Mìsia – Pura Vida (Galileo Music Communication, 2019)

Basta ascoltare il primo brano di “Pura Vida” - nuovo album della cantante e compositrice portoghese Mìsia - per comprendere quanto sia profonda l’ispirazione, quanto sia magnifica quella voce, quanto sia ampio l’orizzonte a cui guarda questa musica portoghese, spesso erroneamente ridotta al solo genere fado. Basta entrare nell’album - che è l’ultimo di una lunga e splendida carriera, cominciata all’inizio degli anni Novanta - per comprendere che Mìsia il fado lo adora, ma non si lascia imbrigliare. Perché, come lei stessa ci dice nelle note riportate in apertura del booklet, il fado è la vita. E noi, che molto meno sappiamo e riusciamo a vedere, capiamo allora che la vita non è soltanto il fado, per quanto le inclinazioni melodiche del genere abbiano saputo raccontare “esse sentimento”, attraverso il quale la vita culturale portoghese ci è spesso pervenuta. Basta arrivare al secondo brano e comprendiamo in pieno quello che abbiamo letto nelle righe scritte dal Mìsia: la chitarra portoghese è il paradiso, quella elettrica è l’inferno. Come a dire: ho la necessità di raccontare tutto, senza pormi problemi di forma, né tanto meno di genere. Devo dirvi di cose complesse, profonde e crude, personali, tristi, forti. Lasciatevi andare se volete ascoltarmi, perché non sarà facile. Ecco allora “Ouso Dizer”, dopo appena quattro minuti dall’inizio dell’album, scritta da Tiago Torres da Silva con musiche di Raúl Pinto: melodia sopraffina del canto e della chitarra portoghese, fino a quando Claúdio Romano squarcia tutto con una chitarra elettrica che non lascia scampo, graffiando una superficie perfetta e sbattendoci in faccia la crudezza di un suono distortissimo (“the feeling of tragedy is conveyed in this work through the electric guitar”). La sensazione è travolgente e non possiamo certo tornare indietro, perché la musica che ne esce non ce lo permette, impregnata com’è da una visione che va oltre l’ovvio e la ricercatezza, per arrivare il più possibile vicino a quella sorta di purezza (passiamoci il termine) che solo chi sa fare il suo mestiere riesce a trasmettere. Questo momento di forte consapevolezza Mìsia non se lo lascia certo sfuggire, chiamando in causa ila voce incontenibile e rauca di Daniel Melingo, il maestro latino della discordanza, che integra la scaletta (dove compaiono, tra gli altri e a vario titolo, Amàlia Rodrigues, Carlos Gonçalves, Vasco Graça Moura, jaime Santos, Armando Machado) con “Corazón y Huelso”. Il brano, che ha dato anche il titolo all’album pubblicato nel 2011 dal cantautore e polistrumentista argentino, è stato spogliato del suo vecchio arrangiamento, in modo che tutto potesse confluire nella voce di Mìsia, ampia e profonda. Il ritmo è rallentato, sorretto da poche note di pianoforte (lo suona Fabrizio Romano, che si è occupato anche degli arrangiamenti di quasi tutti i brani). Intervengono come comparse fondamentali la chitarra portoghese e il bandoneon (strumenti sublimemente suonati da Luís Guerreiro e Walter Hidalgo). Quando entra la voce di Melingo il brano è quasi alla fine e c’è solo lo spazio per un ritorno più corale degli strumenti: la melodia è molto delicata, con punte di sentimento struggente, e Melingo, dopo aver cantato poche parole, ringrazia Mìsia della rivelazione. Perché solo quella voce poteva incorporare la nuova forma di una canzone così densa. Il resto dell’album (ci sono altri dieci brani prima della fine) è un crescendo di passione, amplificata da un’orchestrazione a tratti più “sinfonica” (non letteralmente), nel quadro della quale tutti gli strumenti dialogano con equilibrio, seguendo spesso il sibilo stridente del violino di Luís Cunha. Vorrei chiudere con due dei brani più rappresentativi di questo ottimo album, “Làgrima” di Amàlia Rodrigues e “Auséncia” (testo del già citato Torres da Silva e musiche di Alfredo Marceneiro). Non tanto per quella strana e paradossale ridondanza di cui si diceva prima (la vita e il fado, l’inferno e il paradiso), ma perché la chitarra elettrica riesce, con “parole” semplici e allo stesso tempo ricche di riferimenti, a tratteggiare un profilo sempre nuovo della narrativa di Mísia. La quale è ancora una straordinaria scoperta. 


Daniele Cestellini

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