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Maurizio Agamennone |
Il volume dell’etnomusicologo laziale di magistero fiorentino porta come sottotitolo “Il viaggio di conoscenza, la radiofonia e le tradizioni musicali locali nell’Italia del dopoguerra (1945-1960)”. È uno sguardo retrospettivo, ma pieno di rimandi alla contemporaneità, su quella fase storica segnata da un enorme fermento culturale nell’Italia che si rialzava dopo le distruzioni del secondo conflitto mondiale. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Il libro si apre con la contestualizzazione della campagna di rilevazione intrapresa da Alan Lomax e da un giovane Diego Carpitella nell’Italia degli anni ’50… Quanto è importante questo aprire lo sguardo sulla nuova sete di conoscenza della varietà culturale italiana di quegli anni?
Ho cercato anche di raccontare gli altri viaggi europei di Lomax, nel Regno Unito e in Spagna, caratterizzati da molte analogie, che si possono intendere quasi come un processo euforico e fortunato di “urgent anthropology”, e così sarebbe accaduto anche in Italia: grandi e rapidi spostamenti all’interno di aree molto estese, soggiorni brevi nelle singole località, spontanea simpatia e solidarietà verso i musicisti e danzatori locali, una certa simpatia da parte delle élite progressiste, notevole facilità nell’uso delle tecnologie di ripresa. Ed è senz’altro vero che molte personalità, ma anche certi gruppi sociali e politici nell’Italia di allora, percepivano un’intensa aspirazione a ritrovarsi e riconoscersi, a ricucire e ricostruire, con accese speranze, pur tra enormi difficoltà, sulle macerie della guerra e ben oltre le aberrazioni centralistiche e imperialistiche della dittatura, clamorosamente fallimentari: credo sia interessante ritornare su queste esperienze ed emozioni, perché possono costituire una riserva di energia, un modello di “rinascita” possibile, anche per la scoperta della complessità e varietà delle differenze nelle pratiche della musica e della danza.
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Alan Lomax in Italia |
Tutto ciò si può mettere in relazione con quanto accadeva in altre parti d’Europa? Non solo per opera dello stesso Lomax?
Direi di sì, tutta l’Europa doveva guardare avanti, anche i paesi vincitori, sulla “tabula rasa” della guerra. Proprio nel Regno Unito, il primo approdo in Europa, Alan Lomax incontra numerosi intellettuali, musicisti e militanti politici che avevano provato anch’essi a censire e documentare le pratiche musicali e coreutiche locali, intese come segmenti specifici di una sensibilità nazionale sovra-ordinata, ricomposta secondo processi democratici.
Non c’è il rischio, molto italico, che Lomax sia santificato? Quanto è importante a cercare di ricostruire, ma anche decostruire, lo scenario locale in cui Lomax agisce, come stanno facendo ricercatori accademici e curatori locali che ricostruiscono il percorso, intervistano gli “informatori” dell’epoca ancora in vita?
Sì…è opportuno riconoscere come le indagini di Alan Lomax siano state senz’altro molto veloci e fortunate, ma talvolta anche piuttosto superficiali…Inoltre, da molti suoi scritti di quegli anni si può rilevare una conoscenza approssimativa dei contesti culturali e delle storie locali, ma anche di certi processi più estesi e di lunga durata, unita a una sensibilità forse un po’ romantica e tendente a facili accensioni di entusiasmo seguite da repentine cadute in una irritazione sorda (il complesso rapporto di incantamento e ripulsa nei confronti della radiofonia italiana è esemplare, a questo proposito)…pure l’insistenza nel sottolineare come gli intellettuali italiani di allora fossero del tutto ignari di quanto lui invece era riuscito a documentare, a me pare piuttosto ingenerosa e poco pertinente…d’altra parte, bisogna riconoscere, con altrettanta prudenza, che la registrazione sonora delle musiche di tradizione orale era poco frequentata allora, a parte alcune prove in aree circoscritte messe in atto soprattutto da Giorgio Nataletti, e da Diego Carpitella al seguito di Ernesto de Martino: invece, Lomax era un grande esperto per le sue numerose esperienze in America e, poi, nei suoi attraversamenti europei precedenti il “viaggio in Italia”…quindi, nessuna santificazione, senz’altro, ma non si può negare un suo impegno di “pioniere” e, anche, una sua influenza nel “fertilizzare” le esperienze successive.
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Cantori di Atina, 1938 Foto da Rosa di maggio. Le registrazioni di Luigi Colacicchi e Giorgio Nataletti in Ciociaria (1949-50) |
Ecco, parliamo di Giorgio Nataletti: pioniere e protagonista di più stagioni politiche e culturali, come studioso e operatore radiofonico. Che dire di lui: A volte, sembra una figura sottovalutata?
Giorgio Nataletti è sicuramente una personalità che reclama uno studio assai più attento e meditato: ha attraversato con grande disinvoltura vicende politico-culturali diverse, restando un protagonista della radiofonia, dall’EIAR alla RAI; era anche un bel musicista e si deve a lui, in buona sostanza, la formazione e il consolidamento di un forte e costante interesse verso le tradizioni musicali locali all’interno della radiofonia, con una presenza e un’azione assolutamente pervasive, in studio e al microfono, anche con una lungimirante attenzione verso la scelta di collaboratori qualificati, tutti più giovani di lui e molti di orientamento politico socialista e comunista, non corrispondente affatto alla supremazia democristiana che informava l’informazione e l’intrattenimento radio-televisivi di allora.
Nucleo centrale del tuo scritto è il ruolo del mezzo radiofonico nella divulgazione di culture altre? Di che Radio stiamo parlando? Quali le finalità?
Era la nuova RAI (ancora soltanto Radio Audizioni Italia, senza la televisione) che sostituiva la vecchia EIAR di regime, anche se in presenza di forti tratti di continuità, e cercava di assecondare lo sviluppo del nuovo assetto democratico e pluralista del paese, pur subordinata a una forte egemonia valoriale di impronta cattolica e a uno strettissimo controllo politico democristiano. L’interesse per le periferie e le articolazioni locali, esteso anche alle differenze linguistiche, emancipato da una sensibilità “strapaesana”, andava in quella direzione, dopo la repressione verso le lingue minoritarie (dal tedesco allo sloveno) e il furore anti-dialettale messi in atto dal regime.
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EIAR Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche |
Pure, la radio sosteneva generosamente la rilevazione sonora operata dagli studiosi, fornendo attrezzature, mezzi e personale, e le stesse registrazioni venivano inserite nel palinsesto quotidiano, proprio in apertura dei programmi, a partire dal 3 ottobre 1955, nel nuovissimo Terzo Programma, trasmesso dalle stazioni a modulazione di frequenza, il canale radiofonico sperimentale, almeno per tutti gli anni Cinquanta.
Erano tempi in cui si affiancavano l’idea di ricostruzione e riconciliazione nazionale che passava anche attraverso una radio e una musica di massa e un tipo di radiofonia “culturale” - qui penso anche ad alcuni documentari della TV che verrà, realizzati da grandi firme (Di Gianni, De Seta, Soldati, ecc.). Ricordiamo anche le motivazioni addotte da de Martino che lamentava la scarsa conoscenza delle musiche e delle pratiche di parte della popolazione italiana, al punto di dover legittimare l’uso della parola “spedizione”…
Sì, è proprio così: le popolazioni della Penisola italiana e delle Isole non conoscevano se stesse e non si conoscevano tra di loro, da sud a nord, da est a ovest. La radio svolse questa “missione”: alimentare la conoscenza reciproca delle periferie, e favorire la crescita di una nuova sensibilità “nazionale” sovra-ordinata, costruita sulla consapevolezza delle differenze. Questo vale anche per certe prove precoci di “documentario” radiofonico sperimentate da grandi reporter come Roberto Costa e Sergio Zavoli, e per alcuni lunghissimi cicli a gittata pluriennale, come il “Viaggio in Italia” di Guido Piovene, trasmesso dal 1953 al 1956; ma vale anche per la neonata televisione, con il “Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini”, condotto e rappresentato da Mario Soldati tra 1957 e 1958; la prospettiva è la stessa: attraversare spazi estesi, commentando le specificità e differenze rilevate, nelle musiche, nelle danze, nei cibi, nelle bevande, nei paesaggi, nelle lingue e nei dialetti. Come si intende, anche nella radiofonia, ma pure nella stampa quotidiana e periodica (si pensi ai viaggi di Pasolini lungo le coste della Penisola e in tutto il Sud), l’epica, l’etica e l’estetica del “viaggio di conoscenza” sono istanze creative e psicologiche formidabili, in tutti quegli anni.
Ascoltando la trasmissione “Panorami etnologici e folkloristici”, a cura di de Martino risaltano stili espressivi molto diversi da quanto si produce oggi.
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Maurizio Agamennone |
È ancora possibile fare divulgazione etnomusicologica attraverso ii media, nel mondo globalizzato di oggi?
La radio di allora era tutta scritta, e letta da attori e speaker professionali: alle nostre orecchie suona piuttosto solenne, pensosa, talvolta dolente e monumentale, ma senza essere retorica, arrogante e altisonante come era stata la radio dell’EIAR, megafono del regime e veicolo di annunci e discorsi infausti…credo che per le orecchie di allora questa differenza non fosse affatto irrilevante. È ovvio che la radio, soprattutto la radiofonia culturale, di oggi deve sperimentare un ductus vocale e timbri che siano al passo con i tempi, e che si facciano ascoltare non solo dagli addetti al “lavoro culturale”, ma da un pubblico assai più vasto, anche rappresentando e raccontando i suoni e le musiche che si suonano e ascoltano “nel mondo globalizzato di oggi”.
Se è vero che le ricerche di de Martino - penso alla Lucania - trovano da subito una divulgazione attraverso la radio, l’Italia registra un forte ritardo rispetto ad altri Paesi nella pubblicazione discografica di ricerche etnomusicologiche. Come si spiega?
Se la radiofonia ha retto il passo rispetto ad altri Paesi, non è stato affatto così per l’industria culturale e l’editoria discografica, che hanno conservato a lungo una certa indifferenza e sordità rispetto alla documentazione sonora che si andava progressivamente accumulando. In fondo, il mitico “viaggio in Italia” di Lomax e Carpitella si svolse negli stessi mesi durante i quali Pasolini curava il suo “Canzoniere italiano” e Calvino le sue “Fiabe italiane”: queste due ricerche, concentrate sulla versificazione (Pasolini) e sulla narrazione (Calvino), sono state pubblicate immediatamente, divenendo testi fondamentali nella consapevolezza condivisa, ancora presenti persino nella didattica di base: invece, i dischi che antologizzavano il “viaggio in Italia” di Lomax e Carpitella furono pubblicati soltanto negli Stati Uniti (1957) e in Italia venti anni dopo, nello stesso periodo in cui lo
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Diego Carpitella, 1954 - Foto di Alan Lomax Foto da Musica e tradizione orale nel Salento, Squilibri 2017 |
stesso Lomax pubblicava due sue monumentali raccolte americane, i 18 dischi della “Columbia World Library of Folk and Primitive Music” e gli 11 della collezione “Songs and Dances of Spain”. Le pubblicazioni discografiche italiane dedicate alle musiche di tradizione orale sono state episodiche e occasionali, realizzate coraggiosamente da etichette militanti, da un editore lombardo “illuminato” e da una consociata RAI, nella sovrana indifferenza dell’impresa editoriale e discografica. In fondo, le registrazioni sonore condotte in quegli anni (1948-1960) si stanno pubblicando a partire dagli ultimi 10/15 anni, comprese quelle che furono realizzate durante il “viaggio in Italia” di Lomax e Carpitella. Le motivazioni possono essere numerose: non ultima, indicherei la scarsa rilevanza della musica - anche di quella cólta e scritta - nell’educazione e nella formazione, tipica della cultura e della società italiana.
Allargando lo sguardo a quanto avviene nella circolazione dei materiali di tradizione orale, si avverte sempre se una frizione, se non proprio una cesura, tra il mondo accademico e chi opera a livello locale (musicisti, curatori locali, ecc. e naturalmente anche politici) nell’uso di certe categorie interpretative, qui complici anche le politiche di patrimonializzazione. Solo per fare un esempio: i secondi fanno largo uso di parole come autenticità, cultura, tradizione che sono continuamente reificate ed essenzializzate, mentre sono state ampiamente decostruite dalle scienze sociali. Che fare?
Ognuno deve fare il proprio dovere: gli studiosi - o accademici - hanno il compito di studiare, appunto, valutare e comparare, documentare e conservare, produrre saggi e volumi, dischi e film, siti e archivi, favorire il pensiero critico, e per riuscire a farlo hanno bisogno di parecchio tempo. Altri attori sociali agiscono su tempi molto più brevi e puntano a “prodotti” di più rapida realizzazione e diffusione, o di immediata valorizzazione. Queste prospettive, evidentemente, possono produrre indifferenze reciproche, oppure attriti e conflitti, oppure, ancora, possono condurre a mediazioni accettabili per i diversi contraenti: se si agisce con trasparenza e adeguata consapevolezza - senza spacciare fischi per fiaschi, ma non è sempre è così: molti progetti possono essere intesi come effetto di palesi mistificazioni -, se gli obiettivi politici, le forme di “discorso pubblico”, le scritture musicali e poetiche producono esiti stabili e innovativi, soddisfacenti per i produttori e destinatari, allora ci saranno molte cose da osservare e studiare, e altrettante da fare…
Maurizio Agamennone, Viaggiando, per onde su onde, Squilibri, 2019, pp. 200, Euro 18,00

Ciro De Rosa