a fumare. Eccitazione dell’estremo nord. Chiamavo Sergio Torsello, lui era sei ore avanti. Gli raccontavo tutto, del freddo, degli spaghetti della cena e tutto quanto ci eravamo detti nella giornata – i sogni. Lui mi dava notizie del negoziato, un vero braccio di ferro, tra i musicisti, la Fondazione Notte della Taranta e il suo presidente. Quella mattina Massimo Manera li aveva proprio insultati: “mendulari – aveva detto - posso sostituirvi tutti, uno per uno, come e quando voglio, quindi non rompete e ringraziate”. Sergio furioso, ma era contento almeno di saperci insieme a parlare delle nostre cose, del Gruppo Storia e memoria del tarantismo, il nostro gruppo, ormai in rotta di collisione con l’ormai improbabile e infido sponsor che doveva sostenerci, lo stesso dell’orchestra: la Fondazione appunto. Era amareggiato Sergio, incazzato nero, come tutti quelli che proprio in quei giorni, a uno ad uno, hanno abbandonato la Taranta: Claudio Prima, i fratelli Laganà, Cavallo, Anna Cinzia Villani, etc. etc.. 
Non vedevo l’ora, al risveglio, di fare il rendiconto a Flavia e Attilio. Trepidavo e non dormivo. Eppure tutte quelle idee, quei sogni elaborati e trasmessi da un capo all’altro del mondo, nel volgere di un giorno e una notte, ci rendeva tutti felici, felici davvero (lui, Sergio, rideva al telefono, come rideva lui). Ricordi ubriachi di freddo, di vino, di sonno, e dell’erba della vicina (che è sempre più verde!). All’inizio estate 2017 l’ultimo lavoro fatto insieme a Flavia. Erano ospiti in casa mia a Castro Flavia e Attilio, al caldo, al mare, i bagni appena svegliati, e poi lavoro lavoro lavoro. C’erano anche Dino Palumbo, Anna Luppi, Cesare Pietroiusti, Claudio Prima, Federico Laganà, Héléne Mariethoz, Maria Mazzotta, Alexandre Roccoli, Dorian Sari, Olivia Corsini e tanti altri. Una vera comune, una quarantina di persone. Sergio non c’era più, porca miseria. Sergio avrebbe adorato PauLab (lu laboratoriu de Santu Paulu), quando abbiamo letteralmente smontato e (altrimenti) rimontato la Festa di San Pietro e Paolo a Galatina. La notte del 28-29 giugno del 2017: techno e danza contemporanea nella Cappella di San Paolo, a Galatina, la musica di Deena Abelwahed e la danza di Alexandre Roccoli nelle corti, nei vicoli. L’Orchestra Popolare di Puglia di Claudio Prima in piazza e Maristella Martella, volteggiava neo-dervish nella cassa armonica velata. La gente stupita, divertita, intrigata, interdetta. Mi abbraccio con Flavia, forte, fortissimo, ce l’abbiamo fatta, Sergio è fiero di noi, ci guarda e ride, alla faccia della Fondazione (quella sera aveva mandato diversi “osservatori”). E’ stata l’ultimo abbraccio con Flavia sana! Pochi mesi dopo inizia la dannazione della malattia. La sento poco, la vedo poco. Troppo debole. Non va. Attilio dammi notizie. Milano. Torniamo a casa. Non va. Non ce la facciamo più, André. Poi l’hospice di San Cesario, un altro angelo salentino per proteggerla, il dottor Caroprese l’accoglie quando non c’è altro da fare. A San Cesario, a pochi passi dal quartier generale di PauLab, la Fondazione Lac O Le Mon. E’ da lì che Flavia ha spiccato il volo e da qui la guardiamo senza parole. 


Andrea Carlino

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