Carlo Aonzo Trio – Mandolitaly (Autoprodotto/Felmay, 2019)

Il mandolino inaudito. Intervista a Carlo Aonzo, che ha inciso “Mandolitaly, sorprendente viaggio in Italia. 

Mandolinista classico per formazione e attività concertistica, fondatore dell’Orchestra a pizzico ligure, il savonese Carlo Aonzo ci ha abituati a viaggiare con la mediazione del panciuto cordofono, protagonista di uno dei primi fenomeni di aggregazione di massa nell’Italia moderna. Aonzo è artista di fama internazionale, elegante e vibrante nel tocco, musicologo didatta, animato da un forte senso della ricerca e dalla volontà di sensibilizzazione che lo spingono a indagare repertori originali e a proporre pentagrammi insoliti per il suo strumento elettivo. Dallo stupore barocco ai temi popolari, dalle pagine di compositori classici alla new acoustic music, Aonzo è strumentista che fa vibrare i cuori (www.carloaonzo.com). Con il chitarrista genovese Beppe Gambetta, incide “Serenata” e “Traversata”, i cui temi erano le musiche degli emigranti italiani nelle Americhe, una sorta di tributo a chi partì con lo strumento musicale e ha così contribuito allo sviluppo della cultura popolare americana. Torna in sala in coppia con il brillante chitarrista giapponese Katsumi Nagaoka per produrre “Kaze”, disco contenente composizioni di autori celebri e meno noti. Più di recente realizza “A Mandolin Journey”, attraversamento di epoche e continenti, con  partiture da Vivaldi a Jacob Do Bandolim, passando per Puccini e Calace. Ora, è la volta di “Mandolitaly”, un insolito “viaggio” in Italia, colonna sonora delle icone musicali popular della Penisola. 
Un programma sorprendente e “inaudito” tutto da scoprire, costruito sulla determinazione di chi vuole far scoprire la bellezza e l’attualità di uno strumento straordinariamente normale. Il core trio del lavoro, oltre al virtuoso mandolinista, comprende i conterranei Lorenzo Piccone alla chitarra e Luciano Puppo al contrabbasso e al basso. In più, una consorteria di strumentisti di pregio, niente affatto comprimari ma centrali per l’essenza del sound, tra i quali Riccardo Tesi, Daniele Sepe, Antonio Marangolo e Fabio Rinaudo. Di tutto questo, ma anche dello stato dell’arte del mandolino, abbiamo parlato con l’eclettico maestro savonese.

Il tuo rapporto con il mandolino inizia a casa: insomma è una questione familiare…
Esatto. Per me è una tradizione di famiglia, in quanto mio papà è uno straordinario mandolinista e ha sempre suonato a casa. Era tradizione che suonasse la sera con gli amici quando si ritrovavano. Lui ha avuto un approccio piuttosto classico, perché ha studiato violino e chitarra classica, per cui sul mandolino era estremamente raffinato e molto portato verso la musica classica. Tuttavia aveva anche un po' di background di musica popolare, una mentalità molto aperta verso le melodie sudamericane e americane.
Da lui ho ereditato un po’ questa apertura mentale. Io e mia sorella, quando eravamo bambini, con alcuni amichetti ci siamo impuntati affinché lui ci insegnasse la musica, perché fino a quel momento lui ci aveva abilmente interessati ma non ci aveva mai spinto a studiare perché in famiglia era sempre difficile organizzarsi per trovare del tempo. Sulla spinta anche di questi amici che avevano piacere di imparare a suonare è stato stabilito che il sabato pomeriggio, a casa nostra, ci sarebbe stata una scuola di musica. Agli inizi eravamo in quattro ma presto in casa mia non si poteva più entrare perché c’erano tutte le stanze, compreso l’ingresso, occupate in quanto noi quattro che avevamo cominciato ad imparare a nostra volta insegnavamo a suonare ai nuovi arrivati. Ben presto anche con l’ausilio di mia madre si è formata una vera e propria orchestra di strumenti a pizzico, un orchestra a plettro ed è rinato il Circolo Mandolinistico “Giuseppe Verdi” di Savona, che era stato fondato nel 1913 e nel secondo dopoguerra si era sciolto. Mio padre ne faceva parte prima che il Circolo si sciogliesse e poi, nel 1978, è stato riformato da mio padre e dalla mia mamma, oltre ad altre persone che si erano aggiunte a questa ondata di musica savonese.

Un’apertura che ti fa passare agevolmente dall’orchestra della Scala al barocco, dai concerti e dischi con Beppe Gambetta a pagine di orchestre a plettro fino al disco di classici simbolo della musica italiana…
Ho raccolto questa eredità di mio padre con l’apertura mentale verso tutti i generi musicali. Mi ricordo una delle prime cose che lui mi ha trasmesso è che non esiste musica brutta o musica bella, ma esiste musica ben suonate e musica mal suonata. Non esiste un genere musicale inferiore rispetto ad un altro ma dipende da chi lo interpreta, da chi porta un messaggio con quel tipo di linguaggio che si sceglie. Ho suonato alla Scala, con Beppe Gambetta e in situazioni diversissime dalla Carnegie Hall al kebabbaro, perché mi fa piacere suonare nelle situazioni più inconsuete, anche in maniera spontanea senza dover preparare per forza un concerto o un evento. Il mio approccio cambia seguendo questo spirito, quello che mi ha insegnato mio padre: non esiste musica bella o brutta.

La Liguria e il mandolino: una storia antica e duratura…
Abbiamo un glorioso passato iniziato in epoca barocca, quando ci sono notizie di mandolinisti e concerti per mandolino, sappiamo di chitarrai che costruivano mandolini come Cristiano Nonemaker. C’è un tipo di mandolino che veniva individuato come ligure e genovese, ora in disuso, e che è quello che suonava Paganini e di cui ne parla anche Mazzini. Abbiamo gli archivi genovesi delle parrocchie che parlano di questa epopea per arrivare fino a un punto cruciale: il 1892, durante le Colombiadi, quando si tenne il primo concorso mandolinistico in assoluto al mondo, realizzato a Genova.
Un evento straordinario che ha fatto scoprire come la moda del mandolino, delle orchestre mandolinistiche e chitarristiche che era in quel momento un fenomeno di massa. Probabilmente uno dei primi fenomeni di massa dell’Italia unita. C’è stata un epopea straordinaria del mandolino in Liguria con il Circolo Mandolinistico “Giuseppe Verdi” di Savona di cui parlavo prima. Solo a Genova nello stesso momento furono contate dodici orchestre mandolinistiche diverse. Liutai, editori, grandi concertisti come Nino Catania, Ermenegildo da Novaro, Gaccetta. Ricordiamoci di Pasquale Taraffo, grandissimo chitarrista che faceva parte di questa fornace culturale che era la Liguria all’epoca. C’è ancora tantissimo da scoprire anche nel resto della Liguria, sappiamo di Sanremo, dell’estremo Levante Ligure che sono ancora da scoprire e da rivalutare.

Mandolino: strumento classico e popolare: ci sono i luoghi comuni ancora da sfatare?
In realtà non sono i luoghi comuni da sfatare, piuttosto sono da far conoscere gli altri aspetti del mandolino che sono meno noti, perché sicuramente la canzone napoletana è un patrimonio immenso ed è una verità che il mandolino ne è un grande protagonista, così come lo è nella musica folk nordamericana. Non è dunque un luogo comune da sfatare ma uno strumento da valorizzare anche quando si suona Vivaldi o Bach le loro musiche originali e quello che loro hanno pensato per strumenti a pizzico. Di fatto, Bach componeva su una spinetta che è uno strumento a pizzico, per cui la stragrande maggioranza del suo repertorio è adattissimo anche alle sonorità del mandolino o della chitarra.
Sappiamo quanto Segovia abbia puntato sul repertorio bachiano per valorizzare la chitarra. Con il mandolino va fatto lo stesso, va fatto conoscere anche l’aspetto estremamente raffinato della musica classica e della musica barocca. Bisognerebbe che i media illuminati come il vostro ponessero l’attenzione su questi aspetti meno noti. C’è tantissimo lavoro da fare perché il mandolino viene preso come esempio negativo per rappresentare una certa cultura dell’Italia ma, in realtà, è un simbolo che può unire tradizione e cultura. È uno strumento che ci rappresenta ed è visto benissimo all’estero. Credo che ci sia un lavoro importante da fare proprio qui da noi. In questa prospettiva va considerato “Mandolitaly”.

Qual è la situazione della diffusione del mandolino oggi?
Il mandolino sta vivendo l’età d’oro. Nelle nostre ricerche nel passato, l’età d’oro si indica tra ‘800 e ‘900 quando c’è stato il boom del mandolino della regina Margherita  e dell’emigrazione italiana. La stiamo superando con straordinari artisti nel mondo, veri e propri VIP della musica, come Chris Thile negli USA, il cui background è nel bluegrass: è un Mozart vivente della musica contemporanea o un altro grandissimo interprete come l’israeliano Avi Avital. A questi livelli non eravamo arrivati nel passato, facendo i debiti rapporti con le diverse epoche. Thile celebra il mandolino di tipo Gibson nato dalla cultura nordamericana, Avital il mandolino nato dalla cultura di provenienza russa, dalla scuola israeliana che si è creata un po’ anni fa.
C’è tanto fermento in Germania, dove anche loro hanno inventato un mandolino  accademico distaccandosi dalla cultura italiana. Da noi, gli unici titolati a celebrare il mandolino italiano, c’è ancora spazio per farlo conoscere, per emanciparlo e portarlo allo status tra virgolette normale o straordinario dalle molteplici possibilità  e qualità ancora nascoste a tutti. Bisogna poi citare il Giappone per la diffusione del mandolino specialmente quello di tipo italiano. La maggior parte dei nostri archivi sono stati conservati dai giapponesi appassionati della cultura italiana. 

Cosa ha da dire il Carlo Aonzo didatta sullo studio del mandolino?
A luglio, in Germania ho tenuto un corso in un’accademia musicale, dove i giovani tedeschi hanno intrapreso lo studio della musica a pizzico per mandolino. La scuola tedesca è stata sempre molto chiusa, prendendo le distanze dalla tradizione italiana troppo contaminata dal folk. Hanno inventato un nuovo tipo di mandolino con delle sonorità più rotonde, più vicine al liuto, per loro più eleganti. Però, mi hanno invitato come rappresentante della cultura italiana, c’è un po’ di apertura vogliono conoscere che cosa è stato questo glorioso passato vogliono conoscere lo stile con cui va suonato il repertorio italiano. Sullo studio del mandolino, senza vantarmi, io sono uno dei più grandi divulgatori. Mi occupo più di divulgazione capillare che di perfezionamento. Ho creato corsi che hanno lo scopo di condividere la musica.  La nostra accademia internazionale, giunta alla XIV edizione, che quest’anno si è svolta a Genova in agosto (è un corso itinerante), ha visto la partecipazione di tantissimi giovani, tra i quali una scuola di bambini Baltimora.
Altra rappresentanza è venuta da Roma, dove un professore insegna mandolino… praticamente un fuorilegge, perché teoricamente il mandolino non fa parte della lista degli strumenti insegnabili nelle scuole medie ad indirizzo musicale: una grossa anomalia che va colmata. Nei Licei musicali, in diverse regioni, è presente il mandolino. Però, non in tutti i Conservatori ci sono le cattedre di mandolino… ci arriveremo pian piano. Si potrebbe dire tanto ancora sulla didattica, di certo il primo approccio allo studio del mandolino è piuttosto semplice, se paragonato a una tromba o a un violino per i quali per ottenere un suono decente ci vuole un po’ di pratica. Invece, l’approccio sulla tastiera del mandolino è quasi immediato, è propedeutico al violino, perché ha la stessa accordatura, pe cui la manso sinistra impara le stesse cose potrà fare sul violino e viceversa. 

Che strumento suoni? 
Ho avuto la fortuna di trovare il mio strumento venticinque anni fa, costruito da Gabriele Pandini di Ferrara (Pandini n. 129-1994 con corde Dogal Strings, ndr). Scelsi tra una rosa di quattro, cinque mandolini e scelsi quello che mi piaceva di più in quel momento che è poi risultato il miglior mandolino del mondo e qui lo dico con un po' di falsa modestia. È difficile, quindi, per me passare ad un altro strumento. In realtà ci sono altri strumenti straordinari che vengono costruiti continuamente. Il mandolino ha questa particolarità, che non finisce mai di ricercarsi. Noi vediamo come la chitarra o il violino, tutti gli altri strumenti sono codificati. La chitarra ha trovato la sua forma nella chitarra elettrica o acustica o in quella classica e da lì non si muove. Il violino è quello per qualsiasi genere musicale si voglia suonare, così come il flauto o altre cose. Il mandolino è invece in continua evoluzione. Parlavamo prima del mandolino israeliano o di quello tedesco, quello sudamericano, che diventa addirittura un bandolin. Il mandolino è una ricchezza per le sue tante varianti. Io ne suono uno solo ma ne sperimento molti altri. Sono stati creati per me anche alcuni prototipi per me, per ricercare nuove possibilità sonore e di costruzione dello strumento.
Mi riferisco in particolare a Corrado Giacomelli, un genovese che ha costruito un nuovo prototipo a doppia camera di risonanza. È un mandolino moderno ma classico.

A tal proposito, qual è la situazione della liuteria in Italia?
È un campo in fermento. Ci sono tantissimi liutai straordinari in Italia ma anche nel mondo che stanno costruendo strumenti straordinari. Ho parlato prima di Corrado Giacomelli a Genova, che costruisce e sperimenta nuovi prototipi, ma ci sono anche altri che costruiscono strumenti tradizionali. Ho già citato Gabriele Pandini che ha costruito il mio mandolino e continua a costruire strumenti straordinari e ti cito a braccio Lorenzo Lippi a Milano, Federico Gabrielli a Milano, Anema e Corde a Napoli, Carlo Mazzaccara, che è napoletano ma ora vive a Modena. 

Ci abbiamo girato intorno, ora parliamo direttamente di “Mandolitaly”: cosa ti è saltato in mente di suonare temi così popolari? 
Questa cosa mi è saltata in mente, perché il primo album che abbiamo fatto con il trio “A Mandolin Journey” ha celebrato il grande repertorio mondiale, dove il mandolino è protagonista. Abbiamo fatto vedere dalla tradizione italiana a quella sudamericana e nordamericana, con l’intento divulgativo di far conoscere lo strumento sotto aspetti meno noti per il grande pubblico.
In “Mandolitaly” abbiamo scelto brani che sono le colonne sonore dell’esistenza degli italiani, siamo cresciuti con questi brani, da “Volare” alla “Melodia dell'Intervallo” o ad “Amara Terra Mia”.  Sono le icone musicali dell'Italia. Alcuni di questi brani ci rappresentano internazionalmente, li conoscono tutti e in tutto il mondo. Altri sono noti invece a chi in Italia ci è cresciuto come il tributo alla televisione con “Carosello”. Tutti ci ricordiamo di questa trasmissione, ma nessuno sa che lì suona un mandolino. La mia generazione e quella precedente sono cresciute con questi brani e li abbiamo voluti riproporre proprio per celebrare l’importanza del mandolino nella cultura di tutta l’Italia e non solo del Sud. Ovviamente l’abbiamo fatto con il nostro stile. Abbiamo riproposto una tarantella facendo suonare lo straordinario Daniele Sepe “Giant Steps” in forma di tarantella con una velocità incredibile: lui ha accettato la sfida superando addirittura John Coltrane. Abbiamo sfidato i migliori musicisti nazionali in questa impresa. Abbiamo celebrato i padri della musica mandolinista come Carlo Munier, importantissimo compositore mandolinista, che ha operato a Firenze tra fine ‘800 e i primi del ‘900, rileggendo brani che sono ovviamente sconosciuti, però mettendoli accanto a composizioni più note abbiamo fatto questa operazione culturale di riproporre soprattutto il mandolino in una versione attualizzata e moderna.

Cosa è accaduto nello studio di registrazione?
Abbiamo avuto numerosi ospiti ed è stata una cosa divertentissima realizzare questi brani contaminati e presi dalla tradizione ma modernizzati. I nostri ospiti sono stati molto affascinati dal nostro modo di voler intendere questi brani. Claudio Bellato ha creato l’arrangiamento de “La Madunina a Broadway”. Puoi immaginare quanto ci siamo divertiti ed appassionati al materiale a cui stavamo lavorando. Abbiamo avuto anche delle visite come quella di Shel Shapiro, il quale non ha partecipato al disco ma ha dato il suo contributo morale alla realizzazione del disco. Sicuramente va santificato il quarto uomo del trio, che è Alessandro Mazzitelli che nel suo studio di Toirano (SV) ha fatto un lavoro incredibile ed encomiabile di registrazione, editing, mastering di tutto il disco. Abbiamo lavorato tantissimo inframezzando i tour, le mie assenze anche prolungate, sono stato nel Sud Est Asiatico e in Australia. Siamo entrati in studio a novembre e abbiamo terminato tra la fine di aprile e maggio, quando avevamo ancora le ultime cose da fare. È stato un lavoro molto lungo, oculato ma anche appassionato.

Hai già parlato di Sepe, ma ci sono parecchi altri compagni d’avventura di diversa estrazione musicale. Come li hai scelti?
I musicisti sono stati scelti tra quelli di reciproca stima. Quindi amici, persone che ho conosciuto durante il mio viaggio musicale. Ci sono anche personaggi locali, che vivono intorno alla nostra area del Ponente Ligure come Claudio Bellato alla chitarra, Fabio Rinaudo alla cornamusa e fiati, Riccardo Zegna al pianoforte che è uno straordinario musicista jazz, Rodolfo Cervetto alla batteria. C’è Riccardo Tesi, con il quale avevo collaborato ai tempi di Beppe Gambetta e con cui ci siamo ritrovati, ed è stato veramente generoso nel mettersi a disposizione di questo progetto. Ho detto di Daniele Sepe che è un incredibile jazzista. Antonio Marangolo che è il sassofonista di Guccini e di Conte, anche lui per amicizia e stima ha preso parte al disco. Sono tutti strumentisti che ho scelto per l’aspetto umano e la straordinarietà del loro essere musicisti. Abbiamo avuto un ospite inaspettato, in quanto si trovava nella nostra zona, come Ike Stubblefield che è stato il tastierista di Ray Charles e Stevie Wonder e all'ètà di sedici anni è stato in tour in Italia. Questo è stato un po’ lo spirito con cui abbiamo invitato questi musicisti a partecipare ed arricchire “Mandolitaly”.

Vi siete posti la questione di rileggere dei classici?
Contaminare rientra nella creatività dell’artista. Abbiamo cercato di arricchire, di attualizzare il repertorio dello strumento. Lo abbiamo fatto da musicisti, con rispetto verso i compositori. E poi ricercando e ascoltando, ti accorgi che tante volte la versione originale è stata rimpiazzata da versioni successive, che sono entrate nell’immaginario collettivo. Pensa a “My Way”, ma l’elenco potrebbe continuare.

Con che spirito ci si deve mettere all’ascolto di “Mandolitaly”? 
“Mandolitaly” è la celebrazione del repertorio italiano è la colonna sonora del nostro passato e della nostra esistenza di Italiani. Può essere ascoltato come ascolto leggero, sottofondo per rievocare le melodie conosciute, ma può essere approcciato in modo più impegnato, in quanto ci sono degli arrangiamenti realizzati dal nostro trio e dagli ospiti nelle diverse tracce che hanno una grande profondità musicale. In ogni brano si possono trovare spunti e cose molto belle da gustare. Sentendo la “Madunina on Broadway” sento la celebrazione di Milano, di qualcosa che rappresenta il Nord Italia o “Ma Se Ghe Pensa” in 5/4 con Riccardo Zegna vedo la Genova moderna, proiettata verso il futuro. Così l'”Intervallo”,  fatto in maniera quasi filologica ma con sonorità più moderne, può essere pensato come una colonna sonora che rievoca il passato ma è proiettata verso il futuro. Ovviamente lo spirito di apprezzare un illustre sconosciuto: questo italiano nel mondo che è il mandolino.

Ci sono pagine di compositori di cui ti vorresti occupare o che saranno oggetti di prossima tua attenzione?
Sicuramente la mia attenzione è rivolta a Bach per la sua maniera compositiva e certamente continuerò ad occuparmi della sua opera. Ci stiamo godendo la fase di promozione di “Mandolitaly” e non sto ancora pensando ad altri progetti. Stiamo ultimando un progetto sull’aspetto classico del mandolino sempre su Bach con il chitarrista classico Rene Izquierdo, con il quale abbiamo registrato le “Suite Francesi”, le “Suite Inglesi”, “Concerto Italiano”.
Questi lavori straordinari, pensati su una spinetta e realizzati con mandolino e chitarra in una sorta di clavicembalo vivente. Nel prossimo futuro ci sarà certamente questa uscita e dovremmo finire a dicembre le registrazioni che sono andate per le lunghe in quanto lui vive a Milwaukee e insegna all’Università del Wisconsin.

Domanda marzullesca: Carlo Aonzo ha un sogno nel cassetto legato al mandolino?
Se consideriamo che il mandolino non esiste come strumento nelle scuole medie a indirizzo musicale, già questo è un sogno che venga incluso in questa lista. Sembra una cosa semplice ma nessuno ci è mai riuscito nonostante interrogazioni parlamentari, nonostante il fatto sia un’operazione a costo zero. Sarebbe un grosso passo in avanti che venisse riconosciuto come strumento tra virgolette "normale". Poi mi piacerebbe partecipare a un concerto rock o addirittura heavy metal o comunque vedere il mandolino anche in questi contesti, sono sicuro avrebbe il suo perché. Un mandolino con i capelli punk?

Porterai in tour “Mandolitaly”?
Ci sono già state presentazioni in Italia e ce ne saranno altre, previste per la prossima primavera, considerati i miei impegni con altri progetti nei prossimi mesi. A gennaio, “Mandolitaly” suonerà in alcuni festival in Australia.



Carlo Aonzo Trio – Mandolitaly (Autoprodotto/Felmay, 2019)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK 

Una possibile colonna sonora popular che racchiude la vita di generazioni di italiani, aperta da “Nel Blu dipinto di blues”, rilettura dell’epocale canzone di Modugno, puntellata dall’Hammond di Ike Stubblefield che strizza l’occhio al funky e da spruzzate in levare. Guizzano le corde del trio che, oltre al maestro Aonzo, comprende la chitarra archtop di Lorenzo Piccone e il contrabbasso e basso Fender Jazz di Luciano Puppo; l’orchestrina si muove tra felici arrangiamenti e svariati stili esecutivi, riempiendo di nuove suggestioni motivi simbolo della musica italiana ed esaltando l’espressività del panciuto strumento con piglio da esportazione. Nel segno del pianoforte jazz di Riccardo Zegna è la storica canzone genovese “Ma se ghe pensu”, suonata in un’inusitata misura quinaria. In questa sorta di excursus regionale, tra geografia e memoria, si passa, poi, dal medley di baci di “Ba Baciami Piccina/ Un bacio a mezzanotte”, set favorito dal deciso drumming di Rodolfo Cervetto, all’omaggio capitolino (“Arrivederci Roma/Roma Nun fa la stupida stasera”), dove entra il sax tenore di Antonio Marangolo. “Mazurka Sentimentale/ Marcia Eroica”, pagine di un illustre e virtuoso mandolinista napoletano-fiorentino, Carlo Munier (1859-1911), accolgono il prezioso organetto di Riccardo Tesi, precedendo “Voce ‘e notte”, canzone del primo Novecento, interpretata dai più grandi esponenti della canzone napoletana. Oltre, restando all’ombra del Vesuvio, Calace incontra un Coltrane dall’umore danzante partenopeo nella superlativa “Tarantella/”Giant steps”, complici i cambi di accordo del soprano di Daniele Sepe e le percussioni di Ismailla Mbaye.  Si danza ancora con la czarda “Da un balcone ungherese”, scritta dal sanremese Nicodemo Bruzzone (1922-1998). Si cambia registro e passo con due altre icone musicali italiche, i celebri temi “Pagliaccio”, un tradizionale che è stata la sigla del Carosello televisivo, e “Toccata in La Maggiore”, il motivo barocco dell’Intervallo, che è stato riletto e riattualizzato. Più lirico  l’Abruzzo di “Nebbi ‘a la valle” e la suite siciliana (“Trinacria Suite”) con dentro i fiati popolari di Fabio Rinaudo e il marranzano dell’unico musicista non professionista, il genovese Tommaso Bellomare. La “Madunina” assume un portamento swing nell’arrangiamento del chitarrista Claudio Bellato, mentre il congedo è portato da “Clara’s Suite” - omaggio alla mandolinista svizzera Clara Ponzoni Bersani, collaboratrice di Aonzo - che comprende il valzerino “Vulcano” di Mario Cavallari, accoppiato al tradizionale “Oh, Katia!”. 
Estro, arte e passione conducono il mandolino in territori inesplorati: inimitabile e inaudito Aonzo.



Ciro De Rosa

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