Stregoni, Welcome Festival, Arcella (Pd), 30 Ottobre 2019

Nuova edizione a Padova del Welcome Festival che, a ottobre, si concentra su un solo quartiere, Arcella, con due settimane di eventi culturali: laboratori, dialoghi, e attività di animazione sui temi dell’accoglienza e dei legami comunitari. Le attività sono state realizzate con la collaborazione di rifugiati, volontari europei del progetto Servizio Volontario Europeo (SVE) Welcome e volontari locali. Il festival ha inteso promuovere maggiore consapevolezza e informazione sui diversi aspetti delle migrazioni e delle politiche interculturali. Nella giornata finale, nello spazio È Fantasia – Mappaluna, il festival ha ospitato un laboratorio pomeridiano e un concerto serale condotto dagli Stregoni, Johnny Mox e Above the Tree. Il loro progetto nomade è nato a fine 2015, ed ha già coinvolto oltre cinquemila persone. Trentino, Gianluca Taraborelli, come Johnny Mox ha sviluppato una sua estetica punk-gospel e realizzato centinaia di concerti e quattro dischi, l’ultimo “Future is not coming, but you will”. Polistrumentista, negli stregoni si prende cura della parte ritmica, batteria e beat-box e dell’elettronica. La chitarra è affidata al veronese Marco Bernacchia/Above the Tree, a suo agio in qualsiasi situazione, dall’afrobeat alla psichedelia. Insieme hanno cominciato ha suscitare musica là dove sanno che chi chiede asilo chiede anche di esprimersi e condividere canti e suoni. 
La formula iniziale prevedeva un furgone carico di strumenti, una visita ad un centro di accoglienza migranti, l’invito agli ospiti del centro a condividere dai loro telefoni una o più canzoni da far ascoltare a chi partecipa, pescando possibilmente fra quel che contribuisce a sviluppare un clima allegro e ballabile. Johnny Mox collega il cellulare alla loop station e ripropone in loop la base ritmica della canzone scelta. A questo punto tutti sono invitati a contribuire alla musica suonando uno strumento, cantando, ballando. Gli Stregoni sono stati in giro in ogni angolo italiano, da Lampedusa al Baobab ed hanno percorso un bel po’ di Europa, da Amsterdam (suonando su un battello) a Malmö, da Parigi ad Amburgo. Durante il tour europeo hanno registrato e stanno montando un documentario, ma già un primo lavoro di documentazione video è disponibile in rete, curato da Filippo Biagianti durante gli incontri in provincia di Macerata. Se è difficile poter registrare dal vivo la potenza di suono e di canto che attivano questi interventi, il documentario di Filippo Biagianti è molto efficace nel far cogliere tanti aspetti salienti dell’approccio degli Stregoni: l’opportunità colta da chi arriva per mare di poter parlare di sé attraverso suoni e canto (senza dover per l’ennesima volta rispondere a domande biografiche), i modi semplici con cui incoraggiare tutti a suonare, gli accorgimenti, 
i segnali verbali e non per evitare gli eccessi sonori, la capacità di abitare le situazioni di difficoltà e di tensione, fiduciosi nelle tante vie con cui è possibile dar vita ad un gruppo musicale capace di esprimere il potenziale individuale e collettivo. Il laboratorio diviene concerto, il concerto mantiene la dimensione di laboratorio. Nel mentre c’è chi finalmente ha trovato il modo di registrarsi e di poter condividere con gli amici un pezzo di sé, su un palco, insieme ad una band musicale, chi fatica a vincere la timidezza, chi canta o suona molto forte, chi si sente in crisi: di fronte ai casini uno guarda gli Stregoni e vede l’atteggiamento franco e collaborativo di chi sapeva che i casini ci sarebbero stati e che quella è un’occasione irripetibile per comunicare davvero reciprocamente, provare a guardarsi, a parlarsi, a capirsi, a trasformare insieme problemi e musica. A Padova gli Stregoni hanno potuto contare sugli strumenti messi a disposizione dalla Cooperativa Universi Musicali Nella pausa fra laboratorio pomeridiano e concerto serale Johnny Mox ripercorre il cammino degli Stregoni: «Non abbiamo mai avuto una formazione fissa, non abbiamo mai selezionato i più bravi. Cerchiamo di interagire con quante più persone ci sia possibile, nel modo più naturale possibile e vorremmo mantenere il tutto più fluido possibile. Il nostro ruolo è “apparecchiare la tavola”, magari “dirigere il traffico”, facendo sì che ci sia posto per tutti. Facciamo in modo che le persone si conoscano, consapevoli che hanno tanto da offrire sul piano musicale e umano. 
Abbiamo imparato che incontreremo persone che fatichiamo a capire, e che non capire le persone è stimolante, ti sollecita a impegnarti di più, a cercare come lavorare insieme che poi è il senso di tutto il progetto: non sappiamo esattamente cosa accadrà, se ci capiremo; sappiamo che ci proveremo e che troveremo vie per venirci incontro. Non montiamo concerti che debbano necessariamente funzionare. L' errore sul palco, se così lo vogliamo definire, mostra anche al pubblico difficoltà, incomprensioni, le cose che non funzionano e, al tempo stesso, la fatica delle persone che tentano di far stare in piedi il lavoro comune. Abbiamo suonato con migliaia di persone provenienti dall'Africa e dall'Asia, in situazioni molto diverse. Col tour europeo abbiamo imparato molte cose, i nostri limiti e quelli dei ragazzi con cui abbiamo lavorato, ma anche le grandi opportunità che un progetto come questo può offrire, la possibilità che siano i ragazzi a portare avanti questo progetto, a far rete tra vari luoghi, italiani e europei, a realizzare concerti diversi, magari nello stesso giorno in città diverse». A Padova, ancora una volta, gli Stregoni hanno incontrato tante adesioni alla proposta di far musica in modo condiviso. In Bobbi hanno trovato un batterista infaticabile, mentre alle voci e al ballo si sono alternati, in piccoli gruppi Destiny, Khan Imtisal, Husan Mudassar, Muhammad Faisal, Aquib Javaid, Chatchouang Lowe Alain, Negou Tanga Raoul, Aboubacar Gitteh, Kaba, Somrat, Rida, sostenuti da cooperative locali come Lunazzurra e Almanara. Il concerto serale ha coinvolto nel ballo tutti i presenti ed ha avuto soprattutto un carattere africano, anche se è risultato evidente che la carica del gruppo viene soprattutto dal dover costantemente “negoziare” una musica che non ha un’appartenenza specifica, in cui nessuno è del tutto a casa e, al tempo stesso, si esplorano i modi di costruire una casa comune. Nelle parole di Above the Tree: «Non ho mai un’aspettativa specifica. Anche quel che so sulle musiche tradizionali di Africa e Asia poi viene sorpassato dalla realtà dell’incontro, dalle correnti diverse che si riversano nel far musica insieme, dai gusti che cambiano da persona a persona, che magari rivelano un’Africa molto filo-statunitense, dalle sorprese che arrivano ad ogni laboratorio e concerto, ognuno con le sue storie da narrare, individuali e collettive». Il viaggio continua. 


Alessio Surian
Fotografie di Tomas Pasinetti - Visual Roving

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