L’edizione 2019 del festival Moon in June - che si è svolta all’Isola Maggiore del lago Trasimeno dal 21 al 23 giugno - ha raggiunto il suo culmine l’ultimo tardo pomeriggio, quando si è esibita Carmen Consoli in uno scenario a dir poco da favola. C’è un grande prato che degrada sul lago, l’acqua piatta e coloratissima, solcata con delicatezza da alcune barche a vela che fendono i colori del cielo, un palco “aperto”, leggero, quasi trasparente, che si solleva appena sopra gli spettatori e lascia vedere lo sfondo che incornicia l’artista che suona, il sole che lentamente si ritira dietro la collina in terra ferma. Come ormai è risaputo questo appuntamento si configura come un evento multiforme, più denso di un concerto o di una serie di performance. Perché tutto si esprime con il tramonto, cioè in quel lasso di tempo in cui i riflessi del sole rimbalzano all’infinito sull’acqua e sulle rive del lago. E il fatto stesso che questo fenomeno quotidiano e normale risalti e confluisca nelle note di un musicista e, negli stessi momenti, negli occhi degli spettatori,
aumenta il valore di tutto: esalta la musica, pone tutti in una condizione di permeabilità straordinaria, grazie alla quale lo stupore si impadronisce di tutti, e tutti assorbono il meglio da tutto. Insomma è come se, invece di assistere a un concerto, si partecipasse a un rito collettivo, che si svolge al cospetto di una specie di totem folgorante, irraggiungibile, enorme. Un rito che si configura piano piano, cioè dentro un tempo cadenzato solo dalla parabola del sole e dalla crescente intensità del sentimento di condivisione e della performance dell’artista. Carmen è stata investita fin da subito da questo insieme di elementi crepuscolari ma vividi, e ha rimandato al pubblico ogni particella di quel sentimento che spruzza con intensità sempre crescente dai suoi brani. Si è stagliata sul palco-tramonto del Trasimeno con la sua chitarra e un chitarrista elettrico, a cui poi si sono aggiunti violino e viola da gamba. Si è adeguata alla scena con una profonda delicatezza nelle esecuzioni, interagendo con il pubblico e spaziando nel suo repertorio vecchio e nuovo,
fino a “trovare” un grande epilogo in “Stranizza d’amuri” di Battiato. Come si prevedeva il luogo ha dato il meglio, confermando ancora una volta quanto fu geniale l’idea di Sergio Piazzoli, promoter musicale perugino, scomparso prematuramente pochi anni fa. Il quale, impregnato di una sensibilità profonda e totale, percepì l’importanza di una fusione così straordinaria (la luce, il colore, il suono, la musica), nel quadro della quale ogni elemento sorregge e migliora l’altro, definendo i contorni (infiniti, intoccabili) di uno spazio incantato, sospeso, bello. Il programma di questi tre giorni ha lasciato molto spazio alle novità del panorama nazionale, riconoscendo però anche l’importanza di una valorizzazione della storia e delle esperienze musicali umbre. In questo quadro, nella prima giornata di festival è stato consegnato il Premio Sergio Piazzoli a L’Estate di San Martino, band storica umbra, formatasi negli anni settanta e attiva nel circuito del rock-progressive nazionale, che si è esibita con Goffredo Degli Esposti e Gabriele Russo dei Micrologus.
È poi seguita l’esibizione di Anna Lince, la quale ha presentato lo spettacolo “Singing the Music of Carla Bley”, dedicato al repertorio della pianista e compositrice americana, con una ricca formazione composta da fiati (tromba, flicorno, clarinetto, sassofono, trombone), pianoforte, contrabbasso e batteria. Il 23 giugno sono stati proposti due spettacoli molto diversi tra loro. Il primo è stato il reading-concerto di Maria Antonietta, basato sul libro di racconti e poesie “Sette ragazze imperdonabili” che la cantautrice marchigiana ha recentemente publicato per Rizzoli. Il secondo spettacolo della serata centrale del festival è stato quello dei BowLand, il trio iraniano di base in Italia di cui il pubblico televisivo conosce stile e musica, e di cui noi riconosciamo il talento, spinto dentro una prospettiva certamente interessante. In conclusione, facciamo i migliori auguri a “Moon in June” (e alla Fondazione Sergio Per La Musica che lo organizza), unendoci al consenso unanime che tutti gli osservatori hanno accordato alla rassegna, certi che diventerà (in parte già lo è) uno degli appuntamenti estivi più importanti del panorama concertistico italiano.
Daniele Cestellini
Foto di Elena Laudani
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