Illighadad, è un villaggio nell’area desertica del Niger centrale, nella regione Tahoua. Chi nel mondo della musica ha familiarità con questa geografia conosce soprattutto le musiche Tuareg che attraversano il Sahara e si sono fatte strada fino alle nostre orecchie quando hanno scelto arrangiamenti che privilegiano le chitarre elettriche, come nel caso di Bombino o dei Tinariwen, vincitori del Grammy per il miglior World Music Album nel 2011 con “Tassili”. Per ora, si è sempre trattato di gruppi maschili, ma da qualche tempo la musica è cambiata. Circa otto anni fa, a Illighadad, Fatou Seidi Ghali cominciò da autodidatta a suonare la chitarra del fratello e a suonare in pubblico insieme alla cugina Alamnou Akrouni. A febbraio del
2016 realizzarono sei canzoni e produssero in casa il loro primo album “Les Filles de IIllighadad” per la Sahel Sounds di Christopher Kirkley. Col disco sono arrivati i primi concerti a livello internazionale (in Italia in apertura dei concerti di Motta) e più recentemente un nuovo album registrato in studio, “Eghass Malan”, con la bella voce di Mariama Salah Assouan. Il 12 aprile, il loro tour europeo è stato ospite della rassegna Candiani Groove a Mestre con un pubblico attento e coinvolto, anche nel sostegno ritmico al gruppo attraverso il battito di mani.
Il concerto è diviso in due set. Nella prima parte sono al centro le voci e le percussioni: la calabas (mezza zucca vuota) percossa da un battente in una bacinella d’acqua e il tamburo tendé che da anche il nome al genere di musica che propongono. Il tendé è un tamburo circolare, non molto spesso su cui viene tesa una pelle di capra ed un ulteriore telo di cotone bagnato. Il tamburo viene posto al centro di un telaio che lascia ai lato del tamburo due posti per sedersi. In questo modo, anche alternandosi, una musicista suona il tamburo, mentre l’altra canta. Spesso non ci si limita a due persone, ma i cori “tendé” coinvolgono ampi gruppi circolari. Les Filles de Illighadad hanno optato per far sedere per terra dietro al tendé la musicista che suona il tamburo, mentre le altre due integrano la parte ritmica col battito delle mani e percuotendo la calabas nella bacinella. Ogni canzone vede il dialogo fra voce solista e coro con un crescendo di microvariazioni che produce un affascinante effetto ipnotico. Il secondo set amplifica l’effetto: mentre il tendé esce di scena, Fatou Seidi Ghali o Alamnou Akrouni imbracciano la chitarra elettrica, mentre, pur defilato, entra in scena anche Ahmoudou Madassane con una seconda chitarra elettrica.
A lui il compito di scandire gli accordi di base, mentre l’altra chitarra offre riff e variazioni complementari alla voce solista. In questa funzione e in quella del coro si alternano le tre Filles de Illighadad, mentre scandiscono il ritmo con le mani e percuotendo la calabas, sostenute all’occorrenza da tutto il teatro. Se il primo set richiama una modalità di canto corale che tradizionalmente vede le donne protagoniste, il secondo set mostra la volontà di innovazione di Fatou Seidi Ghali che esplora senza timori reverenziali uno stile musicale che è stato finora appannaggio di gruppi maschili con deciso apporto di basso elettrico e percussioni. Con Les Filles de Illighadad gli arrangiamenti sono ridotti al minimo essenziale: un paio di accordi all’occorrenza ben sincopati, riff di una delle due chitarre elettriche, tonici incastri ritmici, coinvolgenti armonie vocali che ancora trasmettono un senso di comunità, un ipnotico invito ad ascoltare un respiro collettivo.
Alessio Surian
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