Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale, Loano (Sv), 22 – 26 luglio 2019

Raffaello Simeoni (foto di Martin Cervelli)
Giunto alla quindicesima edizione, il Premio Nazionale Loano accentua il suo tratto di originalità con “LinguaMadre”, produzione di alto profilo culturale e musicale, laddove la sua unicità nel promuovere le produzioni di musica di ambito tradizionale, attraverso la votazione di una autorevole giuria di giornalisti di settore e generalisti e di musicologi, è un dato acquisito, a tal punto che la manifestazione della cittadina savonese non solo è centrale nel dare lustro al movimento folk & trad italiano ma è ormai evento tra i più significativi nel panorama musicale italiano. Com’è giusto che sia, passo dopo passo, il Premio ha superato la prospettiva essenzialista della “tradizione”, sovente riprodotta nell’uso pubblico della cultura popolare, favorendo processi creativi e consapevoli. Tale visione è stata implementata dalla rinnovata direzione artistica del musicologo Jacopo Tomatis, il quale ha preso le redini della rassegna organizzata dalla Compagnia dei Curiosi, finanziata dall’amministrazione comunale di Loano, dalla Fondazione De Mari e che, quest’anno, ha ricevuto un contributo da Nuovo Imaie. Il palinsesto del Festival ha messo insieme concerti serali e incontri pomeridiani in diversi luoghi della cittadina (due siti sul lungomare, il Chiostro di Sant’Agostino, Piazza Italia) e per la prima volta il giorno 24 una camminata ha portato il pubblico al Rifugio “Pian delle Bosse” (quota 841 metri), dove il rinomato piper Fabio Rinaudo (Birkin Tree, Liguriani e altro ancora) ha presentato un agile quanto significativo percorso storico-musicale sulle cornamuse, suonando temi medievali, barocchi e irlandesi, cui è seguito un succulento aperitivo, curato dai gestori del Rifugio. 
Banda della Ricetta (foto di Ciro De Rosa)
La manifestazione era stata aperta lunedì 22 dal concerto dei Tre Martelli, premio alla carriera 2019. Il gruppo alessandrino in formazione allargata, composta da tre cantanti dalle sfumature vocali diverse e complementari, violino, ghironda, basso, organetto diatonico, cornamuse, flauti e percussioni, dopo aver ripercorso la propria storia ultra-quarantennale nell’incontro pomeridiano coordinato dallo scrivente, si è prodotto in un set di calore e finezza, segnato dall’attenzione per le fonti e con l’intento di tramandare la cultura popolare musicale piemontese di canti e danze. Il fitto programma di martedì 23 ha portato Erasmo Treglia, fondatore e titolare dell’etichetta Finisterre, a discutere di management e di festival world sul palchetto degli incontri pomeridiani, per poi ricevere il Premio alla Realtà Culturale proprio per il suo lavoro con Finisterre, prima dei concerti sulla promenade. Lì, la Banda della Ricetta, lo sfiziosissimo quartetto (canto, organetto, contrabbasso, percussioni, clarinetti), guidato da Clara Graziano, ha cantato le delizie del cibo in salsa folk-jazz. Clou della giornata, Raffaello Simeoni ha raccolto il Premio per il suo “Orfeo Incantastorie”, migliore album assoluto, pubblicato nel 2018. Soprattutto, il compositore, cantante e pluristrumentista ha dominato la serata con un recital vibrante, dal sapore antico e contemporaneo, che dalla Sabina si protende verso il nord-ovest Atlantico. 
Mauro Palmas (foto di Ciro De Rosa)
Con il musicista reatino (organetto, cornamusa, plettri, flauti) hanno suonato il raffinato chitarrista Cristiano Califano, il batterista Carlo Ferretti, il costruttore e suonatore di ghironda, viella e nyckelharpa Giordano Ceccotti e il dotato fiatista Marco Iamele (zampogna, flauti pastorali, ciaramella). Mercoledì 25 ci si è mossi in direzione di “Palma de Sols” nel raccolto Chiostro di Sant’Agostino, dove Mauro Palmas (terzo classificato nella graduatoria degli album del Premio) ha allestito il suo concerto, che attraversa geografie del tempo per raccontare con eleganza e raffinatezza storie di genti e di musiche migranti, mettendo al centro della sua partitura la figura di Sant’Antiaco, il santo scuro di pelle, arrivato nel Sulcis dalla sponda sud del Mediterraneo. A incorniciare la mandola e il liuto cantabile del maestro sardo sono stati il piano e l’organo di Alessandro Foresti, il basso di Silvano Lobina, la batteria di Andrea Ruggeri, il clarinetto e il sax di Marco Argiolas, la voce magnetica (canto e recitativo) di Simonetta Soro, con la partecipazione di Fabio Rinaudo (cornamusa e uilleann pipes). Da due anni Loano creato il Premio Giovani, riconoscimento andato questa volta a “Biserta e altre storie”, realizzato dal Duo Bottasso con Simone Sims Longo. Il trio di violino, tromba, organetto ed elettronica ha aperto la serata di giovedì con un set di musiche irregolari e avvolgenti, fortemente innovative (e a tratti cerebrali) nel fare incontrare
Lingua Madre (foto di Martin Cervelli)
reminiscenze folk, squarci jazz, suoni ambientali e rimandi di matrice mediorientale. La serata è proseguita con la premiere di ‘LinguaMadre’ il progetto che ha visto gli artisti in residenza Simone e Nicolò Bottasso, Elsa Martin e Davide Ambrogio dare voce e musica ai testi provenienti dal “Canzoniere Italiano”, l’antologia di poesia popolare prodotta nel 1955 da Pier Paolo Pasolini. Si è trattato di una produzione originale, nata da un’idea del giornalista e studioso della canzone d’autore Enrico de Angelis, che l’ha definita un “omaggio affettivo” a Pasolini. Diversamente da un passato in cui dispendiosi progetti allineavano artisti di diversa estrazione, risolvendosi nel “tutto in una notte” e nella non riproducibilità, dovuta a ovvi limiti di risorse e di incastro di impegni artistici, la nuova linea artistica di Loano intende tracciare segni, creare network, diventare generatore culturale mediante produzioni che possano restare in piedi anche dopo il Festival e circuitare nella Penisola sotto l’egida del Premio Loano. Cosicché ‘LinguaMadre’ nasce con la collaborazione del “Premio Parodi” (andrà quindi in scena a Cagliari il prossimo ottobre) e di “Mare e Miniere” (di cui sarà ospite nella stagione concertistica del Festival sulcitano). Con il suo voluminoso “Canzoniere italiano”, Pasolini si immergeva nelle molte lingue della poesia popolare italiana, in quello snodo epocale per il nostro Paese, quando si avviava la lenta erosione del dialetto come lingua madre di una consistente parte della popolazione. 
LinguaMadre (foto di Martin Cervelli)
Pasolini raccolse e pubblicò un corpus di quasi ottocento testi, organizzati in ordine geografico, da nord a sud, con un’appendice sui canti militari e sui canti infantili. Il suo lavoro mostrava dei limiti oggettivi e non fu esente da critiche da parte degli studiosi. Tuttavia, il “Canzoniere” pasoliniano ha ispirato generazioni di poeti e musicisti. Inoltre, se è vero, da un lato, che a Pasolini interessava la musicalità della parola dialettale, dall’altro sulla musica di questi componimenti il poeta e intellettuale friulano diceva poco non essendo esperto (pur cimentandosi, in seguito, con la composizione di canzoni per Laura Betti). Da qui l’idea di intessere il filo tematico della “madre”, figura centrale per Pasolini ma anche di molti motivi tradizionali, per (ri-)dare suono e voce alle poesie raccolte da Pasolini, rilette con il senso estetico e le procedure sonore di chi oggi suona e interpreta in maniera creativa musiche di tradizione orale. Sull’opera del poeta friulano sono intervenuti in un incontro pomeridiano Enrico de Angelis e l’editore Domenico Ferraro i quali, da prospettive diverse, hanno messo l’accento sulle motivazioni di Pasolini, il quale presentò la sua raccolta introducendola con un suo denso lungo saggio. Sono state rimarcate la sua lungimiranza e la capacità di anticipare l’interesse per la cultura popolare ma anche le reazioni non benevoli e perfino eccessive e ingiuste nei confronti del “dilettantismo” etnomusicologico dell’intellettuale, arrivate anche da un padre fondatore degli studi di etnomusicologia italiana come Diego Carpitella. 
LinguaMadre (foto di Martin Cervelli)
Venendo alla produzione allestita dai quattro giovani artisti di acendenza folk ma frequentatori di altri mondi sonori, si è trattato di una scelta tanto coraggiosa da parte della direzione artistica quanto pienamente condivisibile, per uscire dalle secche manieristiche folk revivalistiche. I quattro “giovani turchi” del nuovo folk hanno impresso un trattamento che lascia il segno per idee, gusto ed emozioni prodotte. Gli artisti in residenza hanno lavorato prima a distanza per mesi, scambiandosi idee e materiali. A Loano, poi, sono stati collocati in un luogo secluso, dove hanno messo a punto il repertorio. Del Duo Bottasso e del loro sentire contemporaneo, si è già detto: soprattutto Simone è un asso dell’organetto, ammirato anche da maestri riconosciuti, primo fra tutti Riccardo Tesi (anche lui tra il pubblico di un festival che è sempre più luogo da frequentare), la friulana Elsa Martìn è voce duttile, che sa dosare il fraseggio e si combina assai bene con la grana “antica” del polistrumentista calabrese Davide Ambrogio (chitarra, lira calabrese, zampogna a paro). Il classico recitativo buttittiano su “popolo e lingua”, messo come incipit, ha fatto presa non soltanto per il timbro di Ambrogio ma perché proposto per intero, aprendo la strada al senso profondo del progetto “LinguaMadre”. La storia di “Donna Candia” è stato il primo canto proposto per due voci collocate su un ostinato pizzicato del violino; con le armonizzazioni di organetto e di chitarra acustica che sviluppano il brano e accompagnano il crescendo canoro espresso in versi in lingua nazionale. Svettano “Cosmogonia”, per il colore e l’emissione delle parti vocali che inanellano indovinelli siciliani, e “Ka di ka”, un inusitato canto arbëreshë molisano di Ururi, in cui si invoca il ritorno nella propria terra con il flauto di Simone Bottasso che svolazza con gusto prog. 
ExtraLiscio (foto di Ciro De Rosa)
Dal repertorio resistenziale i quattro propongono “Boves” (ricordiamo che Pasolini dedica il volume a suo fratello Guido, caduto nel 1945 sui Monti della Venezia Giulia), un canto in cui i musicisti hanno proposto una variazione sulla celebre melodia. A seguire, un insieme di ninna nanne venete, scelte dalla Martìn per un sentire emotivo richiamato dalle sue origine familiari venete. Altro vertice dell’esibizione è “Tragùda Tragùda”, potente canto grecanico con una sonata per zampogna finale. Poi arriva la ballata piemontese “Sur capitani”, saldata al tema fanciullesco de “La fava”, in cui Simone Bottasso si fa notare per un altro bell’arrangiamento. Infine, il celebre canto friulano “Biele Stele” è il bis che ha suggellato il convincente debutto di “LinguaMadre”. Impresa musicale che ha evocato più Berio che l’approccio folk revivalistico dal fiato corto, caratterizzata da voci raccolte e impennate, organetto avvolgente e impaziente, chitarra minimale e tersa, fraseggi puntuali di violino, innesti lineari di tromba e ostinati di lira. Un progetto destinato a crescere con l’interazione tra i quattro artisti, l’elaborazione di altro materiale tratto dal “Canzoniere” e –perché no? – magari con inserti strumentali, anche a carattere danzante, sempre riletti alla maniera di artisti adusi alla scrittura, che potrebbero servire a fare da contrappunto con una vena popolare e verace. La conclusione del programma di Loano 2019, dal provocatorio ma vincente titolo “Da Pasolini al Liscio”, ha visto la felice presenza di Riccarda Casadei (figlia di Secondo) che, insieme a Claudio Carboni di Banditaliana (inizi come membro di banda e orchestrale di balera, protagonista, poi, di “Un Ballo Liscio”, “Crinali” con Tesi e di titolare altri lavori sul tema del liscio), ha raccontato del ruolo di Secondo Casadei, come padre nobile di quell’interessante fenomeno popular tutto nostrano che è la musica da ballo romagnola. Infine, alla sera in Piazza Italia, festa popolare con lezione-ripasso di ballo liscio (a cura di Annalisa Scarsellini) e con il suono corroborante quanto divertentissimo degli Extraliscio. Loano si conferma capitale del folk italiano, luogo di riflessione sullo stato dell’arte della musica tradizionale in Italia e cantiere di progettualità culturale. Dunque, tenetevi liberi per luglio 2020! 


Ciro De Rosa

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