![]() |
Foto di Paolo Soriani |
Raffinata pianista e compositrice dotata di eleganza stilistica ed originalità, Giuliana Soscia si è formata presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma, per intraprendere successivamente un brillante percorso artistico in ambito jazz, costellato da pregevoli album in quartetto con Pino Jodice come “Contemporary”, “Il Viaggio di Sinbad”, “Stabat Mater in Jazz” e i più recenti “North Wind” con il featuring di Tommy Smith e “Megaride” con l’Orchestra Jazz Parthenopea e la tromba di Paolo Fresu. A distanza di un anno e mezzo da questi ultimi, la pianista romana torna con “Indo Jazz Project”, album che mescola sonorità ed influenze differenti abbracciando jazz, tradizione musicale indiana e classica, dando vita ad un itinerario sonoro insolito ed al tempo stesso affascinante. Per l’occasione abbiamo intervistato Giuliana Soscia per farci raccontare dalla sua viva voce questo interessante progetto.
Partiamo dalla piccola grande rivoluzione che ha caratterizzato il tuo percorso artistico negli ultimi anni. Hai abbandonato la fisarmonica per dedicarti al piano e alla conduction, facendo in qualche modo di necessità virtù. Quali prospettive ti ha aperto questa scelta?
Il mio ultimo concerto come fisarmonicista, dopo venticinque anni di carriera, l’ho tenuto il 1 settembre 2017 quando, dopo un incredibile tour in Brasile e Perù, abbiamo portato in scena con il Giuliana Soscia & Pino Jodice 4tet lo “Stabat Mater in Jazz” al Teatro Pergolesi di Jesi, città natale del grande compositore. Il pianoforte, però, mi appartiene da molto prima in quanto ormai ho alle spalle esattamente quarant’anni di carriera! Ho un passato ben solido come pianista, prima in ambito classico, poi nella popular music e nel jazz. La fisarmonica era subentrata successivamente nel mio percorso artistico e comunque in parallelo al pianoforte. L’abbandono della fisarmonica è stato obbligato da ragioni di salute e, d’altronde, bisogna sempre ascoltare il proprio corpo.

Il pianoforte è al centro del tuo nuovo disco "Giuliana Soscia Indo Jazz Project". Andiamo alla genesi di questo lavoro. Com'è nata l'idea di far incontrare il jazz e la musica indiana?
Mi fa piacere sapere che il pianoforte risulti essere al centro di “Giuliana Soscia Indo Jazz Project”, vuol dire che il mio amore per questo strumento, è stato avvertito. Ci tengo, però, a dire che l’ho inteso comunque come trait d’union di due mondi musicali molto lontani ma probabilmente con origini in comune.

Quali sono i punti di contatto tra le strutture musicali jazz e quelle della musica indiana?
L’improvvisazione naturalmente, che è rimasta il fulcro della cultura musicale indiana. In occidente, invece, con la nascita della notazione e, in seguito, a partire dalla fine del Settecento è andata sempre più perdendosi questa pratica. Da una parte ha dato modo di costruire delle architetture musicali straordinarie e molto complesse, dall’altra abbiamo perso il contatto con le nostre profonde radici: i raga, modi sui quali improvvisano i musicisti indiani, vengono tramandati da millenni da Maestro a Maestro, anzi da Guru a Guru, così come definito dai musicisti indiani.

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato nel rapportati con la musica tradizionale indiana?
La difficoltà principale è stata organizzare la parte scritta delle mie composizioni, utilizzate come canovaccio per le improvvisazioni, ma comunque ben strutturate da un arrangiamento non facile, ricco di poliritmie e ciclicità ispirate dalla musica indiana, l’obbligo di restare su un unico centro tonale, affidando poche modulazioni, tenendo conto che le tabla sono percussioni ad intonazione fissa. Anche il sitar presenta varie limitazioni nella scelta delle tonalità, a causa delle sue corde che suonano per simpatia, ma danno quel carattere assolutamente unico allo strumento. I musicisti indiani hanno imparato tutto a memoria, ascoltando frase per frase e ripetendo e annotando secondo un loro schema di notazione, in questo senso è stato un vero e proprio scambio culturale. In ultimo ho cercato di rispettare senza stravolgere le sonorità per creare un dialogo delle due culture musicali ognuna con la propria identità.
Quanto ti hanno arricchito musicalmente e culturalmente i viaggi che hai fatto in India e quanto è stato importante confrontarti con i musicisti indiani?

Ad accompagnarti in questa avventura è una formazione dall'organico insolito. Come hai scelto gli strumentisti che ti hanno accompagnato in questa avventura?
Ho scelto i musicisti partendo da un’idea di suono, da ciò che volevo ottenere e, poi, ho scritto per loro, organizzando le parti improvvisative e solistiche in base alle loro caratteristiche ed eccellenze, proprio come un regista fa con i propri attori. Non ho tralasciato, però, la parte caratteriale e di empatia, indispensabile per un buon affiatamento e per l’armonia della musica.
Ci puoi presentare Rohan Dasgupta e Sanjay Kansa Banik, i due musicisti indiani che hanno collaborato al disco?

Nel disco spiccano anche le partecipazioni di Mario Marzi, Paolo Innarella e Marco de Tilla…
Mario Marzi è un grande ospite e un grande musicista, che però appartiene al mondo della musica classica, ma anche eccellente improvvisatore. Mi piaceva far partecipare un musicista che potesse trattare le melodie con uno stile più classico per dare un colore originale al mio lavoro. Paolo Innarella è un eccezionale flautista jazz e suona anche benissimo il bansuri indiano e i sassofoni. Il suo intervento al sax lo possiamo ascoltare solo nell’ultimo brano del disco, essendo stato utilizzato prettamente come flautista. Infine Marco de Tilla contrabbassista jazz napoletano col quale collaboro da anni, dotato di grande sensibilità e musicalità ha arricchito il progetto musicale con la sua bravura e conoscenza del jazz. Il loro contributo è stata la loro grande disponibilità ad eseguire esattamente ciò che volevo musicalmente, sottoponendosi a lunghe prove e un turno in sala d’incisione molto duro. Sono molto puntigliosa e so quello che voglio dalla mia musica, per il resto ho curato da sola tutta la parte della registrazione, del missaggio, devo dire anche cambiando più di qualche versione in fase di missaggio. Così, ho scelto da sola anche la grafica e i testi da inserire, l’etichetta discografica la BAM International di Ginevra e il supporto dell’Associazione Ismeo, che ha sostenuto in varie occasioni il mio progetto e che ringrazio. Il lavoro quindi è stato lungo e laborioso e ringrazio per questo anche i fonici Davide Abbruzzese, Simone Sciumbata, Roberto Guarino, il fotografo Paolo Soriani, la grafica Crea branding.
Veniamo alla scrittura dei brani. Ci puoi raccontare come sono nate queste le nuove composizioni? Quali sono state le ispirazioni?
Il disco si apre con la prima composizione “Samsara” che è dedicata al ciclo della vita ed, in particolare, alla mia rinascita con il ritorno al pianoforte a pieno ritmo, dopo aver abbandonato la fisarmonica. L’andamento del brano è molto ciclico e ciclico è l’alternarsi delle parti improvvisate di flauto, pianoforte, sax e sitar. “Indian Blues” è un blues in 7/4 con una melodia molto semplice e solare che ricorda i colori dell’India e si apre con una lunga introduzione con parti scritte in uno stile classico contemporaneo e una improvvisazione di solo piano.

Hai citato "Arabesque", già ascoltata in versione differente in quel gioiello che era "Il viaggio di Sinbad" inciso con il Giuliana Soscia & Pino Jodice Quartet. C'è un punto di contatto tra questi due dischi?
Questo disco segna cambiamento importante della mia carriera e mi piaceva inserire qualcosa del mio passato come anello di congiunzione. Trovo molto stimolante riarrangiare le mie composizioni perché col tempo si ci trasforma e si può anche decidere di dare una nuova veste ai brani.
Come si evolvono i brani dal vivo? Quanto spazio è lasciato all’improvvisazione?
Le mie composizioni, come dicevo in precedenza, sono formalmente strutturate e orchestrate per tutto l’intero organico, sassofoni (principalmente soprano e baritono), flauto/bansuti, sitar, pianoforte, contrabbasso e tabla. Le strutture compositive però lasciano poi largo spazio all’improvvisazione modale, su una struttura armonica definita oppure libera come in alcune introduzioni, lasciando assoluta libertà di stile improvvisativo.

Hai presentato il disco in concerto in diverse occasioni. Com'è stata la risposta del pubblico?
La risposta del pubblico è stata molto positiva e ricevere consensi è motivo di grande soddisfazione per me, come per qualsiasi altro artista. La cosa curiosa è che ha trovato la stessa calorosa accoglienza sia in India come nel caso del primo concerto a Calcutta e del debutto italiano all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Anche se il pubblico proviene da culture musicali differenti la musica è un linguaggio universale e tocca le corde delle nostre emozioni.
Concludendo. Quali sono i progetti in cantiere per il prossimo futuro?
Ci sono tanti progetti per il futuro. Innanzitutto vorrei fare più concerti possibili con l’“Indo Jazz Project” per far conoscere questa mia grande esperienza e trasmetterla agli altri anche sotto il profilo didattico. Il 13 e 14 settembre terrò, come dicevo, una masterclass che si chiuderà l’ultimo giorno alle ore 18,00 con il concerto finale presso la sala Accademica del Conservatorio Santa Cecilia di Roma. Sono in programma, anche, concerti con il Giuliana Soscia Trio con Dario Rosciglione e Alessandro Merzi, un grande progetto per Orchestra Jazz diretto da me e con miei composizioni e due dischi che verranno pubblicati a breve.
Giuliana Soscia – Giuliana Soscia Indo Jazz Project (BAM International, 2018)

Salvatore Esposito
Tags:
Suoni Jazz