Luigi Cinque – Kunzertu 2020 - A Memory Of Future (MRF5, 2019)

Musicista e compositore eclettico ma anche regista ed agitore culturale, Luigi Cinque è un artista poliedrico la cui visione straordinariamente ampia, lo ha portato a sfuggire sempre a qualsivoglia facile catalogazione. Dall’epocale “Note di atemporalità”, pubblicato dalla Cramps, passando per le esperienze con il Canzoniere del Lazio e le ricerche con Luciano Berio, il musicista romano è stato tra i protagonisti della sperimentazione in Italia di fine anni Settanta, per poi proseguire il suo percorso con gli studi di composizione, estetica e filosofia, le intersezioni con l’elettronica e la musica indiana, e poi ancora gli incroci con il teatro di ricerca e la danza. Negli anni si sono susseguiti dischi, concerti e progetti (memorabile nei panni del maestro concertatore di “Sunalòs” al Festival della Zampogna di Scapoli) ed in parallelo non sono mancante collaborazioni con artisti come Nanni Balestrini, Umberto Eco, Pina Bausch, Pier Paolo Pasolini, gli Area, Paco Taibo II, Vidiadhar S. Naipaul, Edoardo Sanguineti, Valerio Magrelli, Mauro Pagani, Banco del Mutuo Soccorso e Jannis Kounellis. Come regista di film e documentari, Cinque ha firmato opere di grande pregio come “Officina Mediterraneo”, “Transeuropae Hotel” e il più recente “A fabulous trickster”, dedicato a Antonio Infantino. Sul versante editoriale, imprescindibile resta la sua autobiografia artistica “Kusertu” (Longanesi, 1977), ripublicata nel 2018 in versione espansa con il titolo , “Kunzertu 77 18 - Memorie di bordo”, impreziosita da numerose aggiune e contributi di amici e colleghi. 
Attraversando mondi e linguaggi sonori differenti, superando confini culturali, musicali e geografici, Luigi Cinque ha maturato una concezione della composizione fatta di stratificazioni tra strumenti e voci, una cifra stilistica originale, fuori dagli schemi, un approccio transgenico in cui dialogano espressioni musicali ed artistiche diverse e nel quale confluiscono jazz, rock e world music e che ha trovato il suo vertice nell’attuale esperienza con la Hypertext O’rchestra, ensemble a geometrie variabili ed incubatore di nuovi e sorprendenti linguaggi musicali. A compendiare il percorso artistico del musicista e compositore romano è “Kunzertu 2020 - A Memory Of Future”, disco antologico con preziosi inediti, pubblicato - per ora - solo in digitale su Bandcamp. Abbiamo intervistato Luigi Cinque, in occasione del concerto che terrà il prossimo 28 novemebre con la Hypertext O’rchestra sul palco dell’Auditorium Parco della Musica di Roma nel corso del Roma Jazz Festival. Nel corso della nostra chiacchierata abbiamo ripercorso il cammino compiuto negli ultimi anni, ci siamo soffermati sull’evoluzione delle sue ricerche sonore e la centralità dell’improvvisazione, senza lasciarci sfugguire una anticipazione sull’ormai consueto Concerto di Santo Stefano che lo vedrà protagonista il prossimo 26 dicembre presso la Chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma.

Partiamo da lontano come nasce l’esperienza della Hypertext O’rchestra?
Da lontano davvero! Siamo negli anni Novanta. Venivo fuori da studi classici dopo la stagione diciamo così, popolare. Mi serviva ricostuire un percorso di improvvisazione compositiva. Tra l’altro, proprio in quegli anni, si chiudevano – questo a mio parere, sia chiaro – tutte le ipotesi possibili di codici differenziati tra le varie musiche e le relative desistenze rispetto al mercato e alla globalizzazione in atto. Tutto si inseriva in un grande contenitore mercantile e si liquefacevano, per dirla alla Baumann, tutte una serie di ipotesi e categorie socioantropologiche che stavano dietro alla musica popolare, a quella etnica, alla contemporanea. Il jazz, dopo la stagione europea degli Ottanta,  perdeva la sua capacità di individuazione diventando anch’esso, in alcuni casi,  un buon articolo di mercato.  
Tutti noi umani ci stavamo trasformando senza che ce accorgessimo in consumantes. Tutti nello stesso grande frullatore. Cominciava ad avverarsi il sogno massimo del Capitalismo: il mondo intero fatto di consumatori arrembanti e precari cui si dà solo qualcosa perché possano a loro volta comprare i prodotti industriali e digitali. Insomma tutto questo era un atmosfera, un’ideologia, un ambiente, nel quale mi è venuto naturale fondare una creatura come la Hypertext O’rchestra, una formazione ad organico variabile, in grado di praticare un rito che è qualcosa di più di un vero e proprio concerto. Un rito nel quale tra improvvisazione, partiture e cut up di memorie ovvero di frammenti di assoluta proprietà dei componenti accade qualcosa di inconsueto, di innovativo. I concerti della Hypertext O’rchestra sono diventati accadimenti non ripetibili e per questo non omologabili, non costretti in recinti, fuori dagli schemi, attraversati da una contemporaneità di generi che vanno dall’arcaico al postumano passando per l’etnico, l’elettronico e la semplice voce dell’inconscio poetico. Questo ha presupposto, nel tempo, la collaborazione di solisti consapevoli, veri e propri compositori in tempo reale. Per stare nella Hypertext O’rchestra bisogna saper essere compositori di se stessi e conoscere bene l’interplay, ma anche gli aborigeni tutti, la musica Caucasica, Gesualdo da Venosa, Varese, Zappa, Davis e Cage tanto per formare un pannello di riferimento.

Nel corso degli anni come si è evoluta la tua ricerca musicale con questo progetto?
E’ nuovamente subentrata la scrittura di note ma con una pratica diversa, più consapevole. Ho appena consegnato ai Teatri Lirici di Linz, Modena e Novi Sad, una partitura per orchestra coro e narratore e nello scrivere l’Opera mi sono accorto di quanto sia stato importante e arricchente l’esperienza dell’Hypertext O’rchestra. Ho capito e abbiamo capito che anche la poesia deve poter essere un’invenzione in tempo reale, senza la mediazione della logica e della ragione, così come avveniva per i rituali classici alla base della nascita del mito e della tragedia. 
Devo molto ai collaboratori presenti e passati della Hypertext O’rchestra’.

Qualcuno definirebbe la vostra musica come jazz-world, io al contrario vedo il vostro approccio musica come completamente libero ed aperto. Quanto è importante oggi sfuggire alle etichette?
Transgenico, che poi è una definizione di Repubblica, per l’esattezza di Gino Castaldo a proposito del mio disco “Passaggi”, vuol dire che l’Hypertext O’rchestra propone e si nutre, nella sua musica, della possibilità continua di attraversare i generi : dal cunto tradizionale all’hip hop, alla pizzica, all’aleatorio di Cage al real time improvviso, al contemporary da Modern Art, al jazz più tradizionale, al blues, alla doina. Ma questo sia chiaro non in termini espositivi senza un’anima, da prontuario di venditori ambulanti, ma in una condizione raggiunta di postcontaminazione. Il futuro sarà un fiore che canta.

Quanto è determinante nella vostra cifra stilistica l’improvvisazione?
Fondamentale come dicevo prima. E’ una delle cifre della formazione così come lo è lavorare su basi preconfezionate o leggere partiture classiche. Sia chiaro non siamo jazzisti e non abbiamo alcun mito dei patterns che suonano, sempre uguali, la maggior parte dei jazzisti in giro. Siamo tutti gente che studia per trovare qualcosa da fare da grandi.

Quanto è stato importante il contributo dei vari musicisti che si sono alternati al tuo fianco nell’organico della Hypertext O’rchestra?
Decisivo. Tutti importanti penso a Djavan Gasparyan o Alexander Balanescu, le Bnet, Michel Godard o Efren Lopez per non parlare di cantanti come Urna Chagtar Tugki o Patrizio Fariselli, Francesco del Banco, Fausto Mesolella.  Tutti insomma. L’ Hypertext O’rchestra può esistere solo se si crea un valore aggiunto di scambio tra i suoi componenti. Il vero compositore ombra è il cut up tra memoria e presente degli artisti in scena. Le mie parti sono solo funzionali a quello. Io lavoro in scena da “officiante” oltre che da singolo strumentista. 

Recentemente avete pubblicato un nuovo album “Kunzertu 2020 - A Memory Of Future”. Come nasce questo nuovo album?
E’ servito a fare il punto. Una specie di inventario di vita vissuta. Ho selezionato i brani dai miei dischi migliori, dai live tenuti nel cassetto e dalle registrazioni fatte durante i miei viaggi con altri artisti speciali. Per ora il disco è uscito solamente in digitale non su Spotify ma su Bandcamp  e presto parti di esso usciranno in analogico e vinile.

All’eloquente titolo corrisponde uno sguardo verso il passato del Canzoniere del Lazio con l’inedito “Morra Napoli” che apre il disco. Come mai hai scelto di ripescare dagli archivi questo brano come opener? 
Il Canzoniere del Lazio è stata una mia esperienza formativa… che avveniva tra l’altro da ragazzini. Con il permesso degli altri componenti, da Siliotto a Brega e Minieri, ho pubblicato in una mia compilation un brano non mio ma di composizione collettiva. Trovo davvero rappresentativo inedito e sconosciuto quel modo in cui eravamo musicalmente parlando. Energia da vendere. Un brano suonato al Festival Nazionale di Napoli nel 1976, molti di noi avevano ventanni o poco più. La sua registrazione fu fatta con un mangiacassette collegato al mixer. Un brano dove c’è la vera summa di elaborazione dal popolare, al rock e al postmoderno al quale era arrivato il Canzoniere del Lazio.  Era il Concerto di chiusura. Ricordo che sul palco o giù di lì c’erano personaggi come Pino Daniele, i Bennato, i Zezi e Daniele Sepe, qualche giovanissimo Almamegretta, James, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Il brano è sintomatico di un tempo creativo. E uno splendido Piero Brega.

Quali sono i momenti imperdibili di “Kunzertu 2020”?
Per me tanti ma lascerei giudicare agli ascoltatori. Sono particolarmente affezionato a un live in duo con Fausto Mesolella o un brano registrato con un cantore di nome Cissoko in Guinea Bissau in cui si avverte la lontana ombra di Omero. Un omero africano e pertanto pure hip hop e R&B

Il prossimo 28 novembre suonerete all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Che cosa dovrà aspettarsi il pubblico?
Il 28 all’Auditorium di Roma l’Hypertext O’rchestra che è formazione ad organico variabile, presenta “il jazz visto dalla luna”. In questo caso mi troverete nelle vesti di un Astolfo antico e contemporaneo a raccontare (e intravedere ) dalla luna, per caso, che jazz non è solo musica. E' piuttosto quel cromosoma improbabile, quel virus imprevisto, quel linguaggio diverso, generato nella cultura del Novecento, in un luogo preciso New Orleans, dall’implosione di un mix di etnie, razze, visioni, energie. E, come una malattia, come un’ombra inarrestabile, come un fantasma delle anime, in musica, e non solo, ha contagiato il mondo. 

Chi sarà al tuo fianco sul palco?
Insomma se siete curiosi di vedere cosa ci fanno una delle più importanti vocalist come Petra Magoni con la voce griot Badara Seck e il pianismo/oltre di Antonello Salis e le tastiere di Ric Fassi , con Alfio Antico il re dei tamburi a cornice, un genio mondiale del contrabbasso come Adam Ben Ezra, un astro nascente della chitarra battente come Ale Santacaterina e la "ciaramela de deus" come mi definirono in una tournè in Brasile seguiteci in questa avventura.

In cantiere c’è anche l’edizione 2019 del Concerto di Santo Stefano. Che cosa stai preparando per l’occasione? Chi saranno gli ospiti?
Ormai è una tradizione nella Città. Avremo ospiti Zampogne e bagpipes dal mondo, una Corale con Gesualdo da Venosa in repertorio. Io in duo con la chitarra battente di Ale Santacaterina, ci misureremo anche noi con i madrigali di Gesualdo e poi, dulcis in fundo, la presenza di Ginevra di Marco e il suo trio con Francesco Magnelli. Sarà forte e non mancheranno altre sorprese.

Quest’anno è venuto a mancare il sostegno di Roma Capitale a questo evento…
Quest’anno per la prima volta dopo vent’anni il Comune con il suo Assessore alla Cultura, uno dei peggiori di sempre, ha fatto mancare il suo appoggio,  in favore di Istituzioni più muscolari. Prendo spunto da questo per dire che la questione della Cultura in Italia è diventata basilare. Gli artisti italiani sono precari, non sindacalizzati, ormai carne da sperimentazione per Istituzioni e Burocrazie. Insomma dobbiamo trovare il modo di aprire gli occhi. Di restare uniti. Le buche stradali in una Città si possono riparare in una stagione. I misfatti della cultura sono piaghe vere e proprie che si rimarginano solo dopo diverse generazioni. Il c apitalismo non vuole altro. Meno cultura e più consumi e meno ambiente e più guerre e più migrazioni. E’ tutto connesso. I dettagli rivelano molte cose. Allons enfant de la patrie…



Luigi Cinque – Kunzertu 2020 - A Memory Of Future (MRF5, 2019)
Mancava nella discografia di Luigi Cinque un album che ripercorresse il suo cammino artistico, un viaggio musicale in corsia di sorpasso vissuto sperimentando continuamente, anticipando tendenze ma soprattutto dando vita ad una ricerca sonora a tutto tondo, fatta di incroci ed attraversamenti tra stili e generi musicali diffenti. A colmare questo vuoto è “Kunzertu 2020 - A Memory Of Future”, disco antologico pubblicato - per ora - solo in digitale su Bandcamp e che mette in fila ben trentatrè brani tra estratti dalla produzione precedente ed inediti che, nel loro insieme, compongono l’idea colonna sonora del libro “Kunzertu 77 18 - Memorie di bordo”, ristampa estesa dell’epocale “Kunsertu” del 1977, considerato ancora oggi un punto di riferimento per quanti vogliano avvicinarsi alla musica world e al folk in Italia. L’album segue una narrazione non cronologica ma piuttosto una serie di sentieri che si dipanano dall’iniziale “Morra Napoli”, inedito del Canzoniere del Lazio, registrato dal vivo nel 1976 al Festival Nazionale di Napoli. Ascoltando questa perla d’archivio si colgono in nuce tutti gli elementi che caratterizzaranno l’approccio musicale di Luigi Cinque negli anni a venire con la musica tradizionale del Sud Italia che diventano il porto di partenza verso le rotte del Mediterraneo per toccare l’Africa e la world music mondiale. Durante l’ascolto si spazia da “Il Volo Dell'Ape Oltre Le Sabbie”, tratto da “Note Di Atemporalità” del 1979 a diversi estratti dallo splendido “Tangerine Café” del 2002 (“Radio Baladid”, “Niente Senza 'E Te” con Raiz,  “Garritm Songlines”, “Garritm Core Amante”, “Ararat” e “Cafe C”), dalle perle di “Sacra Konzert” del 2005 (“Masaba x Bamakò” e “Mariama”) a quel gioiello che è “Paesaggi” del 2007 (“Sana's Blond Wife”, “Saturnia's Song (Ligety Hommage)”, “Soona”, “Baires African Impressions”, “Balo Migrante” per toccare “Luna Reverse” del 2009 (“I’m Bizet”, “Luna Reverse”, “Luna Reverse Reprise”, “Improversus”) nel quale spiccavano, tra gli altri, Alexander Balanescu al violino, Mauro Palmas alla mandola e Walter Rios al bandoneon e il più recente “Hyperduet” con Alireza Mortazavi e Francesco Loccisano con “Notte Di San Lorenzo” e “Tarantella Stanca”. Sul versante degli inedi non mancano le sorprese con la gustosa “Flamenco Stanco”, l’incursione nella musica africana di “Cissoko”, le due parti di “Suna”, “La Cantata della Pace” e la superba “El Quinto”, registrata dal vivo con Fausto Mesolella, tuttavia il vertice del disco arriva sul finale con "La Milleuna" di Nanni Balestrini, interpretata da Demetrio Stratos, la poesia di Pier Paolo Pasolini “Marylin”, recitata da Laura Betti ed incornicata dalla musica di Luigi Cinque, Danilo Rea (pianoforte), Massimo Coen (violino) ed Enzo Pietropaoli (contrabbasso) e l’omaggio a John Cage con “Waiting For Cage”. Insomma “Kunzertu 2020 - A Memory Of Future” è un disco prezioso per quanti vogliono scoprire la musica di Luigi Cinque e nel contempo è un regalo ricco di belle sorprese per coloro quanti ben conoscono la sua proverbiale ecletticità artistica. Il disco è disponibile su Bandcamp



Salvatore Esposito

Posta un commento

Nuova Vecchia