Renaud Garcia-Fons, T Fondaco dei Tedeschi, Venezia, 6 novembre 2019

Otto anni fa, il 24 e 25 Settembre 2011, il contrabbassista francese Renaud Garcia-Fons ha registrato da solo nell’abbazia di Marcevol, nei Pirenei orientali, il disco e il DVD “Solo The Marcevol Concert”, pubblicato l’anno seguente dalla Enja. Dieci anni prima, la stessa Enja, aveva realizzato il primo CD in solo di Garcia-Fons, “Légendes”, dodici splendide tracce, tutte frutto della penna del contrabbassista, eccetto lo standard “Like Someone In Love”. Sono circa trent’anni, dunque, che Garcia-Fons ha messo a punto un suo specifico repertorio per solo contrabbasso, quello che ha presentato in un’ora e mezza di concerto curato da Veneto Jazz nello spazio T Fondaco dei Tedeschi, a Venezia il 6 novembre. Del primo disco ha selezionato “Inanga”, ispirata all’omonimo strumento a corde del Burundi; uno strumento che rappresenta simbolicamente il corpo umano, con pancia, schiena, arti, occhi e orecchi; uno strumento che ha una caratteristica vibrazione che il contrabbasso non può riprodurre. Ed ecco entrare in scena uno dei tanti accorgimenti geniali di un musicista a 360° gradi, strumentista, compositore e arrangiatore. Con l’aggiunta di un foglio di carta velina o carta forno fra le corde dello strumento, all’altezza del ponte, anche il contrabbasso assume le caratteristiche dell’inanga e invita gli ascoltatori ad attraversare il Mediterraneo e a viaggiare verso l’Africa, sospinti da melodie e ritmi che a quei luoghi si ispirano, ma che sono composizioni originali de Garcia-Fons. 
È questa la cifra che lega i dieci brani del concerto: un viaggio in cui visitare, ma anche re-inventare stili ogni volta diversi e con cui dialogare attraverso composizioni originali, pensate per lo straordinario strumento a cinque corde che qualche anno fa ha costruito per lui il liutaio Jean Auray. Ricorda Garcia-Fons: «Quando l’ho incontrato la prima volta si trattava di una semplice riparazione, ma ho sentito subito in lui una forma di ricerca, di vera ambizione nel senso più nobile del termine, quella di realizzare strumenti davvero destinati ai musicisti, alla loro personalità, fatti proprio per loro e non solo per essere degli strumenti belli a testimonianza di tutto il suo talento di liutaio. Qualche anno più tardi, mi parve la persona giusta cui affidare il compito di realizzare per me un contrabbasso di tipo nuovo, con una quinta corda accordata in do acuto. Dopo qualche mese e dopo aver scambiato, tutto sommato, poche idee, mi ha consegnato uno strumento che è andato aldilà delle mie speranze, il mio compagno da allora in tutte le mie avventure musicali». Di fatto, questo strumento, insieme a loop station e pedaliera, permette a Garcia-Fons di offrire prestazioni orchestrali e di agire agevolmente i registro di violoncello e di viola, con una precisione ed un’intensità che non mancano di coinvolgere e stupire. Il programma o, se preferite, il viaggio, si è aperto con il lirico brano dedicato all’abbazia nei Pirenei, “Marcevol”, cominciando quindi dal territorio francese, prima di spostarsi per due brani nella penisola iberica, prima al nord con
“Hacía Compostela” e poi, verso l’ Andalusia, lungo il fiume Guadalquivir con uno dei brani più riusciti “Bajo De Guía”. È un brano che mostra, al tempo stesso, la perizia del contrabbassista con l’arco, allievo di François Rabbath al Conservatorio di Parigi, e la profonda conoscenza del repertorio flamenco di cui percorre in questo caso i ritmi di malagueña e taranta prima di lasciar spazio al ritmo di bulería che meglio incarna il tema. Il viaggio prosegue nel Mediterraneo con “Palermo notturno”, brano che fa ricordo anche a basi pre-registrate e che chiude in modo particolarmente interessante dal punto di vista percussivo, preludio all’esplorazione africana “Inanga”, occasione per esprimere la perizia del musicista anche nelle sequenze pizzicate e nell’uso della pedaliera per produrre raddoppi di ottava. Un altro strumento, il tambur che accomuna regioni iraniane e kurde ha ispirato la melodia di “Voyage À Jeyhounabad”, uno dei brani più essenziali ed equilibrati, emozionante nel fragile vibrato prodotto con l’archetto che sembra avvicinare la sua voce a quella del kamanche e degli strumenti a fiato. Nel finale del concerto si torna in Europa, prima con una ariosa melodia di ispirazione bretone, pretesto per un ampio intermezzo blues, poi con un brano di matrice celtica “Pilgrim” che chiude le danze in modo pirotecnico. Due i bis: prima l’accattivante “Rock Wandering”, poi il toccante “Kurdish Mood”. 


Alessio Surian

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