Ci occupiamo di “Hamdelaneh Intimate Dialogues”, recente progetto nato dal magico incontro tra Markus Stockhausen, figlio del celebre Karlheinz, e Alireza Mortazavi, musicista mediorientale specializzato nello studio dell’antichissimo santoor, uno strumento iraniano appartenente alla famiglia delle cetre su tavola che si suona percuotendo le corde con dei particolari martelletti denominati mezrab. Grazie a un cospicuo numero di corde, mediamente da settantadue a cento, il suono ottenuto risulta particolarmente denso, polifonico e ricco di armonici prolungati che l’abile suonatore deve saper controllare con molta attenzione.
Prima di passare all’ascolto effettivo dell’album, provate per un attimo a immaginare le timbriche di questo curioso strumento abbinate alle puntuali e profonde note emesse dall’inconfondibile tromba di Stockhausen, ecco, quello che avete in mente è esattamente “Hamdelaneh Intimate Dialogues”, un intenso dialogo sonoro tra anime affini, con lo stesso cuore (in iraniano “Hamdelaneh”, appunto).
Tutto è iniziato da un incontro tra Max Marchini della Dark Companion Records e Stockhausen, invitato dallo stesso al festival “Musiche Nuove In Piacenza”. Da questa occasione è nata l’idea per un disco in collaborazione con la label e dopo la proposta, Markus ha immediatamente telefonato ad Alireza invitandolo come ospite speciale al concerto previsto per la sera stessa.
Il pubblico è stato letteralmente trasportato dall’esibizione, persino commosso dalle musiche del duo, come ha ricordato personalmente lo stesso Marchini.
Dopo il fortunato concerto, Markus e Alireza hanno consegnato a Max una preziosa registrazione effettuata in Italia tre anni fa, egregiamente mixata da Simon Stockhausen, il fratello di Markus.
Ciò che abbiamo ascoltato oggi è proprio il frutto di quelle sessioni italiane.
“Hamdelaneh Intimate Dialogues”, ripercorre esattamente le meravigliose atmosfere del concerto, con un suono vibrante ed estremamente realistico che si distingue per chiarezza e pulizia. Del resto l’idea di un sound il più possibile naturale e autentico è uno dei punti fermi della Dark Companion.
Non è affatto semplice descrivere a parole i quattro lunghi brani che compongono il disco, un’interessante fusione tra antico e moderno.
Qui, world music, minimalismo, avanguardia e jazz si incontrano in una forma nuova ed estremamente originale. Spazi, armonici e risonanze sono un elemento molto importante nella musica del duo sia sul piano formale che su quello prettamente emotivo. Un riferimento per voi lettori potrebbero essere tanto i primi lavori di Laraaji, quanto il misticismo di Harold Budd, giunto al massimo splendore con l’insuperato “The Pavilion Of Dreams”, pubblicato nel lontano 1978 per la mitica Obscure di Brian Eno. Le affinità si fermano qui: ora non vi resta che ascoltare.
L’album è disponibile in formato digitale, vinile gatefold e CD, oppure è anche possibile ascoltarlo in streaming sulla pagina Bandcamp dell’etichetta che vi invito caldamente a visitare.
Marco Calloni
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Contemporanea