João Gilberto è stato sepolto nel cimitero Parque da Colina, a Niterói, lunedì 8 luglio, dopo che un enorme flusso di persone ha visitato la camera ardente nel Teatro Municipale di Rio, scenario di uno dei suoi ultimi concerti nel 2008. Assistito dall’ultima moglie, Maria do Céu, il musicista brasiliano si era spento il 6 luglio, nella sua casa in rua Carlos Góis nel quartiere di Leblon, nella zona sud di Rio de Janeiro. Era nato a Juazeiro, nello stato di Bahia, il 10 giugno 1931 e il governo dello stato ha dichiarato tre giornate di lutto per la sua morte.
Adriana Calcanhotto e Arnaldo Antunes hanno sintetizzato il momento di lutto e la cifra stilistica di João Gilberto commentando, la prima, «falem baixo, por favor» (parlate piano, per favore) e, il secondo, «Quando uma só pessoa/ o silêncio aperfeiçoa/ toda a multidão/ escuta o coração/ e se torna civilização» (Quando una persona sola perfeziona il silenzio, la folla intera ascolta il cuore e diviene civiltà).
Quasi sessant’anni prima, nel 1959, il primo album di João Gilberto “Chega de saudade” aveva segnato uno spartiacque nella musica brasiliana, ben riassunto dalle parole di Jobim nel retro dell’LP:
«In pochissimo tempo, João Gilberto ha influenzato un’intera generazione di arrangiatori, chitarristi, musicisti e cantanti». Tutto in João Gilberto parlava di misura e di attenzione per la qualità: l’intero album non supera i 23 minuti, ciascuno dei dodici brani non eccede i due minuti e mezzo, volentieri dura meno di due minuti, con le percussioni precise e discrete di Milton Banana e gli arrangiamenti curati da Jobim che mettono in evidenza il preciso meccanismo ritmico prodotto dalla voce sussurrata e dalla chitarra, volentieri sincopata, di João Gilberto. Per il giornalista musicale Mauro Ferreira «João ha fatto da solo la rivoluzione, minimizzando la cadenza del samba sulle corde della chitarra – una ritmica che ha depurato in modo paranoico e infaticabile. Una rivoluzione resa completa dalla scelta del considerare la voce nell’arrangiamento, non permettendo che il cantante risultasse più altro dei musicisti: è nata così una sonorità lieve, armoniosa, originale, raffinata. Unica». A quell’album hanno fatto seguito “O amor, o sorriso e a flor” (1960) e “João Gilberto” (1961), definiti la “santissima trinità” della discografia brasiliana.
Ruy Castro, l’autore più conosciuto sulla storia della bossa nova ne sottolinea la «monumentale conoscenza del passato musicale brasiliano, del samba. È questo che gli permise di creare la bossa nova. João Gilberto sapeva tutto, sapeva a memoria tutto quel che era importante nella musica brasiliana dagli anni Trenta agli anni Sessanta».
Il 21 novembre 1962, di fronte a tremila persone, con Tom Jobim Luiz Bonfá fu protagonista di uno storico concerto alla Carnegie Hall di New York e nel giro di un paio anni contribuì ad accendere l’attenzione nel mondo per le musiche brasiliane: il 18 e 19 marzo del 1963, negli studi A&R di New York , con Stan Getz, Astrud Gilberto, Tom Jobim, Milton Banana e Tião Neto registrò “Getz/Gilberto” (Verve, con “Corcovado” e “Garota de Ipanema”), distribuito un anno più tardi con immediato successo, il secondo album jazz più venduto dell’anno, vincitore nel 1965 di 4 premi Grammy. Nel frattempo, nel 1963, con João Donato, Tião Neto e Milton Banana aveva tenuto i primi concerti in Europa, cominciando dall’Italia, con registrazioni televisive, e dal vivo - a Roma al Foro Italico, a Viareggio, alla Bussola.
Qui ascoltò “Estate” e la incluse nel proprio repertorio facendone uno standard. Ad aprile del 1964 in Brasile era cominciato un periodo di dittatura che sarebbe durato 22 anni. João Gilberto preferì stabilirsi a New York: sarebbe tornato a risiedere e a suonare a Rio solo nel 1979, due anni dopo aver pubblicato “Amoroso” che lo mise di nuovo in competizione per i Grammy, anche grazie agli arrangiamenti orchestrali di Claus Ogerman.
In tutto, fra il 1959 e il 1981 pubblicò nove album registrati in studio, cui si aggiungeranno “João” nel 1991 e “João Voz e Violão” nel 2000 e una manciata di registrazioni dal vivo, fra cui “João Gilberto live at Umbria Jazz” nel 2002 e “João Gilberto in Tokyo” nel 2004, occasioni per apprezzare le sue composizioni (“Louco”), approfondirne l’anima bahiana (“Acontece que eu sou baiano”), gli omaggi a Dorival Caymmi.
Ma fu soprattutto il suo modo di suonare e cantare nei primi tre dischi, ad avere un impatto fondamentale sulle nuove generazioni di musicisti. Caetano Veloso ricorda che «prima di compiere 18 anni ho appreso da lui tutto su quel che già conoscevo e come conoscere tutto su quel che stava per sorgere. Con la sua voce e la sua chitarra reinventò la funzione della parola e la storia dello strumento.
Mise in prospettiva tutti i libri che avevo già letto, tutte le poesie, tutti i quadri, tutti i film che avevo già visto. Non solo tutte le canzoni che avevo ascoltato. Fu con questa lente, questo filtro, questo sistema sonoro che continuai a leggere, a vedere, ad ascoltare».
Vent’anni dopo, nel 1981, João Gilberto incise “Brasil” proprio con Caetano Veloso e con Gilberto Gil (e con Maria Bethânia nel brano “No tabuleiro da baiana”). Un disco storico, ancora in epoca di dittatura, e occasione unica per capire la musicalità di questi artisti, in particolare in tre brani (“Aquarela do Brasil”, “Milagre” e “Bahia com H”) che hanno struttura simile, con una prima esposizione del tema con le tre voci all’unisono e poi con i tre cantanti che cantano uno dopo l’altro la stessa strofa. L’influenza di João Gilberto è evidente e può riassumersi in pochi tratti: voce bassa, senza eccessi, senza variazioni o improvvisazioni melodiche, ma facendo spazio a variazioni ritmiche in dialogo con la chitarra. Con João Gilberto emerge la modestia: l’interprete fa un passo indietro facendo in modo che sia la canzone nel suo complesso ad emergere. Proprio Gilberto Gil ha reso recentemente omaggio a João Gilberto con l’album del 2014 “Gilbertos Samba” in cui interpreta una selezione di brani resi famosi da João Gilberto e due brani composti da Gil per lui (“Um Abraço no João", “Gilbertos”).
Il declino era cominciato una decina d’anni fa con problemi di salute, un tour annullato con onerosi obblighi di rimborso e paradossali problemi economici, con una causa che, a più riprese (2012, 2015), ha sentenziato l’obbligo dell’Universal (proprietaria dall’EMI) di rimborsare a João Gilberto decine di milioni di dollari, senza che le sentenze siano ancora divenute operative. Nel 1988 l’EMI aveva pubblicato, senza autorizzazione da parte del musicista, il cd “O mito” riunendo ed offrendo una nuova versione digitale di brani dai primi tre LP.
João Gilberto considerò quest’azione inaccettabile e fece causa all’EMI, già in difetto fin dal 1964 nel pagamento delle royalties. Aldilà della disputa economica, per João Gilberto era inaccettabile la mancanza di rispetto e la mancanza di qualità della nuova produzione digitale, un aspetto fondamentale per un artista estremamente attento ai dettagli. Nel libro “Chega de saudade: a História e as histórias da bossa nova” Ruy Castro narra che una mancata simmetria quasi gli impedì di salire sul palco della Carnegie Hall: a spettacolo già cominciato, dietro le quinte, si lamentò a proposito della piega dei suoi calzoni sostenendo che in quelle condizioni non avrebbe potuto cantare (in quell’occasione Dora Vasconcellos, console brasiliana, riuscì a trovare un ferro da stiro e a salvare la situazione). Per Castro, João Gilberto si è speso fino all’ultimo per cercare di “perfezionare la perfezione”. Ma proprio a proposito delle etichette usate da Castro, João Gilberto aveva qualcosa da ridire: per João Gilberto la musica che suonava non era “bossa nova”, ma samba, semplicemente samba: «un samba molto moderno, dissonante, minimalista, un amalgama perfetto di voce e chitarra» (nelle parole dell’amico e giornalista Nelson Motta).
Alessio Surian