Mah Damba – Hakili Kele (Buda Musique, 2019)

Al primo ascolto di “Hakili Kele”, l’ultimo lavoro di Mah Damba, maliana originaria di Bamako, ritornata sulla scena musicale dopo dieci anni di assenza, già si percepisce il suo carattere di eccezionalità. È la figlia di uno dei più rispettati djeli: Djéli Baba Sissoko. Della casta di professionisti che cantano un patrimonio culturale secolare, Mah Damba esalta il repertorio di cui è depositaria con la sua voce calda ed esperta che evoca inequivocabilmente le grandi voci del blues, spaziando sapientemente tra diverse ottave, espressiva sui bassi, fermamente ancorata alla tradizione. L’artista ha come riferimento il mondo Bambara, il più importante gruppo linguistico Mandinka. Anche la strumentazione è fortemente rappresentativa dell’Africa occidentale, in particolare per l’uso dello ngoni, cordofono costituito da una cassa di risonanza incavata nel legno su cui viene tesa una pelle, generalmente di capra, ed infisso un manico con un numero variabile di corde. All'inizio della sua carriera ha fatto parte dell'ensemble di Kassemady Diabaté. Ha registrato poi due album da solista, Nyarela nel 1997 e Djelimousso, Mali: The Voice of the Mande nel 2000, ed ha contribuito con diversi brani a The Divas from Mali uscito nel 1998. Nel 2009 aveva perso il marito Mamaye Kouyate, suonatore di ngoni, con il quale aveva collaborato nella carriera artistica di una vita. Le undici tracce del ritorno alla musica di Mah Damba all’ascolto hanno un approccio delicato e potente, con sonorità uniche e originali. In ciascuna traccia la voce, la chitarra e lo ngoni si rafforzano vicendevolmente, facendo emergere la strepitosa voce dell’artista maliana. “Dambe” si rivela struggente nei dialoghi tra la chitarra e lo ngoni e, nel finale, cori femminili che rispondono al canto principale. In “Kabako” la voce diventa spoken word che imperversa, sottolineato dal sofferto arpeggio della chitarra e dello ngoni su un dondolio ipnotico e incalzante. In “Dondoni” fa la sua comparsa l’organetto che satura il set sonoro con una melodia malinconica mentre nella successiva “Korolen”, il tappeto sonoro ricamato da chitarra e ngoni fa da supporto alla voce narrante di Mah Damba. Ci si avvia alla conclusione con “Banga” che vede al centro ancora lo ngoni con la particolarità dei suoi arpeggi che esaltano la voce, stavolta simile a un grido o, a tratti, a un lamento, come nel più autentico, sofferto blues, mentre in “Koulandjan”, brano dall’atmosfera sognante che conclude i 45 minuti dell’album, si apprezza il balafon, altro strumento caratteristico nell’uso dei griot. L’album è stato realizzato con Thierry Fournel - che ne è anche produttore e arrangiatore- alla chitarra, al guimbri (altro strumento cordofono, dalla tradizione musicale Gnawa) e al calabash (percussione ottenuta dalla metà di una grande, particolare zucca), con Makan Tounkara aka Badjè allo ngoni a 4 o a 7 corde, con il figlio Guimba Kouyate alla chitarra, Djigui Tounkara allo ngoni, Bakary Diarra al balafon, Antoine Girard all’organetto, Emrah Kaptan al basso e, ai cori, tra Woridjo Kouyate, Madjare Drame, Sira Kouyate, Niame Tounkara anche due figlie. Delicato, toccante, sognante ma anche struggente e sofferto, “Hakili Kele” va ascoltato e riascoltato nella sua raffinata, calda esplosione per apprezzare ciò che non appare subito ma si cela tra le pieghe. Non c’è dubbio: un gran bel ritorno. 


Carla Visca

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