Lamia Yared & Invités – Chants des Trois Cours (Lamia Yared, 2019)

Questi quattordici brani invitano ad ascoltare quasi sette secoli di composizioni musicali colte attraverso l'Asia e il Mediterraneo: dalle corti di Maragh (Azerbaigian), Samarcanda (Uzbekistan) e Tabriz (Iran) frequentate da Abdelqader al-Maraghi a cavallo fra XIV e XV secolo, all’Aleppo e alle composizioni muwashshahat di Omar al-Batch (1885-1950), membro della confraternita sufi chadhiliyya. Un viaggio che legge il mondo musicale ottomano attraverso le rotte arabe, persiane e turche passando per il Cairo, Damasco, Topkapi, Dolmabahçe, Yıldız. Cosa accomuna queste tre tradizioni? Il ricorso a un approccio prevalentemente monodico basato su modi non temperati da cui cesellare melodie uniche. Con questo album Lamia Yared esplora affinità e specificità dei maqām di matrici arabe, dei makam turchi e dei dastgâh persiani. Per questo viaggio ha trovato la sapiente collaborazione di Didem Başar, che cura gli arrangiamenti mostrando una spiccata sensibilità per queste progressioni melodiche che si intrecciano a specifici schemi ritmici per convogliare di volta in volta stati di contemplazione o sentimenti forti, dalla tristezza alla gioia. Con loro suonano sette raffinati musicisti. Le tre tradizioni principali sono veicolate dal ghaychak, lo splendido liuto persiano suonato con l’arco, di Reza Abaee (raggiunto in due brani dal tar di Elham Manouchehri), dall’oud di Nazih Borish e dal qanun di Didem Başar. Sono sospinti dalle misurate percussioni di Ziya Tabassian (daîre, bendir, tombek) e Joseph Khoury (riqq e bendir ) e dagli archi di Noémy Braun al violoncello e Jérémi Roy al contrabasso. Molti di loro sono protagonisti di altri ensemble che esplorano tematiche ed intersezioni del vasto repertorio ottomano (come avviene anche a Venezia con Bïrûn); Reza Abaee e Didem Basar partecipano a “Constantinople”, diretto da Kiya Tabassian, autore del recente «Sur les traces de Rumi». Forte è il legame fra le forme poetiche e i cicli ritmici, volentieri asimmetrici, “zoppi” (aksak in turco). Esemplare è il caso del muwashshah di Aleppo, che evoca le metriche arabo-andaluse mettendo in connessione il confine atlantico con quello arabo-orientale all’interno di un periplo dalle multiple rotte. Il canto di Lamia Yared, nata in Libano e cresciuta a Montreal, si mostra sempre duttile nell’interpretare le tante declinazioni linguistiche e stilistiche e nel dar voce a una molteplicità di soluzioni ornamentali, anche nel caso di brani non immediatamente riferibili a un autore di corte, come nel caso dei persiani “Be yad dori”, che percorre il dastgah shur, e dello strumentale “Naghmeh e Shur”, seguito dall’improvvisazione di qanun di Didem Başar. In “Taksimi Bayati” lo strumento tesse un sereno approdo meditativo prima di offrire a Lamia Yared la base per percorrere il makam bayati (ritmo aksak) di “Çıkalım saydü şikâre” (“Usciamo ad incontrare l’innamorato”), composizione di Tanbûrî Mustafa Çavuş. Vissuto fra il 1700 e il 1770, Çavuş è l’esempio del musicista e compositore che viene educato presso la corte ottomane pur restando legato ai repertori popolari di cui sa veicolare l’immediatezza delle forme, in questo caso ben incorniciate da Didem Başar attraverso un arrangiamento che coinvolge contrabasso e violoncello. Tutti i particolari sui compositori e gli arrangiamenti sono illustrati nel libretto da uno scritto che aggiunge valore a questo album dall’etnomusicologa Basma Zerouali. www.lamiayared.com 


Alessio Surian

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