Premio Andrea Parodi 2019, Auditorium del Conservatorio, Cagliari, dal 10 al 12 Ottobre 2019

Giunto alla dodicesima edizione, il Premio Andrea Parodi si conferma come uno dei (pochi) baluardi in Italia per la valorizzazione della world music nelle sue varie declinazioni contemporanee, una vetrina importante e sempre più a vocazione internazionale per artisti già affermati e prospetti futuri, ma soprattutto una preziosa occasione di incontro, riflessione ed interscambio tra artisti e addetti ai lavori. In questo senso il contest ha visto l’aspetto della gara in quanto tale passare quasi in secondo piano, con gli artisti più attenti a stabilire un contatto forte con il pubblico, piuttosto che focalizzati unicamente sulla competizione. Un dato positivo questo certamente favorito dall’atmosfera unica che si respira nella tre giorni in cui Cagliari rende omaggio e ricorda l’indimenticato Andrea Parodi, fondatore dei Tazenda e voce tra le più intense della scena musicale sarda degli anni Ottanta e Novanta. Rispetto alle precedenti edizioni, quella del 2019 si è segnalata certamente per l’innalzamento del tasso qualitativo dei partecipanti e dei brani in gara che, nel loro insieme, hanno evidenziato il superamento dell’idea di musica d’autore cantata in una lingua di comunità o minoranza, per approdare ad un concetto diverso e sicuramente più moderno ed internazionale di quella che oggi è conosciuta come world music. 
Insomma, rispetto ai tanti premi che affollano la scena musicale italiana, il Premio Parodi sembra seguire rotte completamente differenti come dimostra la partecipazione di gruppi ed artisti già affermati non solo a livello nazionale e, senza dubbio, per merito anche di Elena Ledda che ne ha curato la direzione artistica e della attenta gestione da parte della Fondazione, guidata da Valentina Casalena. Ulteriore elemento di novità dell’edizione 2019 è stato il cambio di location con il più grande e capiente Auditorium del Conservatorio che ha ospitato le tre serate in luogo dell’Auditorium Comunale, chiuso per lavori, e ciò ha permesso l’afflusso di un pubblico certamente più ampio rispetto al passato, certamente attratto anche dalla presenza di diversi ospiti speciali come Moni Ovadia del quale abbiamo apprezzato il monologo intriso di riflessioni di stringente attualità in cui ha spaziato dall’invasione del Kurdistan da parte dei turchi all’antismitismo di ritorno, Tosca che ha presentato in anteprima il docu-film “Il Suono della Voce” e ha proposto una serenata dal repertorio di Romolo Balzani. Se Simone Cristicchi è apparso, in verità, un po’ fuori fuoco nel suo set, straordinari ci sono sembrati i napoletani La Maschera, vincitori dell’edizione 2018 ed ormai nel pieno della loro maturità artistica. Roberto Collela e soci hanno messo in piedi un breve ma intensissimo set in cui hanno presentato 
in anteprima un brano inedito che anticipa la pubblicazione loro nuovo album. Grande interessa ha riscosso anche il disco “Viaggio in Italia” del collettivo AdoRiza, nato in quella fucina di talenti che è l’Officina Pasolini, di cui si è parlato nell’incontro pomeridiano condotto da Elisabetta Malantrucco con i curatori Tosca e Piero Fabrizi, e del quale sul palco dell’Auditorium è stato offerto un piccolo assaggio live. Che dire ancora dell’attenzione crescente che sta accompagnando la produzione originale “LinguaMadre” coprodotta dal Premio Città di Loano, Premio Andrea Parodi e Mare e Miniere, con protagonisti quattro fuoriclasse come Duo Bottasso, Davide Ambrogio e Elsa Martin. Questo nuovo progetto, di cui si è parlato anche nell’incontro mattutino del sabato coordinato da Jacopo Tomatis, ruota intorno al “Canzoniere Italiano” che Pier Paolo Pasolini diede alle stampe nel 1955 e nel quale sono raccolti circa 800 testi di vario genere, dai canti narrativi piemontesi alle biojghe romagnole passando per le vilote venete e friulae e i canti toscani per giungere alle canzune abruzzesi e mutos sardi e i lamenti funebri calabresi. Il quartetto ha indirizzato il proprio lavoro di rilettura e riscrittura dei brani muovendosi sui sentieri della tradizione per estendere le ricerche musicali verso la sperimentazione e l’avanguardia. Insomma quello che è ancora un cantiere aperto sembra già foriero di belle sorprese (anche discografiche) nel prossimo futuro. 
Molto seguito è stato anche l’incontro di studi “Questioni di etichetta” coordinato da Jacopo Tomatis e al quale hanno preso parte Ignazio Macchiarella dell’Università di Cagliari (interessantissimo il suo intervento sull’esigenza di superare gli steccati dei generi musicali), il direttore del Conservatorio Gianluca Floris e l’etnomusicologo Roberto Mileddu. Passando più direttamente al contest ci piace evidenziare come assolutamente meritata sia stata la vittoria del premio principale e di quello della critica da parte dei Fanfara Statio, trio composto dal percussionista tunisino ma napoletano di adozione Marzouk Mejri, l’americano Charles Ferris ai fiati e dal dj e producer Marco Dalmasso aka Ghiaccioli e Branzini. La loro “Rahil” è un brano di spessore nel quale la tradizione musicale del Nord Africa incontra echi di jazz ed elettronica in un intreccio davvero affascinante come lo è stata la bella rilettura di “Balai” dal repertorio di Andrea Parodi. Una bella rivelazione sono stati certamente gli esplosivi Krzikopa, formazione polacca che con la loro “Hasiorki” hanno offerto un bel saggio della loro cifra stilistica che li vede incrociare tradizione musicale slesiana, tempi dispari ed elettronica. Ottime impressioni sono arrivate anche dal trio napoletano Suonno d’Ajere ai quali è andata la menzione della giuria internazionale e che hanno raccolto gli applausi del pubblico con l’elegante “Suspiro”, 
un brano a metà strada tra Libero Bovio e Roberto Murolo, in cui spicca bella voce di Irene Scarpato, avvolta dal dialogo tra le corde del mandolino di Marcello Smigliante Gentile le a chitarra di Gianmarco Libeccio. Convincente e coinvolgente è stato Arsene Duevi, cantante e chitarrista togolese, ma stabilmente in Italia da diversi anni, di cui avevamo lodato l’ottimo “Haya” del 2016 e che ha raccolto un grande apprezzamento del pubblico (anche all’uscita del teatro) con la sua “Agamà” proposta in solo chitarra, voce e loop station. Non da meno è stato anche Setak, al secolo Nicola Pomponi, cantautore abruzzese che accompagnato dalla sua ottima band con ha proposto “Marije” dal recente “Bluesanza” e una superba rilettura in crescendo di “Pandela” di Andrea Parodi a cui è andato il riconoscimento per la miglior cover. Altra bella scoperta è stata il cantautore e chitarrista scozzese Elliott Morris con la sua sua “The End of the World Blues”, premiata con la menzione per la miglior musica, e nella quale abbiamo letto una profonda conoscenza dell’opera del suo nume tutelare John Martyn. La menzione per il miglior testo è andata a Federico Marras Pierantoni con la ballata narrativa in dialetto turritano “Canzona di Mari n. 2 – Fóggu e fiàra”, penalizzata sul palco da problemi tecnici e da un organico certamente troppo ampio e, sinceramente, forse poco funzionale nel valorizzare la dimensione quasi da teatro canzone del brano. Ha ben figurato il quartetto A.T.A – Acoustic Tarab Alchemy guidato dalla voce di Houcine Ataa e dal pianoforte di Gaia Possenti con la raffinata “Fattouma” che mescola la tradizione del canto sufi con il jazz, mentre ancor in cerca di compiutezza ci è sembrata la cantante senegalese Saly Diarra con il canto in lingua bambara “Musow” dedicato alle done e il progetto Maribop del cantante siciliano Francesco Giglio e del chitarrista iralndese Peter Walsh. Gli applausi del pubblico che hanno accolto la vittoria di Fanfara Station hanno concluso un edizione del Premio Andrea Parodi dal ritmo serrato e densa di belle novità che va letta come un restart importante di questa rassegna oggi più che mai aperta verso la scena musicale internazionale. 


Salvatore Esposito

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