Sharq Taronalari, Samarcanda, Uzbekistan, 26-30 agosto 2019

Cerimonia inaugurale
La dodicesima edizione del festival “Sharq Taronalari” (che significa “Melodie dell’Oriente”), indossa le fastose vesti dell’ufficialità di Stato, in qualità di manifestazione centrale per le politiche culturali di scambio e cooperazione intraprese dall’Uzbekistan, straordinaria millenaria culla di civiltà, al centro della storica Via della Seta, evocata al solo pronunciare i nomi delle città di Samarcanda, Bukhara e Khiva. La promozione dell’inestimabile cultura musicale locale in una dimensione internazionale è, infatti, cruciale nella nuova fase politica di forte espansione e apertura verso il turismo internazionale. “Sharq Taronalari”, una delle più grandi manifestazioni musicali dell’Asia Centrale, che con cadenza biennale riempie il cuore dell’antica Samarcanda, è tra gli eventi di punta del Paese. Difatti, sempre ogni due anni la città di Shakhrisabz ospita il Forum Internazionale sull’Arte Maqām (lo shashmaqam uzbeko è nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’UNESCO), con il prossimo incontro fissato per il 10-15 settembre 2020. Termez, nel meridione del Paese, ai confini con l’Afghanistan, è la sede dell’ultimo arrivato: il Festival dell’Arte Bakhshi, dedicato all’oralità cantata e narrata, la cui seconda edizione si terrà dal 5 al 10 aprile 2021. C’è, infine, il Festival Internazionale della Grande Via della Seta di Margilan, nella valle di Fergana, il cui prossimo appuntamento è previsto per il 11-13 luglio 2021. Il centro antico della leggendaria, antica capitale di Amir Timur (da noi conosciuto come Tamerlano) ha ospitato i concerti di “Sharq Taronalari” (www.sharq-taronalari.uz), con il suo gioiello Registan divenuto per cinque giorni la formidabile ambientazione. 
Cerimonia Inaugurale
La piazza è dominata dal complesso di tre maestosi edifici, tra le più antiche Medrassa giunte fino a noi, caratterizzati dall’abbondanza di mosaici maiolicati di colore azzurro. Sul lato occidentale sorge la più antica, la Medressa di Ulugbek, c’è, poi, la dirimpettaia Medressa Sher Dor (“del Leone”), mentre al centro è collocata la Medressa Tilla- Kari (“Rivestita d’Oro”). Nel 2001 questo crocevia di culture è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Così, non è casuale che nella sfarzosa cerimonia d’apertura del 26 agosto, un profluvio di musiche nazionali e di danze, di sfilate di figuranti in costumi sgargianti e perfino di fuochi d’artificio finali, dopo le parole introduttive del Presidente della Repubblica uzbeka Shavkat Mirziyoyev, che ha sottolineato come il festival si configuri come piattaforma di dialogo tra culture e popoli, sia intervenuta proprio la direttrice generale dell’organizzazione delle Nazioni Unite, Audrey Azoulay, a sottolineare il rapporto tra storia, arte e musica, patrimoni universali da preservare. E, soprattutto, con l’arte musicale, linguaggio universale, che favorisce la comprensione e il dialogo interculturale tra i popoli. Alle proposte concertistiche di 32 gruppi, per un totale di oltre 340 artisti, spesso in scena in abiti tradizionali, valutati da una giuria di nove membri, scelti tra compositori e accademici internazionali, in quattro giorni si è affiancato un ciclo di interessanti conferenze sulle strategie di promozione del patrimonio immateriale e sullo stato della musica di tradizione orale e dei festival musicali con un spazio privilegiato per l’Asia Centrale, alla quale hanno partecipato molti degli oltre cento delegati internazionali (ricercatori, giornalisti, professional e direttori artistici). 
Mehrinigor Abdurashidova
Questi, con alcune migliaia di spettatori locali hanno preso parte alle tre serate musicali, premurosamente accomodati, anche se quando a salire sul palco sono stati gli artisti uzbeki, il pubblico si è infiammato, lanciandosi nelle danze. Nessun palco per gli artisti, i quali si sono presentati al centro della scena nell’incantevole Registan, esibendosi al cospetto di cotanta memorabile storia. Si è detto che si è trattato di un contest, nel quale gli artisti sono stati valutati da una giuria internazionale, la quale ha adottato criteri di originalità della performance, rapporto con i repertori tradizionali strumentali e vocali, anche resi con stile moderno, professionalità nell’esibizione, abbigliamento e azione scenica.  Ciò detto, esiste il rischio che non tutti gli artisti riescano in venti minuti a dare pienamente corpo alla propria proposta musicale. Inoltre, i gruppi plurinazionali possano risultati, in una certa misura, sfavoriti, rispetto a chi esibisce vestigia nazionali, seppure la loro qualità musicale sia elevata. Prendete il caso del Mundus Trio, che unisce il percussionista Sjahin During, la suonatrice turca di kemençe Emine Bostanci e il virtuoso irakeno del qānun Osama Abdulrasol. Il trio residente a Amsterdam si fa portatore di un emozionale crossover di struttura modale, che fonde le forme della musica mediorientale con stilemi jazz e improvvisativi. O, ancora, gli altrettanto efficaci Ugarit, sestetto che assomma tedeschi, greci e siriani, dotati di violino, flauto, ‘ūd, qānun, basso elettrico e percussioni, alle prese con un programma che fonde stilemi del maqām arabo, elementi ritmici mediterranei, classicismo occidentale e sprazzi improvvisativi. In ogni modo, dall’Argentina a Figi, dall’India alla Siberia, passando per Singapore e la Corea, e naturalmente per tutte le Repubbliche dell’Asia Centrale fino al subcontinente indiano, il Festival ha offerto un carnet concertistico di ottimo livello, 
Fratelli Kanybekov
con un’unica caduta di stile, proprio in apertura il giorno 27, quando la peruviana Luz Katharine è parsa decisamente a disagio sulla scena. Per restare in America Latina, sicuramente convincente l’esibizione dell’argentina Sandra Rehder, il cui trio (voce, chitarra e bandoneon) ha proposto un repertorio che spaziava tra i classici del tango, da Triolo a Piazzolla. Nel novero di artisti occidentali, ci hanno affascinato gli spagnoli Viguëla per il loro vigoroso incrociare voci potenti, corde e percussioni: il gruppo si fa interprete del patrimonio tradizionale delle Castiglie, spesso trascurato dall’elevata visibilità del flamenco al di fuori dei confini iberici. È stato un piacere ascoltare la voce tenorile di Miguel Bandeirinha, vibrante cantante di fado di Porto, talento molto versatile, dal portamento teatrale, che si è imposto con un articolato programma, andando ben oltre la canzone urbana portoghese per aprirsi alla dimensione strumentale, sostenuta soprattutto dagli interventi di chitarra portoghese (André Tavares Mariano), chitarra (Joana Almeida), backing vocal e percussioni (Vanessa Sassine). Ha riscosso ampi consensi e ricevuto uno dei tre Terzi Premi (ai quali è attribuito un assegno da 2000 dollari) il duo estone Ruut, Katariina Kivi e Ann-Lisett Rebane, fanciulle unite dalle armonizzazioni vocali e dall’unico, condiviso kannel, che suonano simultaneamente come strumento melodico, armonico e percussivo. Il repertorio rom Olah è stato al centro dell’esibizione virtuosistica degli ungheresi Romengo, capitanati dalla notevole vocalist Mónika Lakatos. A proposito di canto, dobbiamo qui parlare anche del quartetto statunitense Henhouse Prowlers, le loro armonizzazioni vocali sono squisite: eppure sentire echeggiare note bluegrass di fronte alle meraviglie architettoniche dell’antica città timuride ha prodotto un vago effetto straniante. 
Haray Ladies
Tra i più giovani partecipanti ci sono piaciute le Haray Ladies, gruppo iraniano, formato da sei strumentiste e cantanti (da appuntarsi la voce della lead singer Nataran Abulhassan Zadeh Quchani), portatrici delle ricchezza poetica e musicale del multiculturale mondo sonoro persiano. Ammirazione per gli abiti ma anche per il sincronismo di gesti, voci e percussioni evidenziato dalle coreane della compagnia EULSSU, mentre una vera e propria scoperta è stata quella della giovane cantante e suonatrice di arpa birmana Aye Su Kyaw. Passando ai premi principali (perché alcuni riconoscimenti minori sono andati a coreani, statunitensi, estoni, iraniane e uzbeki), sempre al terzo posto si è piazzato il giovane duo uzbeko proveniente dalle regione di Fergana, composto da Azizjon Abduzimov e Ulugbek Elmurodzoda, entrambi musicisti di scuola classica. Notevole l’ensemble tagiko, Badakhshan, impreziosito dal canto sublime di Soheba Davlatshoeva, e il trio russo Ayarkhaan: tre donne della Yakutia, che suonano virtuosisticamente lo scacciapensieri, percuotono tamburi sciamanici e usano diverse tecniche vocali (altro che loop station e campionatori!) per riproporre magistralmente suoni dell’ambiente naturale siberiano. Sempre tra i vincitori dei maggiori Award, al secondo posto (per loro è stato staccato un assegno di 3500 dollari), a pari merito con il quintetto turkmeno Archabil, si sono piazzate le Hatan, un ensemble mongolo di residenza tedesca, il cui nome significa “nobildonna” o “regina”, che combina magnificamente la viola morin khoor, l‘arpa-cetra yatga, i liuti e le percussioni, producendosi in notevoli espressioni canore: dal ‘canto lungo’ a diverse tecniche di canto khoomei. 
Hatan Ensemble
Il quartetto femminile si è mostrato forte sia nelle individualità che nel suono d’insieme, abbinando arrangiamenti composti a passaggi più innovativi che giocano sugli apporti improvvisativi, con un’espressività in grado di passare agilmente da stentoreo lirismo a sequenze meditative e riflessive. Di grande rilievo il live act dell’azero Parviz Qasimov, che si è stagliato con il suo canto elegante, accompagnato da kamancheh, tar e tamburo a cornice, conquistando il Primo Premio (5000 dollari), condiviso con gli acrobatici (e un po’ clowneschi) fratelli kirghisi Kanybekov, giovanissimi virtuosi del liuto komuz, dotati di enorme tecnica strumentale. A parere di chi scrive, il set dei musicisti azeri è stato un top show del festival, così come di grande raffinatezza è stato il set dell’eccellente trio di Kolkata, Debapriya al canto e all’arpa surmandal, Samanwaya al sitar e Madhurya alle tabla. I primi due sono al momento tra i migliori giovani musicisti indiani, entrambi allievi di maestri eccelsi della gharana di Benares. I tre musicisti classici indostani hanno presentato una combinazione di raga ( “Hansadhwani” in 5 ½ di derivazione carnatica ma molto diffuso nel stile dell’India settentrionale e “Kalavati” in 16 battute) e avrebbero meritato di salire sui gradini più alti per qualità tecnica e intensità interpretativa. Si è segnalato anche l’ensemble afgano Haft Goh, guidato dal suonatore di rubab Faiz Sakhi, un sestetto (rubab, flauto, tabla, tanbur, harmonium, zerbaghali) selezionato tra docenti e studenti della Facoltà di Belle Arti e Musica dell’Università di Kabul. Pure in evidenza, il gruppo armeno di Arsen Petrosyan (classe 1994), giovane virtuoso dell’oboe duduk, che spinge la sua musica oltre i confini del lessico tradizionale, e il pakistano Akbar Khamiso Khan, figlio d’arte 
Badakhshan
(suo padre è stato il leggendario Khamiso Khan), egli stesso un rinomato ustad del doppio flauto alghoza, strumento composto da una canna melodica e una di bordone, suonato con la respirazione circolare nella musica tradizionale di area Sindh, Baluci, Punjab e Rajasthan. Fate la cosa giusta: cercate i loro materiali in Rete! Nel lotto più esotico, abbiamo visto e ascoltato percussioni e canti rituali figiani proposti dal duo Vou, la cui line-up ridotta rispetto al consueto non ha permesso di accogliere con pienezza l’ espressività musicale e coreutica isolana. Meno incisivi ci sono apparsi il quartetto di Singapore yIN Harmony, ancora alla ricerca di una stella polare. Coreografici, invece, con le loro lunghe cetre kokle i lettoni Balti. Più interessante la proposta folk del sestetto kazako Babalar Sazy, eccellenti solisti molto rinomati in patria, mentre senza impennate sono apparsi il classicismo orchestrale degli egiziani Takht Sharqi e quello dell’ensemble cinese. Della pattuglia uzbeka, non hanno raggiunto alte vette l’ensemble Naqsh e la coppia di voce e tar, Botirjon e Kamronbeck, due più che promettenti studenti nell’ambito dell’espressività del maqom.  Il Gran Prix dello “Sharq Taronalari” 2019, consistente, oltre che nel prestigioso riconoscimento, nell’assegno di ben 10.000 dollari, è stato conferito al giovane talento uzbeko Mehrinigor Abdurashidova, diciannovenne suonatrice di dutar, il liuto a manico lungo munito di due corde. La strumentista proviene da una famiglia di musicisti tradizionali ed è studentessa del Conservatorio di Stato. Mehrinigor è stata accompagnata dal tamburo a cornice doyra di Nuriddin Sunnatullaev e da Murodjon Aliev, che suonava le castagnette kayrok, che non sono altro che due pietre levigate. 
Viguela
Uno dei giudici del Festival, l’uzbeka Oydin Abudallayeva, compositrice e accademica al vertice del Dipartimento di Composizione e Strumento al Conservatorio di Stato, così ha commentato il riconoscimento attribuito a  Mehrinigor, che considera una delle sue studentesse più dotate «La sua è stata un’esibizione espressa con grande dignità e attenta nell’esecuzione di un programma di due lunghi brani, imperniati su materiali suonati negli stili di Fergana-Tashkent e di Khorezm. La performance è stata di alta qualità. Mehrinigor ben comprende l’immagine artistica e semantica della musica uzbeka, il tessuto musicale era perfettamente pulito. Inoltre, nella sua esibizione ha inserito elementi di danza. Considerando che la musica nazionale uzbeka comprende anche l’arte della danza, questa sua articolazione è del tutto riuscita. Chiudendo gli occhi per un momento, mi è sembrato che al posto Mehrinigor ci fosse uno strumentista. Aprendoli, mi sono reso conto del suo carattere coraggioso, il che è un fatto importante per una persona creativa». Un successo ricevuto con tanta commozione dalla giovane strumentista: senz’altro vibrante simbolo del passaggio generazionale di una nobile tradizione strumentale. 



Ciro De Rosa

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