La sera di venerdì 25 ottobre è stata inaugurata alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia “Dance Dance Dance”, rassegna dedicata alle arti coreutiche con cui l’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati prosegue le celebrazioni per i cinquant’anni della sua nascita. Il ciclo si compone di tre spettacoli, ognuno dei quali dedicato a un diverso Paese del lontano Oriente (Indonesia, Corea del Sud e Giappone), con la volontà di esplorare il complesso e ricchissimo universo delle arti sceniche di queste tre realtà ponendo particolare attenzione al dialogo fra tecniche e linguaggi della tradizione con quelli della danza e delle arti contemporanee.
Il compito di “aprire le danze” è toccato a Sardono Kusumo uno dei pionieri (e oggi Maestro) della danza contemporanea asiatica, definito dal “New York Times” «il più famoso e il più ribelle dei coreografi e danzatori indonesiani». Sardono vola in laguna a distanza di più quarant’anni dalla sua ultima presenza in Italia che risale al 1974, anno in cui aveva inaugurato con successo a Roma il Festival di Villa Medici con uno spettacolo commissionato da Jack Lang.
Poliedrica figura dai molti talenti che sarebbe riduttivo definire unicamente come danzatore e coreografo, essendo lui infatti anche film-maker, attore, pittore, attivista ecologista, conferenziere, performer e pedagogo; Sardono Kusumo nasce come ballerino di danza classica delle corti giavanesi e diviene giovanissimo primo ballerino del prestigioso Ramayana Ballet di Prambanan (Giava centrale), nel 1964 riceve la sua “iniziazione” modernista a New York frequentando lo studio di Martha Graham. Su questi primi anni di scoperta dell’occidente coreutico, che coincidono anche per Sardono con l’importante primo incontro con la cinepresa e la video art che tanto segneranno in futuro la sua poetica, si è focalizzata la conferenza “Dancing with my camera on my finger”, tenutasi il 24 ottobre presso l’Auditorium Santa Margherita a Venezia. L’incontro ha assunto la forma di un’informale e piacevole conversazione fra Sardono Kusumo, Vito Di Bernardi (professore di discipline coreutiche presso l’Università La Sapienza di Roma) e Giovanni De Zorzi (professore di etnomusicologia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia),
in cui si è discusso principalmente riguardo all’influenza esercitata dalle esperienze del giovane Sardono come spontaneo e curioso videomaker nella sua successiva attività di coreografo. Il venticinquenne Sardono, reduce della sua esperienza newyorkese, cominciò infatti a viaggiare attraverso l’arcipelago indonesiano portando con sé una cinepresa 8 mm acquistata negli Stati Uniti, con cui ha testimoniato il suo viaggio di formazione in zone remote come la foresta pluviale di Kalimantan o la piccola isola megalitica di Nias ma anche isole più note e ricche di una lunga storia culturale ed artistica come Bali fino a toccare altri paesi dell’Estremo Oriente fra cui il Giappone. In questa occasione è stato possibile visionare questi preziosi materiali, alcuni dei quali caratterizzati da un attento sguardo antropologico mentre altri invece dal taglio più marcatamente ‘artistico’ e creativo, commentandoli insieme all’autore e mettendoli in relazione con importanti momenti della sua vita e della sua carriera.
La sera del giorno successivo è andato invece in scena “The Family of Man and the Sea”, spettacolo site-specific ideato da Sardono appositamente per il suggestivo spazio dell’Auditorium ‘Lo Squero’ della
Fondazione Cini, Ex officina per la riparazione delle imbarcazioni, affacciata sul Bacino San Marco, restaurata e adibita a sala concerti, il cui fondale è costituito da una grande vetrata aperta direttamente sulla laguna, le sue barche ed i suoi giochi di luce. In un ambiente del genere non poteva che essere il tema dell’acqua, del mare e della sua relazione con l’uomo a costituire il cardine dello spettacolo concepito dall’artista indonesiano. Una relazione, quella fra uomo e mare, come elemento che unisce e nutre i popoli ma che può anche distruggere e uccidere (come sanno purtroppo molto bene in Indonesia, uno dei paesi più a rischio tsunami del mondo). Non sono mancati inoltre nello spettacolo forti riferimenti alle contemporanee tragedie marine dei boat people asiatici e dei migranti mediterranei.
In uno spazio sonoro prodotto dal vivo dal compositore e sound designer Otto Sidharta tramite l’ipnotico suono della risacca catturato fuori dall’Auditorium tramite dei microfoni e diffuso all’interno della sala attraverso degli altoparlanti (alla cui creazione ha partecipato anche il pubblico in sala realizzando una serie di profondi respiri che è stata registrata e riprodotta), si è mossa l’eterogenea squadra di artisti guidata da Sardono.
È stata messa in scena una performance ‘totale’ in cui i suoni dell’ambiente rielaborati al computer si sono fusi con i suoni gutturali, profondi come gli abissi, prodotti dal danzatore e vocal artist Bambang “Besur” Suryono utilizzando le tecniche vocali e corporee degli sciamani indonesiani, con la voce tanto eterea quanto potente della giovane sindhen (cantatrice del teatro delle ombre giavanese) Nur Handayani e il timbro penetrante della sua viella rebab con la quale accompagnava il canto. Su questo composito tappeto sonoro si sono stagliati i sapienti ed eleganti movimenti di Astri Kusuma Wardani, astro nascente della danza indonesiana, costantemente in bilico su una grande semisfera metallica, quasi un’instabile zattera in precario equilibrio sui flutti.
La scena era posta in perpetuo dialogo con dei video prodotti dallo stesso Sardono e proiettati sulla parte superiore del fondale sopra la vetrata, molti dei quali girati la mattina stesso dello spettacolo nel braccio di laguna immediatamente antistante l’Auditorium ‘Lo Squero’, a completare sul piano visivo quel gioco dialettico fra ‘interno’ ed ‘esterno’ dello spazio, cardine della componente sonora dello spettacolo. Al centro di questi materiali audiovisivi la fisicità e l’espressività di Tony “Broer” Supartono, protagonista indiscusso del suggestivo finale ‘a sorpresa’ della performance basato su un espediente visivo difficile da immaginare e realizzare in un ambiente diverso dallo spazio per il quale è stato concepito questo spettacolo.
Costantino Vecchi
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