Il K-Music Festival 2019 porta sul palco del Kings Place una delle tradizioni artistiche più preziose della Korea. Organizzato dalla Korea Pansori Preservation Association, lo spettacolo presenta agi ascoltatori il Pansori, un’antica forma d’arte spesso definita come ona-man opera inclusa, dal 2003, nella lista dei patrimoni dell’umanità UNESCO. Congiuntamente, l’associazione ha organizzato uno workshop gratuito presso la SOAS University of London per facilitare la comprensione dello spettacolo e approfondirne gli aspetti musicali.
Il Pansori discende dallo sciamanesimo e nasce come tradizione popolare: per i nobili infatti non solo era inaccettabile inscenarlo, ma anche dichiararsi apprezzatori. Veniva originariamente eseguito nelle piazze del mercato, con performance che duravano dalle 2 alle 8 ore. Per la natura del palco, la performance è sempre stata interattiva, con il cantante che comunica con il pubblico, vi assegna personaggi e ricrea con la voce i suoni del quotidiano e della natura. Nel diciannovesimo secolo, Shin Jae-Hyo portò enormi rivoluzioni che hanno reso il Pansori più apprezzabile da un pubblico vasto, che includeva la nobiltà, introducendo temi legati al confucianesimo.
Oggi rimangono cinque storie delle dodici totali, ognuna delle quali racchiude una morale travestita da poema epico.
La performance viene eseguita da un cantante/attore (sorikkum) solista accompagnato da un percussionista. Lo stile canoro è estremamente particolare e richiede anni di durissimo addestramento. Per ottenere il tono caratteristico e la resistenza necessaria per esibirsi per 8 ore filate in una piazza, i cantanti migrano sulle montagne, dove cantano incessantemente fino a rompere la propria voce. La rottura della voce è infatti un elemento necessario e fondamentale per acquisire il tono tipico del canto Pansori, che assieme ai salti di ottava e forti alterazioni dinamiche rende il Pansori una disciplina unica. Al canto (Sori) si affiancano poi gli altri elementi: la narrazione (aniri) e la gestualità (ballim). Il percussionista (gosu) accompagna il canto con un tamburo bipelle chiamato soribuk, realizzato in pino e pelle bovina. I tempi più comuni sono il 6/8 ed il 12/8, talvolta si trovano altri tempi composti, approcciati però con molta creatività e minima ripetizione.
Per il concerto l’associazione propone una selezione di frammenti da ognuna delle cinque storie.
Si comincia con “Jeobyeokga”, tratto dal romanzo classico cinese “Il Romanzo dei Tre Regni” di Luo Guanzhong. Cantato da Nam Jung-Tae, presidente dell’associazione, accompagnato da Lee Kwang-Won, il frammento presentava una scena tesa e drammatica incredibilmente interpretata dal sorikkum. Il secondo frammento ha come protagonisti Moon Hyo-Sim alla voce e Choi Kwang-Su, che suonerà per il resto della srata, al soribuk. Il brano è stavolta preso da “Simcheongga”, che dipinge il legame tra genitori e i figli. Racconta la storia di Sim Cheong, giovane donna che bada al padre cieco mendicando per raccogliere cibo sufficiente a sfamarlo dimostrandogli amore incondizionato. La gestualità è più affettuosa ma persiste la tragicità espressiva. La terza storia si fa finalmente più giocosa e rilassata, con un’interpretazione ammaliante e coinvolgente da parte di Lee Nan-Cho alla voce. “Heungboga” è una storia allegorica dove un Hueng-Bo e sua moglie ricevono una ricompensa per il loro comportamento retto e caritatevole. I due trovano una zucca magica da cui fuoriescono ininterrottamente riso e denaro. Per la prima volta si vede sul palco il lato giocoso del Pansuri, dove la sorikkum invita il pubblico a partecipare, e la
gestualità incontra il ballo. Il quarto frammento, “Chunhyangga, è una rappresentazione eufemistica di una giovane coppia di amanti che gioca alla cavallina. La scena è esilarante e perfettamente recitata da Ko Hyang-Im, la più celebre fra i cantanti del team. La serata si conclude con la performance di due canzoni della tradizione folkloristica, presentate da cinque cantanti accompagnate da una base preregistrata. Il gesto ed una danza moderata accompagnano il canto mentre le cinque interpreti si alternano a gruppi di due o tre in uno scambio di frasi.
La performance è piacevolmente gradevole e pensata per un pubblico misto: un buon range emotivo espresso nei frammenti, sottotitoli in inglese proiettati dietro il palco e una magnifica introduzione da parte di Anna Yates-Lu, ricercatrice accademica che ha tenuto il workshop il giorno prima e riassunto le peculiarità del genere la sera stessa. La peculiarità della scena è stata ulteriormente enfatizzata dagli abiti tipici, kimono variopinti con larghe gonne per le donne e tuniche per gli uomini, e le movenze enfatizzate con un ventaglio. La costante comunicazione tra percussionista e cantante ha inoltre tenuto vivo lo spirito interattivo del Pansori, invitando con successo il pubblico a partecipare con grida di approvazione e supporto.
L’evento è stato particolarmente interessante: non solo si è portato su un palco occidentale uno spettacolo tipico dall’enorme valore culturale, ma si è anche data la possibilità al pubblico di comprendere questa tradizione e conseguentemente ascoltare e partecipare attivamente alla performance.
Edoardo Marcarini
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