Non è casuale che il The Liberation Project sia stato concepito in Sudafrica, terra che si è affrancata dall’apartheid (ma non dalla corruzione politica e dalle diseguaglianze sociali frutto dell’asservimento al capitale globale), da Dan Chiorboli, ferrarese cresciuto nella magnifica multiculturale Durban, nel Sudafrica pre-liberazione, e dal compositore Neill Solomon. Dalla memoria della sua famiglia partigiana e dall’esperienza nell’Africa australe Chiorboli ha concretizzato un progetto musicale che disegna una sorta di geometria di lotta libertaria nella cui figura ci sono Sud Africa, Italia e la Cuba rivoluzionaria. In origine avevano pensato a un disco tributo ai canti di libertà, poi i contributi sono lievitati in un concept album triplo (con tre diversi stati d’animo: celebration, introspection e inspiration), che ha imposto diciotto mesi di lavorazione, raggiungendo i circa centoquaranta artisti partecipanti provenienti da diciotto paesi, che hanno suonato nei trentasette brani di “Songs That Made Us Free” (Just Music/Sony ATV 2018), dischi che fondono global rock (magari un po’ troppo sul piano ritmico, ma qui è questione di gusto personale) e world music a segnare i venticinque anni di democrazia in Sud Africa.
Tra le figure iconiche che sono entrate nella mega-band, ci sono il cubano Juan De Marcos, figura cardine del Buena Vista Social Club, Phil Manzanera, chitarrista che ha fatto la storia del rock, Cyril Neville dei fratelloni Neville neworleansiani, DJ Miki the Dolphin, Sipho Hotstix Mabuse, il suonatore di kora guienano N’Faly Kouyate degli Afro Celts Sound System e gli italiani Roberto Formignani (già con The Bluesmen) e il cantante e autore Cisco Belotti.
Si tratta di un organico ad assetto variabile con un gruppo base e un novero di artisti che si aggiungono di volta in volta. Diventato uno spettacolo live, denominato “Friendship and Solidarity Tour” e sostenuto dalle istituzioni sudafricane e cubane, in Italia ha toccato anche la città di Napoli come anteprima del settembrino Festival Ethnos. Difatti, si è trattato di una prestazione tra luci e ombre, per via del fatto che i due pezzi grossi Manzanera e Kouyate sono entrati in scena solo nella seconda parte del concerto, facendolo senz’altro decollare, apportando un valore aggiunto strumentale, a partire da “Bala De Plata”. Prima, tra repertori resistenziali di ieri e di oggi (“Bella Ciao” e “100 Passi”), un omaggio a Mandela con il classicissimo “Free Nelson Mandela” di Jerry Dammers e con l’incipit del concerto dato dall’inno sudafricano (presente l’Ambasciatore della Repubblica Sud Africana), il concerto si era risolto in un’atmosfera musicale gradevole e festaiola ma priva di impennate, il cui segno più significativo è stato impresso dalla presenza di giovani musicisti sudafricani alla sezione ritmica, tastiera, voce e e basso (Tebogo Sedumedi, Peter Djamba, Kabelo Seleke e Lindi Ngonelo). Ad esempio, tra le tante song del disco, ci sarebbe piaciuto ascoltare “The Partisan” di Leonard Cohen o altri brani di umore sudafricano, perché se è vero che una citazione di “Pata Pata”, “Guantanamera” e “Chan Chan” (suonata come bis) sono evergreen nella cui melodia è inevitabile crogiolarsi, dall’altro l’effetto sing-a-long da villaggio turistico radical chic è sempre in agguato. Ad ogni modo, ben venga la riproposta di canzoni che hanno segnato le lotte di liberazione e che sono ancora di grande ispirazione, oltre che memoria viva da preservare.
Si è detto che il concerto nel cortile del Maschio Angioino, è stata l’anteprima del Festival Ethnos, manifestazione storica, giunta quasi al quarto di secolo, diretta dal regista teatrale e promoter Gigi Di Luca, che si svolgerà dal 13 al 29 settembre, per tre intensi fine settimana, in diverse località del napoletano (San Giorgio a Cremano, Torre Annunziata, Boscotrecase, Massa Lubrense, Bacoli, Cercola, Volla e Grumo Nevano). Il Festival sarà aperto dal cantautore angolano Bonga , un grande nome della canzone d’autore africana, seppure «la sua storia musicale non ha avuto grande risonanza in Italia nonostante la sua bravura», rileva il direttore artistico Gigi Di Luca, per il quale la XXIV edizione di Ethnos è all’insegna dell’ «experience, con meno visite guidate nei siti di quanto è stato in passato, più esperienze a contatto con la realtà delle vigne e di altri luoghi di cultura materiale, in cui le attività saranno l’accompagnate dalla musica. Nella fase ideativa, mi chiedo sempre come collocare un artista rispetto ai luoghi, il che è una cosa complessa e difficile. Tuttavia, il nostro è un festival che racconta… In passato, per la presenza di grandissimi artisti era più facile articolare un cartellone, oggi è più difficile, non solo perché tanti grandi nomi non ci sono più, ma anche perché non sono più disponibili a settembre, periodo in cui da anni il festival si è dovuto spostare». Qui sorge il problema, il ritardo della pubblicazione delle graduatorie pubbliche – il festival è finanziato con Fondi POR della Regione Campania e non si mai dotato di un’autonomia economica, come invece avrebbe dovuto cercare di fare in oltre due decenni, ndr – non riusciamo a inserirci all’interno di tour europei che si svolgono, soprattutto, a luglio e agosto».
Ciò naturalmente riduce la portata di un potenziale pubblico che potrebbe fare una scelta di turismo culturale e musicale, come accade altrove per altri festival. Così, Di Luca: «Uno dei crucci è che non si riesce a fare sistema e a movimentare sostanziali flussi turistici. Però, è anche il miracolo di questo festival che intorno a sé crea un’attesa, un’aspettativa per il pubblico che ci segue da sempre e che sa che la qualità sarà sempre mantenuta. L’essenza del festival è quella di una continua ricerca». In attesa del programma definitivo, tra i concerti da non perdere ci saranno il vibrante trio franco-mongolo-bulgaro Violons Barbares (ascoltate il loro recente “Wolf’s Cry”) e un’abituale frequentatrice di Ethnos, Teresa De Sio, con il suo nuovo interessante progetto discografico “Puro Desiderio”, a chiudere la manifestazione. Per le informazioni www.ethnosfestival.com e, naturalmente, come si dice in questi casi: Save the date!
Ciro De Rosa
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