Brunori Sas – Cip! (Island Records, 2020)

Esistono ancora i cantautori capaci di “arrivare” a un pubblico vasto? capaci di trovare un linguaggio che sappia parlare a una intera generazione (ma non solo) e a settori consistenti della società italiana? capaci di proporre tematiche degne di una politica culturale proiettata al futuro? Esiste, insomma, ancora un Pop d’Autore ed è una sfida ancora perseguibile dall’industria discografica dargli spazio? Questo è un dibattito abbastanza acceso tra gli addetti ai lavori ed è davvero molto interessante, ma diventa ozioso quando i discorsi vertono sugli stili musicali, sui presunti gusti dei giovani e su questo continuo tentativo del mondo adulto di spiegare e catalogare. Perché poi, in mezzo a tante discussioni, esce un album di Brunori Sas e chiunque abbia un minimo di acume comprende che la risposta in realtà c’era già ed è stata appena confermata. Ed è una risposta non solo positiva, ma anche confortante. E questa risposta arriva a tutti, se si possiede un minimo di onestà intellettuale, anche a chi non sente immediata corrispondenza con il suo sound e il suo linguaggio. Cip! è quindi innazitutto la dimostrazione che il Cantautore capace di raccontare la sua visione del mondo e della società - trovando corrispondenza immediata e addirittura grande emozione in chi ascolta - è vivo e vegeto. E la seconda cosa che appare chiara ascoltando questo album, è che Dario Brunori lo sa benissimo: lo ha finalmente capito, anche se, nei modi in cui poi si racconta e si presenta al di là delle canzoni, usa parole timide, quasi scusandosi di esserci. Perché dentro le canzoni, invece, lo sa in maniera sempre più chiara, sempre più assertiva, sempre più diretta. E a volta dura. Brunori non è solo e non è l’unico cantautore – e per fortuna! – degno di questo nome, ma con lui la risposta alle domande iniziali sopra esposte arriva proprio senza mediazioni. Forse perché, di album in album, l’artista calabrese è cresciuto in consapevolezza, in capacità comunicativa, in qualità espressiva. E questi suoi lavori diventano sempre più importanti, più essenziali; in alcuni casi addirittura indispensabili; pensando per esempio ad un brano come “Al di là dell’amore” ci viene in mente che non solo la sintesi è riuscita, ma che era proprio quello che c’era bisogno di dire, anzi di cantare: in quel modo, con quelle parole, con quella voce, con quel crescendo di tono, con quel sound, con quel ritmo. Leggiamo spesso in riferimento a Brunori di sue derivazioni musicali, magari rispetto a Dalla e De Gregori. Simili associazioni sono a parere di chi scrive possibili solo in merito al discorso fatto più sopra sui cantautori: Brunori è Cantautore con la C maiuscola, capace di raccontare, così come i grandi citati hanno saputo fare in passato. Per il resto possiamo dire senza paura che no: Brunori risponde solo a se stesso. Mai come con questo album è riuscito infatti a definire il suo stile, il suo modo letterario, la sua poetica. Che, lo dice lui stesso, si svolge intorno al rapporto tra la vita degli uomini e l’universo; ed è così: è l’uomo che guarda il mondo a volte distante, a volte addirittura ostile, pieno di male, di odio, di violenza, di sgambetti, di contraddizioni, difficile da vivere dentro, un mondo insomma sempre altro da sé e poi, all’improvviso invece amico, possibile, fratello fino a sentire di farne finalmente parte, con amore: accade in “Per due come noi”, ma anche in “Bello appare il mondo”, ne “La canzone che hai scritto tu” e soprattutto in “Mio fratello Alessandro”. Forse quello di Brunori è quindi un invito ad appartenere al mondo non come una particella di sodio nell’acqua minerale e nemmeno come un’alga nel mare. Ma - se l’aria che respiriamo è parte anch’essa della Terra che di solito usiamo per vivere e camminare - di appertenervi come un uccellino, di quelli che immaginiamo da bambini nella nostra testa e che proviamo a disegnare su un foglio Fabriano. Un uccellino libero e senza paura. Che mentre vola fa Cip… col punto esclamativo! 


Elisabetta Malantrucco

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